Indig-nados. Un senso suo ce l’ha

1 Giugno 2011

Gianni Loy

Si. Los indig-nados. Neppure il tempo di rendersene conto, e già siamo subissati da analisi.  Chi sono? Cosa fanno? Di sinistra o antipartito?, Quanto durerà? Come hanno votato? Fonderanno un partito? Poi i soliti riferimenti alla rete. Il web. Ma quale web? Nel ’68 quasi non c’erano quasi neppure i telefoni eppure eravamo sempre in piazza. E la contestazione di allora, anche senza facebook, è esplosa in tutto il mondo. In tutte le piazze del mondo. A proposito. C’è anche chi ha ricordato che la Spagna non ha conosciuto il ’68, e ciò sarebbe un elemento di cui tener conto Mi va di rovesciare il foglio.
Niente analisi, per queste ciascuno legga il manifesto degli indig-nados e tragga le proprie conclusioni.
Preferisco leggere l’avvenimento a partire da quello che facevo, che pensavo, che pensavamo prima che quelle persone (il termine giovani non sarebbe corretto) scendessero nelle piazze della Spagna, provocando i partiti impegnati in una campagna elettorale dall’esito scontato.Prima, quando ancora non era successo, da anni, di fronte ai dati sulla disoccupazione, ai fenomeni estremi di precariato, quasi stentavamo a credere a quei dati. Dicevamo: se fosse vero  la gente starebbe in piazza a protestare, ci sarebbe un moto di ribellione. Ed invece la vita continuava a scorrere come se niente fosse.
Ce lo dicevamo, almeno io lo pensavo e lo commentavo con i pochi compagni rimasti. Compagni. Si può ancora dire?E poi covavo una sensazione di disagio, più intima, più personale, che qualche volta sfogavo nei confronti degli studenti che, nel bene e nel male, fanno parte, da sempre, del mio orizzonte di lavoro (ma anche di condivisione gelosamente nascosta della loro condizione). Una proiezione? Pensatelo pure. Ma cosa cambia? In fondo l’ho sempre pensato che magari, un giorno, sarebbero arrivati altri a compiere quel dovere che non abbiamo compiuto, che sarebbero potuti arrivare altri efficienti esecutori, senza neppure sapere dei nostri sogni. Si. quegli studenti che ho visto, durante una vita, chinare il capo di fronte ai mille soprusi  che subivano da parte di un corpo docente (parliamo al collettivo)  che si era immaginato proprietario dell’università e faceva e disfaceva a suo piacimento. E li vedevo tacere e mi chiedevo perché non si ribellassero. Anche nel senso, qualche volta, persino di invocare l’intervento del 113, perché ne avrebbero avuto ben donde. Ma non fraternizzavo, non ho mai fraternizzato con loro.
Solo mi chiedevo perché mai non si ribellassero. E poi avevo la consapevolezza, netta e chiara, che l’orizzonte era cambiato. Avevamo creduto, o sognato (che differenza fa?), di cambiare il mondo. Di vederne uno più giusto, più solidale. Ora non oso neppure più sperare che Berlusconi venga cacciato via. Penso che la corruzione indotta da quel sistema abbia ormai corrotto a fondo il tessuto connettivo di questa società e che, una volta mandato in un dorato ospizio quel vecchio puttaniere, forse non cambierà molto.Si, sono andato a  votare per Massimo Zedda, ho anche cercato di rastrellare dei voti perché la destra sia cacciata dalla città.
Ma questa è un’altra cosa. E’ il dovere da cui non mi posso, non ci possiamo sottrarre. Ma non con la stessa speranza di una volta. Vedo il trasversalismo, vedo partiti di sinistra che si fanno rappresentare da persone con un pedigree non proprio immacolato. Ho delusione, ma vado a votare e cerco di convincere anche gli amici. Nonostante tutto sono e rimango impegnato.
Non voglio unirmi al coro di  mille voci, ora che le piazze, ancora una volta, si sono riempite di protesta. Per me è successo solo che al punto in cui ero arrivato, nel mezzo di questo pensiero stemperato dagli avvenienti, all’improvviso, sono apparsi gli indig-nados e si è ricominciato a parlare di temi di cui si dovrebbe. E’ accaduto quanto in qualche momento avevo immaginato.
Ho visto scintille di ribellione. Il tutto dal mio piccolo, crepuscolare, punto di vista. La notizia è che sia accaduto.
Mi vengono in mente le parole di uno che ha stirato la speranza  sino a morirci, Ivan della Mea: se è accaduto qualcosa, “questo, un senso suo ce l’ha”. Domani vedremo.

1 Commento a “Indig-nados. Un senso suo ce l’ha”

  1. Katjuscia Mattu scrive:

    Tenedassi issos analizzande! Tanto questo movimento 15M o degli Indignados, non si presta a nessun tipo di schematizzazione: è un movimento plurale, vi convivono e ci si confrontano età e professioni diverse, grandi intellettuali e studentelli sprovveduti vi partecipano con lo stesso peso, ci sono quelli più radicali, che vorrebbero azzardare di piú, e quelli piú “light”, preoccupati di manifestare la propria nonviolenza e di non disturbare i vicini durante le assemblee….ci sono i rivoluzionari e i riformisti, quelli che si concentrano sulla forma (legge elettorale, regolamenti delle camere…) e altri che danno piú peso alla sostanza (democrazia diretta, partecipazione generale, consenso…)…quelli che gridano al microfono e quelli che parlano solo in piccoli gruppi, quelli che pensano di essere apolitici e quelli che rivendicano la politica delle piazze….tutti semplicemente INDIGNATI, e decisi a finirla con abusi e soprusi!
    Con entusiasmo, tra un’acampada e l’altra!
    Katjuscia (da Barcellona)

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