Iscol@, didattica e dispersione scolastica

16 Ottobre 2016
scuola
Riccardo Caoci

Era il 2015 quando la Regione Sardegna iniziò a promuovere il progetto “Iscol@”: sul sito della Regione si legge che esso ha l’obiettivo di «migliorare la qualità dell’offerta formativa […] attraverso azioni extracurricolari centrate sulla metodologia della didattica innovativa laboratoriale» e che «vengono proposti sette ambiti di intervento basati sulle tecnologie applicate alla didattica come strumento per la lotta alla dispersione scolastica».

La storia non sempre insegna, e pare quindi il caso di ricordare una delle lettere giustamente scritta dal professor Silvano Tagliagambe, uno dei redattori del progetto “Semid@s Scuola Digitale in Sardegna” , che prevedeva un ammodernamento complessivo e all’avanguardia dell’offerta formativa all’interno delle aule sarde, da lui successivamente abbandonato a causa del fatto che nell’attuazione dello stesso furono completamente trascurati gli interventi riguardanti il lavoro sulla formazione e l’aggiornamento degli insegnanti.
La critica esposta va contro «chi pensa che  per poter parlare di “scuola digitale” sia necessario e sufficiente introdurre nelle aule apparati tecnologici […] senza curarsi di contenuti, di metodologie, di ambienti di apprendimento, del nesso tra processi di insegnamento e processi di apprendimento, della problematica relazione tra conoscenze e competenze, della formazione dei docenti, dei nuovi sistemi di valutazione per renderli coerenti con una concezione, non più esclusivamente trasmissiva, della didattica».

Si legge come «le richieste di aggiornamento che provengono diffusamente dai docenti del nostro paese riguardino molto più le metodologie che le tecnologie, alle quali ci si appassiona solo in quanto siano veicolo di innovazioni significative sul piano di un reale “rovesciamento di prospettiva” nel rapporto tra docenti e studenti e tra il mondo della scuola nel suo complesso e l’ambiente sociale di riferimento».

In sostanza ciò che veniva fortemente contestata era la convinzione che bastasse digitalizzare, inserire nuove tecnologie e nuove piattaforme multimediali per risanare l’offerta formativa, tralasciando la necessità di andare oltre i metodi didattici tradizionali e ripensare un nuovo modo per “fare scuola”.

Due sono quindi i dati che non sembrano essere stati assunti dalla Giunta. Il primo riguarda l’idea che sia possibile combattere la dispersione scolastica, in Sardegna al 24,7%, senza prevedere un ripensamento totale del sistema del diritto allo studio, puntando su un progetto come Iscol@ che non pone realmente al centro del discorso interventi mirati a migliorare le condizioni economiche in cui versano gli studenti dell’isola: mettersi in condizione di praticare politiche realmente incisive su questo tema significa partire dal ripensamento di una legge regionale sul diritto allo studio, attualmente ferma al 1984 e scarsamente finanziata, che superi l’impianto familista del welfare e punti a garantire l’autodeterminazione del singolo, emancipandolo così dalla sua condizione di precarietà esistenziale.

In secondo luogo, l’insieme delle relazioni e delle dinamiche che avvengono nei luoghi e nei momenti della formazione così come tradizionalmente intesa, a partire dalle quali i singoli facenti parte del mondo della formazione autodefiniscono i vari ruoli che occupano al suo interno, dovrebbero essere l’oggetto di un processo che miri a rivoluzionare la qualità dell’istruzione pubblica in positivo, e pare insufficiente sperare che l’introduzione di nuovi strumenti e piattaforme modifichi automaticamente l’impostazione attuale della didattica e dei rapporti di forza all’interno dell’ambiente scolastico.

Appare necessario in questo senso il superamento del dualismo didattica-valutazione, frutto di una divisione forzata del processo d’apprendimento in un primo momento necessariamente soggettivo, in quanto ognuno sperimenta una diversa percezione delle informazioni, e in un secondo momento di quantificazione, quindi di oggettivazione, della conoscenza secondo criteri calati dall’alto, che la costringono in processi che ne impediscono la libera condivisione e messa in discussione, legittimandone la mercificazione come ad esempio avviene sul piano etimologico con il concetto di credito e debito formativo; a seguito di questa strutturazione, la valutazione è finalizzata al mantenimento di un sistema di welfare escludente e meritocratico, fonte di disuguaglianze sociali in quanto non tiene conto delle diverse condizioni economiche e sociali di partenza.

Inoltre essa permette l’istituzione di una gerarchia tra studenti e docenti, essendo un momento unilaterale in cui è solo il docente ad esprimere un giudizio, insindacabile e non narrativo, sulla qualità del percorso formativo dello studente: in questo modo allo studente viene associato un “valore di consumo”, ottenuto dalla mera media più o meno numerica delle singole performance, che quindi non tiene conto della completezza del suo percorso di crescita e sviluppo.

Questo pone il docente su un piano superiore rispetto allo studente in termini di decisionalità e fornisce, tramite il momento della valutazione, uno strumento di disciplinamento e repressione del singolo non solo per quanto riguarda il piano didattico, ma anche quello personale e politico. Il tutto si configura come una diseducazione alla cooperazione tra pari che, oltre a legittimare le dinamiche verticali riscontrabili nella società attuale, ne permette la riproduzione all’interno dei luoghi della formazione: l’abitudine, ad esempio, di porre come obiettivo della didattica anche un momento di valutazione che non sia “dell’apprendimento” ma “per l’apprendimento”, ossia un confronto narrativo e tra pari, tra studente e docente, potrebbe costruire nuovi paradigmi per la creazione di una conoscenza realmente libera, emancipata e in grado di rinnovarsi in contenuti e metodi costantemente, a partire dalle necessità e dalle potenzialità di chi ogni giorno vive la scuola.

Un altro limite della didattica attuale è rappresentato dall’impossibilità di gestire in maniera libera gli spazi d’apprendimento, che conservano una forte divisione spaziale tra gruppo classe e la cattedra del docente ad esso frontalmente opposta, e i tempi d’apprendimento, basati su una divisione in materie che limita la trasversalità del percorso formativo, che non tiene conto della soglia media d’attenzione e che impedisce una progettazione riguardo le attività studentesche a causa della frequente impossibilità di disporre dei locali scolastici in orario extracurricolare.

Spesso inoltre gli spazi d’apprendimento non solo non permettono una libera progettazione dell’attività didattica, ma non garantiscono neanche un minimo livello di sicurezza per chi frequenta le strutture scolastiche: in Sardegna il progetto “Iscol@” stanzia 130 mln di € per questo problema, a fronte di una necessità oggettiva di 500 mln di € solo per la messa in sicurezza degli edifici sardi.

La giornata che il 7 Ottobre ci ha portato, come studentesse e studenti di tutta la Sardegna, a scendere in piazza a Cagliari rappresenta lo sforzo di farci protagonisti delle scelte che la politica troppo spesso compie senza cercare un confronto: ci risulta inaccettabile in questo senso l’assenza di volontà da parte dell’Assessore della Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport di dialogare con la popolazione studentesca, di ascoltare e capire le motivazioni che hanno portato centinaia di studentesse e studenti a manifestare i propri disagi quotidiani, di ascoltarne le critiche e le proposte concrete.

Il rilancio sul tema dei diritti, della democrazia, della decisionalità non parte da un’analisi astratta ma proprio dalla necessità di riprendere potere sulle nostre vite, sulla nostra condizione e sul nostro territorio: sarebbe necessario non solo porre in discussione il lavoro portato avanti finora dalla Giunta Regionale, ma costruire nuovi progetti e iniziative che partano da un confronto con la società civile, con le organizzazioni sociali attive in questo scenario, che coinvolgano docenti, alunni e autonomie locali.

Solo in questo modo può essere garantita realmente l’efficacia di progetti altrimenti calati dall’alto di istituzioni, quindi sconnessi dalle istanze della cittadinanza e del territorio che dovrebbero rappresentare.

Riccardo Caoci è componente dell’esecutivo regionale dell’UdS, l’Unione degli Studenti.

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