Il fascismo che non passa

16 Settembre 2008

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Mario Cubeddu

Se il centro-destra dovesse vincere le prossime elezioni in Sardegna, non è improbabile che a guidare la coalizione sia un esponente di Alleanza Nazionale, il partito che rappresenta l’evoluzione del Movimento Sociale Italiano. Quest’ultimo, come si sa, è nato per iniziativa dei reduci della Repubblica Sociale Italiana,  l’ultima tragica incarnazione del fascismo.  E’ difficile collegare figure come quelle di Mariano Delogu, Carmelo Porcu, Ignazio Artizzu, a quello che avvenne in Italia e in Sardegna alla fine della seconda guerra mondiale, tantomeno allo squadrismo che consentì al fascismo la distruzione delle organizzazioni di massa socialiste e cattoliche e la presa del potere. Eppure un fondo di ambiguità rimane. Fa parte della cultura di Alleanza Nazionale, e le recenti prese di posizione del Ministro della Difesa e del sindaco di Roma lo confermano,  un apprezzamento dell’opera di Mussolini e una condivisione dell’esperienza del ventennio, sia pure depurato degli aspetti più pesantemente razzisti e liberticidi. Ne fa parte anche il giudizio positivo dell’alleanza con Hitler e la Germania nazista. Cos’altro significa la rivendicazione dell’operato di “quelli della Nembo”? L’8 settembre 1943 i paracadutisti di quella divisione si trovavano in Sardegna e qui cominciarono il loro tradimento, scegliendo di seguire i tedeschi in Corsica e abbandonando il resto dell’esercito italiano. In Sardegna la formazione di una coscienza democratica non ha scalfito più di tanto un giudizio per gran parte positivo del ruolo esercitato dal fascismo nell’isola.  Basterebbe ricordare a questo proposito il ruolo ambiguo che riveste nella vicenda sarda, sul concreto terreno economico-sociale, come su quello simbolico, l’esperienza di Arborea, dove c’è sempre qualcuno  che non perde occasione, dalle pubblicazioni ai convegni, per arrivare alle bottiglie di vino col faccione di Benito , per rivendicare la sua nascita come Mussolinia. Il fascismo italiano è stato sintesi di tante esperienze, simili e diverse allo stesso tempo. Si tratta di un tema storiografico che più di tutti si presta a uno studio che intrecci il locale e il generale, l’oralità e l’approfondimento storiografico, la conoscenza attraverso le immagini e le indagini di storia sociale. Un tema stimolante per una scuola moderna. Invece per decenni lo studio del fascismo è stato ignorato nelle nostre scuole. Con danni gravissimi per l’idea della propria storia che dovrebbe appartenere a un cittadino italiano democratico. Proviamo intanto a cercare di definire cosa è stato il fascismo in Sardegna.  Poniamo in principio Ferruccio Sorcinelli e il figlio Nando, uno dei pochi giovani cagliaritani che possa avvicinarsi all’immagine dello squadrista. I Sorcinelli ci portano al quotidiano “l’Unione Sarda”,  che il capostipite, nato ad Arezzo e capitato in Sardegna per lavorare in una banca,  acquistò grazie ai guadagni fatti col carbone di Bacu Abis. Ferruccio Sorcinelli scrisse un libro per rivendicare di essere tra i pochi a potersi veramente chiamare fascista in Sardegna e per lamentarsi del fatto che i sardi non lo avevano voluto in politica, non votandolo perché non di origine sarda. Si sentiva insomma un perseguitato. Ben maggiori erano i motivi che avevano per lamentarsi della sua azione i minatori, i sindacalisti e i politici socialisti del Sulcis-Iglesiente. In poco più di un anno veniva spazzata via una forza significativa che aveva consentito al PSI la conquista di gran parte delle amministrazione comunali dell’Iglesiente nell’autunno 1920. Nelle altre parti della Sardegna la presenza fascista era ridicola. Fu necessario, ad esempio,  far venire agitatori dalla Toscana per muovere le acque a Sassari e Oristano. La scena politica in Sardegna era dominata allora dal movimento dei combattenti e dal Partito Sardo d’Azione.  Quest’ultimo si trovò, come gli stessi socialisti, di fronte al problema di come contrastare una violenza fascista sostenuta dalla connivenza delle forze armate e di quelle di polizia. Nei giorni della Marcia su Roma il partito si trovava riunito a congresso a Nuoro. Un’occasione buona per chiamare tutti i sardi alla mobilitazione, anche in armi, contro il colpo di stato fascista. Invece i sardisti si dispersero senza aver deciso nulla. Tutti i gruppi di potere tradizionali e i loro mezzi di comunicazione, dai liberali delle varie tendenze alla Nuova Sardegna, salutarono con favore l’incarico a Mussolini. I sardisti rischiavano il totale isolamento. Per questo non rifiutarono, Emilio Lussu per primo, i contatti con il fascismo in vista di un accordo politico.  Il racconto delle vicende sarde nel periodo che separa la Marcia su Roma dalla fusione di una parte del Partito Sardo d’Azione col fascismo è troppo complesso per essere contenuto in un articolo.  Tra impulsi rivoluzionari, reazione politica e sociale, opportunismo e compromessi, gran parte della Sardegna, priva di leader in grado di fare le scelte giuste, si arrendeva al fascismo.  Emilio Lussu, dopo la riunione di Consiglio Provinciale in cui dava per concluso il processo di avvicinamento tra sardisti e fascisti e annunciava il proprio ritiro dalla politica, usciva di scena per diversi mesi. Elaborava allo stesso tempo quel ripensamento che lo avrebbe portato a diventare il protagonista dell’opposizione politica al fascismo soprattutto dopo il delitto Matteotti.  Il fascismo ha rappresentato per la Sardegna la riduzione a una totale subalternità economica, sociale e culturale. Esclusa qualsiasi partecipazione, tantomeno un protagonismo, di gruppi dirigenti e masse, gli interventi dello stato fascista sono stati finalizzati alla soluzione di problemi esterni e a una politica di potenza imperiale. Così le terre bonificate venivano usate per una politica di colonizzazione che escludeva i sardi. Veniva creata una città operaia totalmente artificiale come Carbonia che avrebbe lasciato nel dopoguerra un’eredità pesante e un circolo vizioso di disoccupazione e provvedimenti straordinari, capaci soltanto di rinviare il problema. La cultura tradizionale, dalla lingua alla poesia alla musica, veniva emarginata o ridotta a folclore. Si arrivava al punto di proibire le gare degli improvvisatori nelle piazze di paese. A questo risultato si era giunti però soprattutto per le pressioni esercitate dai vescovi sardi che non tolleravano venisse proposto al popolo, in occasione delle feste religiose, una parola diversa dalla propria. E qui viene opportuno ricordare il ruolo importante che alcune gerarchie ecclesiastiche ebbero nell’accreditare il fascismo in Sardegna. A Oristano fu l’arcivescovo Del Rio a pronunciare il primo discorso pubblico di lode di Mussolini e della sua opera. Ancora era vivo lo scontro con i sardisti e il fascismo non trovava modo di rendersi credibile e radicarsi. Allora come oggi, con una società e una classe politica fragili, alla Sardegna veniva imposto il dominio di ospiti ingombranti che, naturalmente, si vanteranno, come ha fatto Berlusconi qualche giorno fa,  di essere più che sardi. L’espressione contiene un giudizio offensivo che nessuno ha colto, nei giorni dell’istupidimento mediatico della visita del Papa.

1 Commento a “Il fascismo che non passa”

  1. Gianpiero Decortes scrive:

    l’articolo scritto da Mario Cubeddu, oltre che istruttivo, è di chiarezza e sintesi esemplari.
    il mio più grande desiderio, da sardo emigrato, è che tutti i sardi almeno una volta nella loro vita leggano la storia contemporanea della Sardegna, scritta ed illustrata da chi durante il periodo fascista è stato perseguitato.
    è una gioia per me sapere che esistete, e con infinito piacere che vi leggo (appena posso)
    mi congratulo con l’autore.

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