Villari. Deriva trasformista

1 Dicembre 2008

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Gianluca Scroccu

La vicenda della nomina alla Presidenza della Commissione di Vigilanza della Rai del senatore Riccardo Villari non deve essere ridotta solo alla totale assenza di profilo etico del protagonista, né è il caso di scomodare fenomeni storici seri e complessi come il connubio di Cavour o il trasformismo dell’epoca di Depretis. Essa è infatti la rappresentazione evidente della crisi del nostro sistema politico, e di quello parlamentare in particolare, che da troppi anni prolifera come un cancro. Dalla caduta del governo Prodi abbiamo assistito, in pochi mesi, a quella che si configura come una vera e propria trasformazione radicale della nostra Repubblica, e quindi della nostra Costituzione, che non ha eguali nella storia repubblicana. Sconfitto al referendum costituzionale del giugno 2006, Berlusconi ha saputo giocare abilmente sulle carenze e le gravi lacune dei partiti del centro-sinistra (quelli parlamentari e quelli extra) assicurandosi di fatto una Parlamento totalmente asservito ai suoi voleri. In questi ultimi anni, infatti, i partiti del centro-sinistra, incapaci di colmare il loro più grave deficit, ovvero la forza di elaborare un pensiero autonomo e forte in grado di coniugare capacità riformatrice nel governo e un costante pensiero critico pronto ad individuare le gravi sperequazioni e le rendite di posizione che rendono il mondo così diseguale, si sono limitate o a scimmiottare in maniera maldestra le esperienze politiche di altri paesi del mondo o ad assimilare passivamente tutti quei concetti introdotti abilmente, grazie all’ausilio dei media di cui è padrone, dal berlusconismo: il cesarismo che riduce tutto alla volontà del capo; lo svuotamento dei processi democratici e delle assemblee parlamentari a tutti i livelli, a favore di concetti come decisionismo e semplificazione che rappresentano invece le categorie più adatte per chi vuole instaurare regimi monocratici dove proliferano la concentrazione del comando in una sola persona, il mancato rispetto della divisione dei poteri, lo spregio delle norme di controllo dell’operato della maggioranza. Prendiamo solo l’articolo n. 67 della Costituzione, quello che dice che i parlamentari esercitano le loro prerogative senza vincolo di mandato: oramai è abolito, perché l’eletto non risponde più al cittadino, ma a chi ha deciso che fosse in lista. Chi conosce la storia repubblicana sa bene come nei partiti di massa, DC, PCI e PSI in particolare, l’operato del governo, a partire dalla legge Finanziaria, fosse costantemente controllato e modificato dai parlamentari (si veda il lavoro delle commissioni, dove si aveva una convergenza tra deputati e senatori che andava al di là dell’appartenenza ideologica). Queste erano le caratteristiche di una repubblica costituzionale, che oramai è stata però svuotata in profondità. Di fatto abbiamo già un presidenzialismo che non è contemplato nella nostra Costituzione: eleggiamo direttamente un premier con poteri sempre più forti e che, con Berlusconi, è diventato un dominus che può permettersi il lusso di non andare quasi mai a riferire alle Camere. Pensiamo ancora all’articolo 96, quello che dice che il Presidente del Consiglio e il governo possono essere messi in stato d’accusa  dal Parlamento in seduta comune per reati commessi nell’esercizio delle loro  funzioni: sarebbe mai possibile in questo Montecitorio di nominati grazie ad una legge truffa che assegna a chi ha avuto il 47% circa dei voti il 55% dei seggi alla Camera? Il caso Villari è, quindi, solo l’ulteriore rappresentazione di questa Italia malata, dove la maggioranza si sceglie chi dovrebbe presiedere organismi di controllo dei media che appartengono quasi tutti al premier e dove un partito che doveva “cambiare la politica”, il PD, si sta riducendo ad un patetico teatrino dove si confrontano attori a fine carriera che oramai non hanno più nulla da dire e da fare se non quello di cercare di sopravvivere alla propria incapacità di fare politica che si palesa evidente quando non sono vezzeggiati da giornali e personaggi dello spettacolo amici. Per non parlare della sinistra extraparlamentare, che ancora assegna presidenze di partito a gente che comandava già dai tempi dell’invasione sovietica dell’Afghanistan e non sa invece cogliere quella occasione socialista nell’era della globalizzazione, come l’ha chiamata efficacemente Massimo Luigi Salvadori, che poi non è altro che l’impegno politico per la costruzione di una cittadinanza attiva, che non subisca passivamente, come semplice consumatore di prodotti o di scelte di politica economica e sociale, le decisioni delle oligarchie economiche che hanno portato all’attuale crisi globale. Per far avanzare un’alternativa a questo modello è fondamentale ricostruire il tessuto connettivo tra politica e società, recuperando un rapporto di tipo orizzontale e non verticale tra governati e governanti che ha invece caratterizzato lo scenario pubblico in Italia e in Sardegna in questi ultimi anni. Per fare questo, però, non basterà solo espellere gente come Riccardo Villari: magari, per ripristinare il diritto alla politica dei cittadini, si potrebbe iniziare a non candidarle, persone così.

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