Informazione al guinzaglio

16 Settembre 2009

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Francesco Birocchi*

Silvio Berlusconi è convinto di essere “di gran lunga il miglior presidente del Consiglio dei 150 anni della storia italiana” (lo ha detto a La Maddalena il 10 settembre scorso), ma ha un chiodo fisso: l’informazione che i giornali forniscono su di lui. Non passa giorno che non accusi i giornalisti di scrivere falsità e calunnie sul suo conto. Ha rispolverato le consuete e ormai polverose  parole d’ordine: “comunisti”, “cattocomunismi”, ecc. Insomma, dopo le rivelazioni di giugno, quando vennero fuori foto e testimonianze su comportamenti privati davvero imbarazzanti per un capo di governo, è arrivato il momento del contrattacco. E’ una fase delicata e pericolosa. Nessuno è in grado di sapere cosa può arrivare a fare un uomo di potere come lui, se sente in pericolo una leadership fondata soprattutto sull’immagine. La democrazia non è mai un fatto scontato e definitivamente acquisito. Essa corre costantemente dei pericoli. E non si pensi solo alla catastrofe di una cancellazione totale. La libertà può essere sottratta anche a piccole dosi, giorno dopo giorno, quasi impercettibilmente. Chi non conosce gli errori della storia è destinato a ripeterli. Mussolini impiegò sei anni (dal 1922 al ’28) per mettere definitivamente a tacere la stampa d’opposizione. E’ del 15 luglio 1923 il primo decreto (poi ammorbidito) che consentiva ai prefetti di diffidare i direttori dei giornali per la diffusione di notizie “false o tendenziose, capaci di turbare l’azione del governo”. Sino al regio decreto del 26 febbraio 1928 sul funzionamento dell’Albo professionale dei giornalisti, che poneva la categoria sotto il totale controllo del regime. Ci si interroga spesso nel nostro Paese sul perché, contrariamente a quanto avviene in altri paesi democratici, da noi gli scandali sollevati dai media non producono quasi mai effetti decisivi sui governanti coinvolti. E’ la prova che la costante opera di delegittimazione che l’attuale presidente del Consiglio porta avanti da anni ha avuto successo. Gli italiani (o almeno una parte importante di loro che oggi è maggioranza nel Paese) non credono a quello che scrivono i giornali, o non ne valutano la rilevanza e preferiscono attribuire il proprio consenso a chi dice di volerli difendere da pericoli (apertamente strumentalizzati) come l’immigrazione clandestina, o promette benefici economici (sempre virtuali) come l’abbattimento delle tasse. La reazione più diffusa sembra essere: “l’importante è che io stia meglio e poi lui faccia pure ciò che più gli garba”. In questa scala distorta di valori, ovviamente, l’informazione assume un ruolo assolutamente secondario. E la stessa reazione pare esserci in occasione dei frequentissimi attacchi alla magistratura ed ora perfino al mondo del cinema. Questo è il pericolo che il Paese sta seriamente correndo. E in una situazione come questa tutto è possibile. Nel discorso di La Maddalena, alla presenza del leader spagnolo Zapatero (il quale ha detto poi di essere rimasto in silenzio solo per educazione istituzionale, per non guastare i rapporti fra i due paesi) ad un giornalista del quotidiano spagnolo El Pais che chiedeva notizie sullo scandalo delle “veline” di cui si parla sui giornali di tutto il mondo il premier ha detto: “È invidioso, eh?”. “Certo”, gli ha risposto sorridendo il cronista, ma poi ha aggiunto: “Non crede che questa vicenda stia danneggiando l’immagine dell’Italia? Pensa di dimettersi?”. Il presidente del consiglio invece di rispondere ha contrattaccato: “Vedo che lei legge solo L’Unità e La Repubblica. Complimenti”. Negli stessi giorni il Times ha pubblicato un editoriale sulla situazione politica italiana dal titolo “Roma brucia”. “Uno degli aspetti più deprimenti dello scandalo che coinvolge Berlusconi – ha scritto l’autorevole quotidiano di Londra – è che il primo ministro italiano sembra godere ancora di un solido consenso elettorale. È sconcertante – ha aggiunto – che un uomo, il cui disgustoso comportamento in un qualsiasi altro Paese occidentale lo avrebbe portato da tempo alla caduta, rimanga ancora al suo posto”. Alla fase della delegittimazione si è affiancata, sempre più violenta, quella degli attacchi personali contro giornalisti ed uomini politici non allineati. Il braccio armato è il direttore de il Giornale, il quotidiano di Paolo Berlusconi, fratello del premier. Il primo a farne le spese è stato Dino Boffo direttore di Avvenire,  il giornale dei vescovi italiani, “colpevole” di aver criticato la politica dei respingimento dei migranti e di aver risposto ad alcune lettere di lettori cattolici sconcertati dai comportamenti personali del presidente del consiglio. Boffo che pure, in linea con la Cei (la Conferenza episcopale italiana) aveva in passato appoggiato molte delle scelte del Governo, è stato sottoposto ad un durissimo attacco con risvolti omofobici e, alla fine, ha dovuto dimettersi. Appare chiarissimo, peraltro, che l’obiettivo non era certo il giornalista, ma la stessa Cei e quindi il mondo cattolico ai suoi livelli più alti. Un inquietante avvertimento. Il Giornale ha poi preso di mira il presidente della Camera, Gianfranco Fini (cofondatore del partito del premier), colpevole, anche lui di aver assunto posizioni autonome rispetto al Governo. “Oggi tocca al premier, domani potrebbe toccare al presidente della Camera”, ha ringhiato Feltri dalle colonne del giornale della famiglia Berlusconi. “È sufficiente ripescare un fascicolo del 2000 su faccende a luci rosse riguardanti personaggi di Alleanza Nazionale per montare uno scandalo. Meglio non svegliare il can che dorme”. Tutti i giornalisti sanno che, quando hanno una notizia, sono tenuti a darla sul proprio giornale. Se non lo fanno e la usano come minaccia, allora non fanno più giornalismo ma altro: tentano di tappare la bocca a qualcuno. E’ non è violenza questa? E poi c’è la Rai. L’Italia è l’unico Paese al mondo dove il capo del governo è proprietario di tre dei primi sette network nazionali che trasmettono sulla televisione terrestre (gli altri vanno sul satellite) e (in virtù della maggioranza parlamente) nomina la gran parte degli amministratori delle altre tre reti della televisione e della radio pubbliche. E gli effetti si vedono: Santoro non riesce ancora a partire con Annozero (trasmissione che fa paura alla destra per la sua libertà di giudizio) e la prima puntata di Ballarò di Giovanni Floris (anch’essa sospettata di eresia) è stata fatta slittare per non fare ombra ad uno “speciale” di Porta a Porta, la trasmissione di Bruno Vespa che ospita spesso il presidente del Consiglio. “È in atto in Rai, per volontà esterna, un’azione di terrorismo psicologico nei confronti di quelle diversità editoriali che ancora sopravvivono”, ha detto Nino Rizzo Nervo, consigliere di amministrazione di minoranza. Per tutto questo la Federazione Nazionale della Stampa, il sindacato unitario dei giornalisti al quale aderisce l’Associazione della stampa sarda, ha indetto, sabato 19 settembre in piazza del Popolo, a Roma, un’iniziativa per la libertà d’informazione. La Fnsi ha rivolto un appello “a tutte le forze sociali, sindacali, associative e a tutte le cittadine e i cittadini, affinché senza distinzione di parte o di schieramento, vogliano raccogliere l’invito e partecipare a questa grande iniziativa, per rafforzare e tutelare i valori racchiusi nell’articolo 21 della Costituzione e il diritto inalienabile di ogni cittadino alla conoscenza, alla informazione completa e plurale e alla comunicazione, che per essere tale non può subire forma alcuna di bavaglio”. Tra le prime è più “pesanti” adesioni, quella della Cgil. Basterà ad allontanare il pericolo? Certamente no. Ma la speranza è quella di far risvegliare le menti assopite, di scuotere l’indifferenza di chi, su questi temi, sembra aver smarrito la propria coscienza critica. Prima che sia troppo tardi.

*  Presidente dell’Associazione della stampa Sarda

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