Isoliamo Israele

16 Luglio 2014
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Marco Ligas

“Passate parola: tra 5 minuti colpiremo l’edificio vicino al vostro. Stiamo cercando di fare il possibile per non danneggiare le case vicine, e vogliamo accertarci che non ci siano civili nella zona”. Che generosità in questo messaggio, degno di un Stato che si caratterizza per elevatezza d’animo e per la nobiltà dei suoi intenti!
Peccato che nella Striscia di Gaza, dopo pochi giorni di bombardamenti, già si contano alcune centinaia di morti: è la guerra di sterminio che Israele con fredda determinazione sta conducendo, ormai da decenni, contro il popolo palestinese. Lo vuole annientare così come intende cancellare la Palestina dalle mappe geografiche. I razzi che i militanti di Hamas sparano sulle terre che erano palestinesi sono solo un pretesto.
Il governo Netanyahu è più che mai determinato nel realizzare i suoi obiettivi, ci tiene a ribadire che nessuna pressione internazionale gli impedirà di agire contro i terroristi a Gaza. Sa bene che i paesi dell’occidente, dove sempre meno si rispetta la democrazia e dove non si tutelano i diritti dei popoli, non gli faranno mancare alcun sostegno, soprattutto le armi di cui ha bisogno.
E proprio per queste ragioni, per le complicità dell’Occidente, il capo del governo ribadisce con cinismo di aver dato ordine all’esercito di tenersi pronto alla difesa perché il popolo israeliano intende riportare la calma laddove i terroristi alimentano la guerra.
Queste affermazioni, fatte con un linguaggio neppure cifrato, lasciano immaginare un intervento di terra ormai prossimo e dagli esiti ancora più devastanti rispetto a quelli in corso in questi giorni.
E’ dal 1948 che i palestinesi subiscono un’umiliazione permanente, anche se alcuni storici (Benny Morris fra questi) fanno risalire agli ultimi decenni dell’Ottocento il conflitto in Medio Oriente. Certo, oggi questa precisazione pur vera, appare secondaria rispetto al dramma che vivono le popolazioni palestinesi.
Quel che colpisce è che questo popolo non solo è privato della sua terra, dell’acqua e della libertà, ma è condannato a vivere in spazi sempre più circoscritti, esposto come un bersaglio indifeso alla violenza del suo invasore.
Non è un mistero che se un palestinese volesse lasciare la striscia di Gaza per sottrarsi alla guerra, non potrebbe farlo, soprattutto in questa fase particolarmente difficile.
C’è da chiedersi come sia possibile che da parte delle Cancellerie dei paesi occidentali non emerga un atteggiamento che scoraggi il governo israeliano e lo induca ad interrompere il massacro che sta compiendo a danno della popolazione palestinese. Un atteggiamento che non sia soltanto una finzione ma sappia concretizzarsi anche con l’interruzione dei sostegni economici e militari almeno sino a quando non modificherà la sua politica aggressiva.
Eppure in altre occasioni l’Occidente ha saputo inventare persino l’ossimoro della “guerra umanitaria”. Perché adesso offre una sponda a chi non rispetta i diritti dei popoli?
In realtà tutti potrebbero dare segnali distensivi. Se pensiamo al nostro paese, già farebbe una buona cosa se smettesse di inviare verso Israele, come fa in questi giorni, armi e aerei per l’addestramento al bombardamento dei piloti, nel rispetto del Trattato militare che ci lega al governo israeliano.
Tuttavia non possiamo abbassare la guardia, dobbiamo di nuovo considerare la pace una speranza, una cosa possibile, e costringere le nostre classi dirigenti a promuovere una politica che sia in grado di sconfiggere gli orrori dei nazionalismi, degli integralismi e delle disuguaglianze sociali.
Anche nella nostra isola è possibile impegnarsi per questi obiettivi.

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