Il caso Assange e la libertà di stampa negata

4 Luglio 2022

[Roberto Paracchini]

Julian paul Assange è un programmatore informatico, hacker e giornalista australiano (nato a Townsville nel 1971). Il suo nome è diventato internazionalmente noto per il suo determinante contributo alla ondazione del sito web WikiLeaks, nato allo scopo di rendere pubblici documenti coperti da segreto garantendo l’anonimato alle proprie fonti.

In particolare Assange ha permesso la pubblicazione nel 2010 di quasi mezzo milione di documenti relativi alle guerre statunitensi in Iraq e Afghanistan e, quindi, a tutto ciò che di oscuro c’è stato a monte di queste guerre e su come sono state condotte. Nel settembre del 2011 Assange ha annunciato di avere reso consultabile in rete, attraverso l’immissione di una parola-chiave, l’intero archivio dei cablogrammi contenenti informazioni confidenziali inviate dalle ambasciate statunitensi al Dipartimento di Stato. Da questo materiale diversi giornalisti investigativi hanno ricavato materiali inediti che anno mostrato l’ambiguo sottobosco di tanti rapporti internazionali guidati degli Usa.

Proprio in questi giorni la ministra dell’interno britannica Priti Patel ha approvato l’estradizione del fondatore di Wikileaks negli Stati Uniti dove rischia 150 anni di carcere per le accuse di aver violato illegalmente i siti del Governo e aver divulgato documenti segreti relativi alle guerre in Afghanistan e Iraq, oltre che numerose comunicazioni diplomatiche del 2010.

Anche se la decisione della ministra Patel non è ancora definitiva, dato che Assange può fare ricorso, la notizia è stata accolta come un forte monito nei confronti della libertà di stampa. Nella deontologia professionale del giornalismo non ci sono segreti di Stato ma informazioni che aiutano a capire meglio la realtà dove viviamo.

Assange, va detto, è coinvolto anche in un’altra storia: nel dicembre del 2010 è stato arrestato a Londra in seguito a un mandato di cattura internazionale per stupro e molestie emesso da un tribunale svedese (e poi rilasciato qualche giorno più tardi). Nel maggio 2012 la Corte suprema britannica ha, inoltre, definitivamente respinto gli appelli di Assange contro l’estradizione in Svezia, dove dovrà essere processato per i reati accennati. Questa vicenda si basa sulle accuse di due donne per fatti avvenuti nel 2010. Assange aveva giustificato il suo volersi sottrarre al tribunale svedese per paura che la Svezia lo instradasse negli Usa.

A questo punto la storia si ingarbuglia: per evitare il probabile trasferimento negli Usa e l’estradizione, nel giugno successivo Assange si rifugiò nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, ottenendo ad agosto asilo politico dal Paese latinoamericano; da qui nel luglio del 2013 ha annunciato la fondazione del partito Wikileaks, che si è presentato alle elezioni legislative australiane svoltesi nel mese di settembre, dove ottenne l’1,19% dei consensi.

Nell’aprile 2019, dopo la revoca del diritto di asilo da parte dell’Ecuador per violazioni della convenzione internazionale, Assange è stato arrestato dalla polizia britannica nella sede diplomatica di Quito a Londra; nel gennaio 2021 il tribunale penale di Londra, in considerazione delle condizioni di salute mentale del fondatore di Wikileaks, ha respinto la richiesta di estradizione presentata dagli Stati Uniti, che è stata poi accolta dal governo britannico nel giugno di quest’anno 2022.

Il sì britannico all’estradizione negli Usa (e non in Svezia) si presenta, però, come inquietante perché colpisce il personaggio che più di tutti ha aperto uno squarcio importante sulla guerra in Afghanistan e Iraq.

[Ricordiamo l’appuntamento “Libertà di stampa: il caso Assange” che si svolgerà a Cagliari in Via Piceno n°5 nella sede della Scuola di cultura politica Francesco Cocco, mercoledì 6 luglio lle ore 18.30. Parteciperà Elisabetta Secchi, responsabile della Circoscrizione Sardegna per Amnesty International Italia e condurrà la discussione Roberto Paracchini, giornalista]

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