Il grigio della politica

1 Marzo 2021

[Graziano Pintori]

Da poco più di un anno Covid 19 fa parte della nostra quotidianità in modo subdolo, simile a una costante tortura psicologica.

Il Covid 19 è riuscito a trasformare i colori della nostra vita, è riuscito a fare del grigio il colore dominante del presente e del futuro. Grigia è la sanità, così pure il lavoro e i lavoratori; grigio è e sarà il sistema scolastico e quello degli insegnanti e studenti.

Grigio è e sarà il futuro dei giovani, delle donne, degli anziani, dei diseredati e dei senza voce. Queste infelici sensazioni sono maturate con il trascorrere delle ore, dei giorni, dei mesi con l’ossessiva presenza di Covid 19, i cui effetti da grigio scuro, in questo presente, disarticolano anche la prassi democratica della Repubblica Italiana. Infatti, è sufficiente il tintinnio di una campanella e appare Draghi e scompare Conte, come avvenne con Renzi che si sostituì a Letta, nello spettacolo politico/trasformista alla Brachetti; non a caso si dice che la politica sia la scienza dell’impossibile, o se volete dell’incredibile.

Essa, pur essendo al capolinea di tutte le metamorfosi possibili, riesce incredibilmente a rigenerarsi “inzuppando” la destra con la sinistra, il centrodestra con il centrosinistra e viceversa; e per tornare al cromatismo la politica dà vita ai colori con un’arcivernice ancora più speciale: il giallo diventa verde, il verde diventa rosa, il rosa diventa giallo, da cui si anima il grigiore del populismo, del sovranismo, del razzismo, del giustizialismo, del fascismo di ritorno, del perbenismo, del giustificazionismo, del negazionismo, del suprematismo. Un insieme di “ismi” che mi consigliano un lockdown volontario.

Accennavo a Draghi. Anche lui arriva ammantato di religiosità pari pari ai suoi predecessori, quelli che da alcuni anni sono chiamati a fare miracoli per risolvere i problemi degli italiani e dell’Italia; una catena di nomi che ebbe inizio con Ciampi, poi Monti, Renzi, Conte tutti presidenti di governi per volontà oltremondana, perché privi della benedizione del voto terreno e popolare. Berlusconi con i suoi “miracoli” non lo cito di proposito, perché meriterebbe un capitolo tutto per se.

Dal mio lockdown intuisco che Draghi, nonostante la scia di religiosità che lo accompagna, non sarà il banchiere di Dio (inteso come popolo), ma il banchiere e basta, che mette a disposizione la sua abilità e competenza nel gestire i tesori delle banche nazionali e internazionali per risolvere le questioni italiane, quelle maturate in tempi di pandemia. E’ silenzioso, prudente e studia in anticipo le sue mosse, soprattutto per evitare che la sua autorevolezza europea possa essere scalfita da inopportune gaffe politiche, che scatenerebbero il baillame del Parlamento che l’ha incoronato.

Dicevo che anche Draghi è apparso come un santo celeste nello scenario politico italiano, al pari di un demiurgo con la capacità di rispondere, finalmente alle speranze popolari, da molto tempo a digiuno di fatti concreti sul lavoro, la scuola, la sanità, la casa, la democrazia, la giustizia e via discorrendo. Per stare dentro i fatti, Draghi deve operare dove i cavilli colmi di loquace boria renziana hanno determinato la caduta del governo Conte, che ha lasciato sul campo la sconfitta del Parlamento, l’assenza di un piano strategico per uscire dalla pandemia e, soprattutto, la mancata impostazione della spesa dei duecentonove miliardi. Ritardi dovuti alla sete di visibilità di Renzi e al suo ostracismo nei confronti di Conte.

Adesso spetta al nuovo premier traghettare l’Italia verso quel mutamento sociale, economico, culturale improntato sul sistema digitale, sulle piattaforme web, sul mercato globale, sulla produzione di energia alternativa, i veicoli elettrici, l’ambiente ecc. Sappiamo che il mondo sta andando oltre il crinale dei derivati del petrolio per cimentarsi con la digitalizzazione; con quest’ultima, almeno si spera, cambierà il sistema di produzione: vedi l’inutile accumulazione delle merci invendute, da cui le infinite masse di rifiuti che posano, come pachidermi in putrefazione, sopra un pianeta esausto. Il cambio di passo della produzione dovrebbe porre fine a quel metodo parassitario degli incentivi, i quali incoraggiano la distruzione delle nostre auto ed elettrodomestici per acquistarne altri e aumentare la massa dei rottami.

Faccio riferimento a queste cose perché Draghi ha il merito di essere stato allievo di Federico Caffè, perciò profondo conoscitore delle dottrine keynesiane, di conseguenza dovrebbe far muovere certe leve verso l’economia del benessere per assicurare elevati livelli di occupazione e di protezione sociale, soprattutto per i ceti più deboli. Il nuovo primo ministro sa bene che la società basata sul profitto produce merci non per liberare le persone dalla povertà ed emanciparsi, ma per creare profitto fine a se stesso secondo “ … le regole del capitalismo sempre più arrogante, quanto più globale, quanto più riesce a intossicare non solo il corpo ma la mente dei suoi adoratori” (Giorgio Nebbia).

Se le intenzioni di Draghi sono le stesse dei capi di governo citati, anche lui sarà il solito santo miracoloso con l’aureola calato dall’alto, ovverosia un prodotto pubblicitario spinto dalla forza miracolista che la stessa pubblicità possiede e produce, alienandoci dalla realtà come individuò lo sguardo lontano di Marx “… la realtà in cui viviamo è una società religiosissima che vive sulle credenze consolatorie” della pubblicità.

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