Il legame tra colonizzazione e auto-colonizzazione

12 Novembre 2022

[Vincenzo Carlo Monaco]

Un esempio vissuto e tuttora in corso di questo legame è la colonizzazione della Sardegna che in settanta anni di Autonomia Speciale e di democrazia popolare e parlamentare ha trasformato l’Italia in una realtà di diciannove regioni e una colonia, realizzata per fasi successive e concatenate, portata a termine per favorire soprattutto interessi esterni all’isola e che i cittadini sardi hanno accettato e accompagnato quasi inconsapevoli ma corresponsabili.

Non sono mancati i campanelli d’allarme e le proteste inascoltate che hanno costantemente denunciato questo stato di Sardinia colonia. La democrazia delle regioni italiane non è stata completata ma è diventata una democrazia zoppa nei confronti della Sardegna. È stata considerata, di fatto, e per consecuzioni strategiche, l’ideale terra da colonizzare, conquistando il consenso dei suoi cittadini, convinti della pienezza della propria gestione politica territoriale in virtù della specialità e della presenza nel parlamento italiano, con la condivisione e l’approvazione delle leggi emanate, secondo il principio dell’uguaglianza dei diritti per tutti i cittadini italiani. Non sono mancate le risorse dedicate a uno sviluppo che si è rivelato effimero e che dal Piano di Rinascita al PNRR dei giorni nostri non ha favorito una stabilità concreta e duratura di un trend di crescita regionale capace di far evolvere le potenzialità locali e le strategie di benessere senza dover pagare con grandi sacrifici un costo altissimo di modifica identitaria e di continua sudditanza economica e patrimoniale.

Non si è realizzata una stabilità del lavoro nel tempo. I veri benefici degli investimenti dello Stato e della Regione sono, di fatto trasferiti agli interessi nazionali e internazionali tramite aziende di pubbliche o sostenute fortemente dallo Stato e dagli stati di origine delle molteplici multinazionali che si sono ingrassate di utili diretti e indiretti, senza mai pagare i costi del risanamento dei territori e di ricostruzione dei tessuti produttivi locali disgregati alla fine di ogni fase di colonizzazione. L’industria e il turismo in Sardegna ne sono l’esempio rappresentativo sia con i resti delle cosiddette cattedrali nel deserto e le aree inquinate dai processi produttivi e con archi occupativi che si sono risolti sempre in negativo a disastro avvenuto seguiti da ammortizzatori sociali statali e regionali. La continua conferma delle emigrazioni per mancanza di lavoro è la tragica storia di distruzioni familiari delle generazioni di giovani che hanno dovuto cercare lavoro e vita altrove.

E oggi più che mai questo storico fenomeno è evidente con tutta la sua drammatica conseguenza nel calo delle nascite e dei valori di una popolazione sempre più anziana, malata e non assistita, anche se con longevità specifiche tanto vantate. L’esempio dei giorni nostri è la realizzazione dell’Hub Sardegna per le energie vecchie e nuove, grande occasione di benefici finanziari internazionali con debiti a carico dei sardi e delle generazioni future. Benefici effimeri e inutili che con il perfetto raggiro dell’energia in andata e ritorno, nulla lascia ai nostri cittadini neanche in termini di risparmio in bolletta ma garantisce benefici finanziari sproporzionati per multinazionali e speculatori. In settanta anni nulla è cambiato nella politica coloniale. Analizziamo i processi e le sue diverse dimostrazioni. La prima e più sotterranea è stata la colonizzazione identitaria che con la svalutazione della lingua e della storia sarda ha svilito la diversità etnica originaria trasformandola in un’omologazione, per fortuna non completa, all’identità italiana, cosa accettata da tutti nel rispetto della Costituzione.

La tenacia culturale e di conservazione di valori e patrimonio di diversità, caratteristica particolare consolidatasi nei secoli, in settanta anni è stata messa a dura prova ma la capacità resistenziale di gran parte del popolo sardo ne ha impedita la disfatta. Un nuovo legame generazionale tra i nostri anziani e i nipoti e i bambini, con un impegno congiunto con le famiglie, le scuole primarie e secondarie e le Università, e quindi i giovani, permetterà di evitare la perdita del nostro patrimonio identitario e linguistico ma in modo particolare delle memorie del vissuto, prima che possano morire con l’ultima occasione dei depositari di questi valori. Una considerazione diffusa e coinvolgente del potenziale dell’identità e della lingua sarda deve diffondersi velocemente per dimostrarne la capacità e l’occasione di un nuovo valore, sia per rinnovare l’occupazione, anche da esportare e far vivere a chi dall’estero la sa apprezzare unito all’esperienza vissuta nell’ammirare il nostro immenso patrimonio naturale e culturale che esprimiamo essendone depositari nel mondo.

Anche qui, l’auto-colonizzazione ha contribuito al processo del salto di una generazione, quella dei nostri figli, nella trasmissione della nostra lingua e identità con la motivazione del ricatto occupazionale nato dallo slogan che senza la conoscenza dell’italiano non si trovava lavoro e si restava in uno stato inferiore di evoluzione sociale.  La seconda colonizzazione è stata quella petrolchimica, della chimica e della chimica verde che ha distribuito sui territori occupazione e benessere ma anche gravi e pesanti conseguenze sanitarie come certificato purtroppo dai registri dei tumori e da ISDE, Medici per l’Ambiente, consulenti dell’organizzazione mondiale della sanità. La terza colonizzazione è quella militare e delle basi NATO che oggi più che mai sta dimostrando quanto la nostra terra sia strategica non solo per le esercitazioni operative ma anche e soprattutto per le sperimentazioni delle più ricercate armi, all’avanguardia nelle innumerevoli guerre che interessano oltre settanta Stati nel mondo e le diverse popolazioni tra le quali le vittime innocenti, i bambini e le persone. Si stima che i bambini morti per conseguenze delle varie guerre nel mondo siano oltre 470 milioni, ai quali vanno aggiunti adulti di tutte le età. La presenza della fabbrica di micidiali armi di morte, in Sardegna rappresenta con la sua accettazione da parte dei governanti e dei cittadini sardi, il peggior atto di auto-colonizzazione.

È di questi giorni la notizia che “in quelle aziende saranno armati in Sardegna i micidiali droni con i quali la NATO si prepara, attraverso l’Ucraina a rispondere a quelli che la Russia sta utilizzando per colpire punti nevralgici delle aree sotto attacco. Le bombe volanti che Vladimir Putin sta lanciando verso centrali elettriche e luoghi strategici stanno, dunque, portando a un’altra escalation militare, con la Sardegna sempre più coinvolta. Tutti sappiamo che la Sardegna è la regione in Italia con la più alta percentuale di territorio (circa 35.000 ettari) occupato da basi e aeroporti militari con le conseguenti contaminazioni da residui bellici e da uranio impoverito, una volta aree paradiso, causa di centinaia di perdite umane, civili e militari, purtroppo certificate. Non vi sono tribunali capaci di confermare questi veri e propri crimini. La quarta colonizzazione è quella energetica che in nome di una non provata necessità di produzione di energie rinnovabili dal vento, dal sole e dalle acque ed anche dal mare, occuperà ampi spazi di Sardegna per grandi affari dai quali i cittadini della Sardegna non avranno alcun vantaggio se non servitù per decenni e residui strutturali.

La Sardegna sta per essere trasformata nel più ampio hub per la produzione della cosiddetta energia verde non accumulabile perché la produzione, lo stoccaggio e il trasferimento delle energie previste, in quantità tripla rispetto ai fabbisogni dei sardi, dovrà essere trasferita con elettrodotti sottomarini giungendo sulle coste italiane con un’enorme dispersione e una moltiplicazione delle servitù di produzione e passaggio. La quinta colonizzazione è quella dei rifiuti speciali e pericolosi trasferiti in Sardegna dalle altre regioni italiane e da molti paesi europei e sotterrati con tanto di autorizzazioni nelle discariche regionali e comunali, regalando alla nostra terra il primato quantitativo di conservazione nei sottosuoli di scarti molto velenosi, pericolosi e mortali. La sesta colonizzazione è la ricorrente e ciclica emigrazione di giovani e lavoratori vittime del ricatto occupazionale, un subdolo male che ha origini diverse nei vari settori produttivi e nei territori interessati da ritardi di sviluppo e dalle conseguenze di mancate ed efficaci politiche del lavoro.

Chi vive nel benessere soprattutto urbano, non si accorge nemmeno di questo depauperamento di valori umani che attraversano il mare, spesso per non fare più ritorno. Ci si meraviglia dello spopolamento e della notevole riduzione delle nascite, ma non si realizzano politiche efficaci per il lavoro e la valorizzazione imprenditoriale in terra sarda. Le responsabilità non assolvono nessuna generazione politica e le alternanze nel governo regionale impediscono la realizzazione di un’efficace politica del lavoro rispettosa della dignità umana. Accettare questa storica piaga senza reagire è un’ulteriore forma di auto-colonizzazione. La settima e più recente colonizzazione è quella delle nuove carceri fuori porta che con l’isolamento nel 41 bis, che sta sottoponendo la Sardegna a una nuova colonizzazione, con l’importazione di parenti e interessi non appartenenti alla cultura di vita dei sardi. Un cambiamento di fatto del concetto dell’ospitalità dei sardi che trasformerà le tre più importanti zone turistiche in territori insicuri e dai quali i giovani lavoratori si allontaneranno per non subire un ulteriore ricatto occupazionale. La città catalana ne sta sperimentando i metodi e le conseguenze.

E dunque, l’ottava colonizzazione, quella delle zone turistiche rinomate, avviata dall’Agà Kan nella Costa Smeralda, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 e contrastata dall’inascoltato Architetto Antoni Simon Mossa, che ricordiamolo, rinunciò per amore della Sardegna a grandi guadagni da un incarico prestigioso. Il suo lavoro in ambito turistico alberghiero è ancora attuale e visibile nella decina di alberghi e residenze progettate con rispetto amoroso nella città e lungo la costa che da Alghero arriva sino a Capo Caccia. Fra tutte le colonizzazioni, quella che ha più responsabilità sulla coscienza storica dei sardi è la mistificazione delle verità da parte della stampa sarda. Auto-colonizzazione è dare fiducia cieca a ogni chimera non avendo voglia di guardare oltre, assecondando ogni scelta individuale e collettiva senza informarsi delle conseguenze di ogni processo culturale, politico e produttivo e della salute che c’è proposto nei percorsi delle nostre vite.

La distruzione del sistema sanitario pubblico favorita negli ultimi trenta anni, si è dimostrato in questo periodo di pandemia, la peggiore catastrofe per i cittadini sardi in quasi tutti i territori. “Il diritto alla salute è il diritto di vivere sani non quello di curarsi”, diceva Vincenzo Migaleddu. Oggi più che mai, il diritto a curarsi è diventato un lusso per troppi sardi con il proliferare di cliniche e ospedali privati convenzionati a discapito dei servizi sanitari pubblici nei territori. Se non è auto-colonizzazione questa? Il deciso intervento di molteplici comitati e movimenti per la difesa del nostro patrimonio sanitario riuscirà a invertire questa tragica tendenza privatistica e a ridare vita a un nuovo e più efficace e diffuso sistema sanitario sardo. La convinzione che non spetti a noi questo compito di verifica, perché delegato, non ci assolve dalla corresponsabilità.

E quando i risultati diventano evidenti, è auto-colonizzazione non reagire, non consultarsi con chi ne denuncia le evidenze, credere nei luoghi comuni accettandone le motivazioni dominanti. Dobbiamo purtroppo riconoscere che parte delle responsabilità di queste colonizzazioni è anche nostra, costantemente incapaci di autodeterminarci e di governare la nostra terra nell’interesse principale delle lavoratrici e dei lavoratori sardi, delle persone e specialmente dei bambini e delle nuove generazioni di ieri e di oggi, della nostra vita e della salute, della valorizzazione anche produttiva del nostro inestimabile patrimonio ambientale e culturale. Vivere il colonialismo è uno stato psicologico d’impotenza e di egoismo, di rassegnazione e di non consapevolezza del valore di noi stessi e delle comunità con le quali condividiamo le nostre vite. Quando si prende coscienza, è vitale scegliere e decidere di autodeterminarsi, ossia agire insieme come cambiare le cose e i nostri destini.

È sicuramente giunto il momento di essere onesti con noi stessi come popolo sardo e singoli cittadini e attivarci riprogettando il nostro sistema di vita basandolo sui nostri veri valori e sulla nostra dimensione futura nel rispetto del nostro prezioso habitat. Forse non è troppo tardi. Crediamoci.

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