I conti non tornano *

1 Aprile 2012


Valentino Parlato

Stando ai dati relativi alle dichiarazioni dei redditi per il 2011, gli imprenditori sarebbero i contribuenti più poveri del 2010, con un reddito medio di 18.170 euro contro i 19.810 dei lavoratori dipendenti, i cittadini più benestanti di questa felice Italia. È un dato illuminante su come agiscono le imposte nel nostro paese e non sarebbe male che il «governo dei tecnici», che questi dati ha comunicato, ci riflettesse un po’ su.
Questi numeri nel modo più crudo confermano che siamo veramente una Repubblica fondata sul lavoro. I lavoratori dipendenti, oltre a essere quelli che singolarmente pagano più tasse, sono 20,9 milioni, cioè il 50,37% del totale dei contribuenti. L’82% di loro dichiara un’imposta netta per un valore complessivo di 90,7 miliardi di euro, che fa il 61% del totale dell’imposta netta dichiarata, per un valore medio pro capite di 5.300 euro.
Sempre secondo queste dichiarazioni dei redditi rese note dal ministero dell’economia e delle finanze si evidenzia un’incidenza di circa il 91% del reddito da lavoro dipendente sul totale dell’imposta pagata. Il restante 9% è composto da redditi di pensione (3,43%), fabbricati (2,28%), redditi di impresa e lavoro autonomo (1,05%).
Insomma saremmo il paese dove gli imprenditori appaiono i lavoratori più poveri e i lavoratori dipendenti i più ricchi. Tutto questo sulla base delle dichiarazioni dei redditi. Veramente il Bel Paese. Il che è abbastanza normale e prevedibile dove i lavoratori sono tassati sulla base della busta paga e gli imprenditori sulla base della loro dichiarazione dei redditi, cioè delle loro bugie. Si dimostra così che l’evasione fiscale non è un’eccezione da scoprire con indagini speciali, ma una regola: chi più ha meno dichiara. Inoltre, fatto singolare, nella stessa giornata l’Istat ci informa che i salari dei lavoratori italiani sono fermi e blindati mentre i prezzi corrono. Marx avrebbe qualcosa da ridire.
Sarebbe però interessante sapere cosa pensa di questa realtà il nostro governo tecnico, che si dichiara libero da quelle influenze di opportunità politica alla quale sono soggetti i partiti che, peraltro, come ci ha detto Monti, sono in crisi di credibilità. In ritorno dal suo regale viaggio in Oriente, il nostro presidente del consiglio ci darà qualche spiegazione? O ci dirà che è sempre stato così e che per riportare giustizia l’impegno primario è quello di cancellare l’art. 18? Aspettiamo.
Immediato il commento di Bersani: «È l’eterna raffigurazione della vergogna dell’evasione fiscale, che resta il punto principale per riprendere la strada della crescita». Ma, anche lui, che farà?
*il manifesto (31 03 2012)

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