Il coraggio delle fanciulle

1 Novembre 2013
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Manuela Scroccu

La vita della giovane Jacqueline Pascal (1625-1661), intelligenza vivissima e precoce, fine poetessa, sorella del matematico e filosofo Blaise, è ricostruita dalla storica Silvana Bartoli nel volume di Jacqueline Pascal –“Il coraggio delle fanciulle. Lettere” a cura di Silvana Bartoli, et al./edizioni, 2013, € 15,00.
La curatrice del libro raccoglie le lettere della giovane donna dal 1638 fino al 1661. Guidati da una corposa introduzione, ritroviamo la giovane Jacqueline a dodici anni, quando incanta Anna d’Austria e la corte di Francia con le sue composizioni poetiche; e, ancora, a tredici anni mentre recita in una commedia di fronte a Richelieu, meravigliando il potente cardinale e riuscendo ad ottenere la grazia per il padre, accusato di aver preso parte alla rivolta dei rentiers del 1638.
Qualche anno dopo questa giovane brillante rinunciò alla poesia per abbracciare la vita monastica, intraprendendo un percorso spirituale che influenzò non poco anche il fratello Blaise.
Jacqueline scelse Port-Royal, il convento riformato nel 1609 da una badessa di diciotto anni, Angelique Arnaud, che, rinchiusa a otto anni senza vocazione, durante l’adolescenza aveva sentito la voce di Dio abbracciando la sua nuova religiosità e il rispetto rigoroso della regola benedettina.
In quel luogo, che s’impose ben presto come un modello di rigore e di austerità, attirando nella sua orbita intellettuali come Blaise Pascal, La Rochefoucauld e Racine, Jacqueline divenne suor de Saint –Euphémie e intraprese quel cammino di perfezione e di attuazione del messaggio evangelico al quale anelava. Le lettere che la giovane donna scrisse tra le mura della clausura sono intrise di una forte spiritualità e amore per il prossimo. Jacqueline incontrò una religiosità che non si basava sulle mortificazioni della carne e sulle punizioni cruente. Il primato del vangelo non poteva non scontrarsi, in questa sua visione, con l’ambiguità del potere e delle gerarchie.
Ed ecco che la breve vita di Jacqueline s’intreccia con la vicenda tragica dell’abbazia di Port- Royal, ormai identificata come un covo di giansenisti, e gli eventi che portarono alla sua distruzione nel 1712.
Il volume si chiude con la lettera di Jacqueline a Suor Angelique de Saint Jean. “So bene che non tocca alle fanciulle difendere la verità; ma poiché vescovi hanno un coraggio da fanciulle, le fanciulle devono avere un coraggio da vescovi: se non tocca a noi difendere la verità, tocca a noi morire per la verità” poiché “l’umiltà senza forza e la forza senza umiltà sono entrambe pregiudizievoli: è ora più che mai il tempo di ricordare che i pavidi sono messi sullo stesso piano degli spergiuri e degli esecrabili […]”. Un vero e proprio testamento – Jacqueline morì qualche mese dopo, alla vigilia del suo trentaseiesimo compleanno– in cui viene, con acuta vividezza, rappresentato il lacerante conflitto tra libertà individuale e potere. La gerarchia sceglieva ancora una volta la via dell’ambiguità, mentre Jacqueline sentiva che il vangelo le insegnava il primato della coscienza e della responsabilità personale e non quello dell’obbedienza cieca. La storia del monachesimo femminile, ci ricorda la curatrice di questo prezioso volume, è stata per molto tempo colpevolmente trascurata: umili suore obbedienti o monache colte, comunque condannate all’oblio e al silenzio. Che succede, si chiede l’autrice, se “l’ambizione delle donne” si manifesta all’interno della religione e non si sottomette ai superiori? Una domanda che non appare scontata: recentemente il nuovo Pontefice ha affermato, in occasione del XXV anniversario della «Mulieris dignitatem», di soffrire nel costatare che nella chiesa e in alcune organizzazioni ecclesiali il ruolo della donna scivola verso la servitù. Dichiarazioni a uso e consumo dei media o è arrivato veramente il momento di un cambiamento? La questione femminile attraversa da tempo la vita della chiesa cattolica romana e, proprio come un fiume sotterraneo, ogni tanto appare in superficie facendo emergere contraddizioni profonde che sembrano difficilmente sanabili. Ecco perché la voce di Jacqueline Pascal, monaca del Seicento, attraversa le mura della clausura e di una religiosità che impone alle donne la mortificazione e l’obbedienza e arriva a noi come un richiamo alla libertà di coscienza.

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