Istituzioni d’élite e rappresentanza democratica

16 Maggio 2007

di Andrea Pubusa

TESSERA ELETTORALEUna delle lezioni più dimenticate di Marx e poi di Gramsci, è certamente la critica al parlamentarismo e, più in generale, alla democrazia borghese. Non si nega la rappresentanza. Al contrario si contesta il carattere democratico a quegli ordinamenti in cui le elezioni consentono di concorrere soltanto ai ricchi o a coloro che siano collegati a potentati economici. E certamente l’esclusione dei lavoratori è l’elemento più evidente del carattere elitario di questi sistemi. Se è sicuro, dunque, che le elezioni sono un elemento indefettibile della democrazia è altrettanto vero che l’elettività degli organi parlamentari non basta. La critica al parlamentarismo di parte marxista è rivolta proprio a questo deficit democratico. Anche per Lenin, cui il pensiero di Gramsci è rimasto legato, il modo per uscire dal parlamentarismo non è quello di annullare le istituzioni rappresentative e l’eleggibilità, ma di trasformare le assemblee rappresentative in organi che siano espressione dei lavoratori.
Orbene, se oggi badiamo alle istituzioni senza pregiudizi dobbiamo ammettere che questa critica mantiene un carattere di permanente attualità: i parlamenti, nati come espressione dei ceti alti, tornano ad acquisire oggi un’impronta sempre più classista. Non solo negli Usa (dove sono eletti solo i titolari di ampi patrimoni o i loro rappresentanti), ma anche da noi sono sempre più rari i lavoratori che accedono alle istituzioni e così queste divengono sempre più espressione di casta.
Ma c’è di più e di peggio: le tendenze attuali scardinano anche quella parvenza di democrazia connessa alla proporzionalità dei sistemi elettorali, che se non assicura la rappresentanza degli interessi dei lavoratori garantisce almeno che la forza parlamentare sia espressione dei voti conseguiti. Oggi i parlamentari non sono scelti dagli elettori ma da una ventina di dirigenti dei partiti politici che formano liste bloccate. Il corpo elettorale definisce soltanto le percentuali. Anzi neppure queste, perché le correzioni sempre più marcate del sistema proporzionale fa sì che la composizione delle assemblee rappresentative sia decisa non esattamente dagli elettori, ma dal legislatore di turno con normazioni talora eccessive ed arbitrarie. Una vera “dittatura” legalizzata dei massimi dirigenti dei partiti, come sarebbe nel modo più evidente ove passasse l’idea da molti sostenuta di creare un sistema elettorale in cui il partito che prende più voti, anche soltanto il 20% si accaparra il 51% dei parlamentari. A livello regionale poi, coi cosidetti listini, c’è una parte dei Consigli formati da persone che gli elettori non hanno scelto, anche qui espressione diretta di oligarchie partitiche.
Orbene, in questo contesto già fuori dall’ambito di un normale sistema parlamentare, è innegabile che l’elezione diretta dei presidenti delle Regioni accentua questo carattere elitario. E’ vero che l’elezione diretta dà stabilità ai governi. E questo è l’unico elemento positivo. Ma non lo è la prevalenza del presidente sull’Assemblea, che ha pur essa identica legittimazione elettorale. Anche questo correttivo rispetto alla naturale prevalenza dei Parlamenti sui governi, non a caso tradizionalmente denominati “esecutivi”, tende a spostare verso l’alto le decisioni, in questo modo creando una vera e propria monocrazia in cui si concentrano gran parte dei poteri. Il presidente è l’unico interprete dello “spirito” del popolo. È la vox populi, la cui volontà egli trasfonde in disegni di legge, che dunque devono essere approvati dall’assemblea, cui è concesso soltanto qualche mugugno o emendamento nella sua piatta funzione di ratifica. Un simulacro del parlamentarismo e della rappresentanza.
Ora, certamente questo non è fascismo, ma è innegabilmente una forma accentrata di formazione della volontà pubblica, che poi incide fortemente sul merito delle scelte. Si può negare che in questi vent’anni le trasformazioni istituzionali nel senso descritto non abbiano inciso sul peggioramento delle condizioni di vita delle masse popolari? Se il diritto al lavoro e i diritti dei lavoratori sono stati cancellati nel nostro Paese e se la costituzione materiale è fondata sull’impresa e sul capitale finanziario, c’entra la forma assunta dalle istituzioni? Si obietta, è tutta colpa della globalizzazione. Ma quali sono le forme istituzionali interne della globalizzazione? Sono i sistemi fondati sulla corretta rappresentanza della volontà popolare o quelli che tendono a far prevalere gli interessi forti? E i sistemi elitari a quali interessi sono funzionali? Agli interessi dei lavoratori e dei disoccupati? A quelli dei precari? Del resto, perché escludere sempre più dalla rappresentanza i ceti popolari se non per comprimerne gli interessi e i bisogni? E i costi della politica che delineano la creazione di una vera e propria casta di privilegiati? E’ vero esistono le libertà formali. Ma quanto della volontà popolare è frutto della concentrazione dei media, nei quali non a caso si concentra l’intervento non certo disinteressato dei potentati economici. Vengono poi vanificati i diritti sociali: al lavoro, alla casa, alla salute, all’istruzione.
D’altra parte anche la trasformazione in atto dei partiti è funzionale a creare un sistema di caste. Al soggetto politico collettivo vanno sostituendosi oligarchie in sostanziale consonanza fra di loro, almeno sugli interessi di fondo, come, ad esempio nel ritenere l’impresa prevalente sul lavoro, la concorrenza sulla solidarietà, mentre il welfare è una palla al piede dello “sviluppo” e la partecipazione popolare è sempre più relegata nel volontariato e nell’associazionismo. Il processo è particolarmente evidente in Sardegna dove gli oligarchi dei Ds e della Margherita (in combutta fra loro fin dagli anni ’80) si uniscono anche formalmente nel Pd. E ad essi si unisce Soru, dimentico delle aspettative di rinnovamento suscitate nei suoi elettori. Neppure le forze della sinistra si sottraggono a questo destino se è vero com’è vero che Rifondazione è un’insieme di fazioni in lacerante lotta fra loro e il Pdci una anacronistica minuscola monocrazia intorno al segretario nazionale.
Ma c’è un’alternativa a tutto questo? E dove trovare il bandolo della matassa? E il punto di partenza sta nei sistemi elettorali o nei partiti? Forse in entrambi, ma certamente oggi è prevalente la necessità della ricostruzione di un partito dei lavoratori, del moderno principe collettivo mirabilmente enucleato da Gramsci.
Sul piano istituzionale una forza siffatta deve battersi per “un ritorno alla Costituzione”, alla forma di governo parlamentare in essa stabilita e confermata dal referendum dello scorso anno contro la revisione proposta da Berlusconi e Bossi. Rinviando ad altra occasione per un approfondimento, in estrema sintesi, si può pensare a due correttivi: a rafforzare gli istituti di democrazia partecipativa e ad una legge elettorale che garantisca stabilità, semplificazione del sistema politico e proporzionalità. Ad esempio il modello tedesco, che col suo sbarramento al 5% può essere anche un fattore potente per indurre i partitini della sinistra a formare una grande forza, capace di dar voce alle esigenze popolari.

24 Commenti a “Istituzioni d’élite e rappresentanza democratica”

  1. mimmo bua scrive:

    Dai due articoli di Tonino e di Andrea (che ho letto con molto interesse e il massimo dell’attenzione) estrapolo solo due passaggi significativi (fra i tanti) dell’analisi. Dato che considero i due interventi com esempi (o esemplari) sempre più rari (o sporadici) di un’analisi fatta dal punto di vista della politica e non del politicantismo. Che ritengo due forme esattamente opposte e nettamente contrastanti della “prassi” intesa come pensiero-azione, il cui tratto saliente è, o dovrebbe essere ancora, quella cosa un po’ obsoleta che un tempo chiamavamo “impegno civile e sociale” (cioè politico). Sul piano della riflessione e del ragionamento politico (in vista dell’azione) credo che si dovrebbe pretendere (diciamo, perlomeno, in un futuro più o meno lontano) una netta distinzione, davvero “tranciante” o “discriminante” (come si diceva in tempi andati) fra “politica” e “politicantismo”, fra “poilitico” e “politicante”.. Ma non solo per un’astratta esigenza linguistica o semantica o, peggio ancora, moralistica: perché ritengo sia una questione di “chiarezza” e perciò anche di “igiene” o di ecologia mentale. Che poi dovrebbe essere alla base di quella che ancora possiamo definire “coerenza della prassi” del cosiddetto “uomo pubblico” . Aggiungo solo – anche se ellitticamente – che non si tratta di “questione morale”, ma di questione eminentemente e propriamente politica: ovvero di accostarsi alla realtà politica che si vorrebbe cambiare tracciando una netta linea di demarcazione (nella teoria e nella prassi) fra ciò che appartiene al “politicantismo” (che è un aspetto decisivo e fondante del “malaffare” e della criminalità organizzata – ma anche di quella disorganizzata) e ciò che dovrebbe essere il carattere eminente della “politica”, proprio nel fronteggiare, rintuzzare, combattere e se possibile arrivare a liquidare quella prassi criminale e criminogena che da sempre sta alla base della “sopraffazione” e della “oppressione” (chi vuole può usare anche termini più sfumati o sociologicamente più accreditatii) da parte di una minoranza (la criminalità “organizzata”, appunto) sul resto (la maggioranza) di una società che possa dirsi (ancora) “umana”.

    Dall’intervento di Tonino riprendo il passaggio che mi pare sia la “questione” rispetto alla quale si cerca di vedere una possibile alteranativa, non certo di breve periodo:
    :
    [C’è] “Poca attenzione residua sul fatto che la criminalità organizzata italiana controlla come mai è avvenuto prima, quasi interamente, il territorio e la vita di quattro regioni (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia), in forme che paiono meno eclatanti rispetto al recente passato… solo perché ormai la malavita non richiama più l’attenzione nazionale su di sé attentando a personaggi eccellenti delle istituzioni.
    Di cosa deve avere più paura oggi un Paese europeo che voglia mantenersi aperto e dinamico, se non della compressione forzosa del disagio derivante da vecchie e nuove disuguaglianze, perseguita a costo di limitare i diritti fondamentali sanciti dalla costituzione, sotto la spinta di una pulsione all’intolleranza? Di cosa ha più bisogno un Paese europeo che voglia mantenersi democratico e civile, se non della ritrovata egemonia (se l’espressione gramsciana spaventa troppo, potremmo usare quella di “forza morale e culturale di persuasione”) di una politica capace di governare la complessità sociale mitigando le disuguaglianze – anzitutto quelle derivanti dall’assenza o dalla precarietà del lavoro- e trasformando l’assenza di speranza, che da esse deriva, nelle opportunità offerte dalla valorizzazione delle diversità? E la durezza e la certezza della legge, vanno usate solo con i deboli o sono anzitutto il mezzo fondamentale da applicare per ricondurre alle regole i forti? L’aspirazione all’uguaglianza nella libertà, proprio nell’era dell’economia globalizzata e sempre più immensamente diseguale in cui l’Europa è immersa, resta la corrente profonda storicamente interpretata dal socialismo e tutt’altro che sopita, ancorché non realizzata dalle tragiche esperienze statuali del comunismo postbellico.

    Dall’intervento di Andrea riprendo un passo più breve ma a mio avviso molto significativo del “mettere il dito nella piaga”:

    “D’altra parte anche la trasformazione in atto dei partiti è funzionale a creare un sistema di caste. Al soggetto politico collettivo vanno sostituendosi oligarchie in sostanziale consonanza fra di loro, almeno sugli interessi di fondo, come, ad esempio nel ritenere l’impresa prevalente sul lavoro, la concorrenza sulla solidarietà, mentre il welfare è una palla al piede dello “sviluppo” e la partecipazione popolare è sempre più relegata nel volontariato e nell’associazionismo.”

    Non ricordo chi ha utilizzato per primo, nell’area di lingua italiana, l’espressione “cleptocrazia”. Mettiamo che davvero sia questa non una mera “espressione provcatoria”, ma il termine che meglio e più realisticamente esprime l’effettiva situazionbe “politica” del paese Italia: che conseguenze dovrebbe trarne il pensiero (e la prassi) della politica, che per quanto obsoleta non potrà mai essere confusa nè soppiantata dal politicantismo?
    Detta in termini più semplici e meno filosofici, la domanda che pongo agli amici qui direttamente citati e a tutti i compagni e amici del manifestosardo è la seguente:
    è ancora possibile, in un paese così congegnato (come risulta dall’analisi a mio avviso corretta ed esplicita contenuta negli articoli di riferimento) pensare e fare una POLITICA che non intende ammettere e tanto meno praticare NESSUN COMPROMESSO di nessun tipo, neppure “tattico”, col campo opposto del politicantismo dilagante e dominante?
    Ripeto, qualora fosse necessario: non si tratta di una questione “morale” o etica da applicare alla politica. Nell’epoca in cui il fenomeno più rilevante e caratterizzante della cosiddetta globalizzazione del mondo (considerato dal ceto dominante o trainante, in quanto “mercato” e non in quanto luogo, ambiente, habitat di molte e differenti specie, fra cui quella dell’homo che da 30000 anni circa aspira a diventare “sapiens”) è quella cosa che si chama “corruzione” e “menzogna” – che caratterizza essenzialmente chiunque voglia gestire, ottenere o conservare un qualche “potere” sia di natura economica, finanziaria o politica, così come culturale o mediatica, talvolta o spesso anche scientifica, resto ingenuamente convinto che proprio un netto, deciso, irremissibile e aprioristico rifiuto e diniego della corruzione e della menzogna (anche nella sua valenza giustificativa del “così fan tutti”) sia la condizione preliminare e inaggirabile della mera intenzione del voler pensare e fare “politica” e non solo esercitarsi in una qualche variante edulcorata (ma non meno mistificatoria) del politicantismo sicuramente ancora dominante.
    Per metterla sul luogo comune non posso che richiamare l’abusato motto del saggio di Rodi: “qui è la rosa, qui salta”. Da riproporre preliminarmente a chiunque, fuori dal coro assordante delle rane ballaroriane, cioè dal grottesco balletto mediatico dei bugiardi e falsari (falsificatori) di professione, voglia davvero proporsi o riproporsi come homo o come riferimento politico. Quanti, mi chiedo infine, quelli che, da sempre ai margini o fuori dal gioco, o anche inesorbilmente messi fuori (o fatti fuori) dal gioco del potere decisionale, saldamente nelle mani di “quegli altri” (cioè la variegata canea disumanizzata dei politicanti di varia provenienza, partitica, sindacale, professionale o imprenditoriale, talvolta anche “popolare”) sono ancora disposti a “saltare”?
    Un grande saggio ha detto che la politica, la finanza e l’economia, nel processo evolutivo che comunque non si ferma, saranno le ultime a cambiare. L’utopistico cambiamento della politica (o il ritorno alla politica nel senso originario del termine derivato da “polis” o comunità) ci potrà essere solo quando una sufficente massa (o potenza) cosciente di persone potrà non solo dire o gridare ma attuare lo slogan: Fuori i politicanti dalla direzione e dalla gestione della cosa pubblica. Che è come dire: fuori i criminali e i delinquenti dalla gestione dell’economia, della finanza e del territorio.
    Mi pare interessante anche chiedersi: chi mai potrà attuare una simile parola d’ordine o punto programmatico? E’ una questione di classi storicamente predestinate o una questione di esseri coscienti? Ma qui sicuramente scantoneremmo dai confini (o dai limiti) della “politica” per finire dritti dritti nella meta-fisica (come ancora la chiamavano Platone e Aristotele, molto prima che Marx & co ne stravolgessero totalmente e completamente il senso e la portata: sostituendo alle leggi evolutive i loro bei sofismi spacciati per leggi storiche; col risultato, finora, del “capitalismo selvaggio” (altro sinonimo edulcorato della criminalità super-organizzata) che si propone o si pretende come unica forma di organizzazione sociale mediante cui gli uomini possano abitare (o distruggere) il mondo.
    (P.S. per il Direttore: Mi ero riproposto di buttar giù un commento breve di “partecipazione” e condivisione. Guarda un po’ dove sono andato a parare…)

  2. mimmo bua scrive:

    domanda:
    vedo sul web che il commento precedente (agli articoli di Andrea Pubusa e Tonino Dessì) è “in attesa di approvazione” da qualche giorno; può essere che il webmaster non abbia avuto ancora il tempo di “approvarlo”. Poco male. E tuttavia chiedo: i commenti agli articoli sono sottoposti a censura preventiva? o di che tipo di controllo/approvazione si tratta? Credo valga la pena di rispondere onde non suscitare dubbi sulla trasparenza dell’informazione e dei rapoorti coi lettori che, com’è noto, almeno al 90% sono anche “scriventi”. Sono curioso di vedere quanto questo secondo “commento” ci metterà ad essere “approvato”.

  3. mimmo bua scrive:

    Chiedo scusa se insisto sui due temi a proposito dei quali ho sentito l’impulso di intrevenire (semplificabili come “identità e politica”, ma d’altronde gli amici del manifestosardo sanno di avere a che fare con un notorio grafomane.
    Leggo proprio stamattina (22 maggio) sul blog di Beppe Grillo una lettera di Marco Travaglio a proposito dell’ultima condanna (regolarmente rimossa dai mezzi di informazione di “massa”) del braccio sinistro del Boss dei boss, Marcello dell’Utri, subita in appello, a Milano, per terntata estorsione aggravata, insieme ad un altro boss della mafia che risponde al nome di Nicola La Torre.. Suggerisco di leggere integralmente la lettera-notizia di Travaglio (anche a proposito degli insospettabili fiancheggiatori) e riprendo qui, a commento di un altro commento, uno dei molti commenti alla lettera di Travaglio di un frequentatore del blog di Beppe Grillo, che si firma Andrea Murrone, (sostituendo soltanto i puntini alle “parolacce”:)

    andrea murrone 22.05.07 07:54

    “… però noi italiani oltre ad essere cretini siamo pure fortemente masochisti…a parte che si capisce palesemente che in italia comandano le varie mafie… anche un bambino di tre anni capirebbe che, se si arresta il fratello del boss, poi la spalla destra che è previti ,la spalla sinistra che è dell’ultri viene condannato,a questo punto si dovrebbe arrestare solo il capo silvio…invece la legge italiana lo assolve dei suoi delitti…un bambino di tre anni risponderebbe: allora anche la legge è mafiosa? invece noi italiani che lo prendiamo sempre nel c… dobbiamo guardare questi nefandi assassini che dai programmi televisivi entrano abusivamente nelle nostre case ridendoci in faccia…che presa per il c. .che spreco di energie…e quante vite assassinate come borsellino o falcone che hanno perso le loro vite per una massa di pecoroni…

    Il commento del cittadino Murrone credo possa essere considerato un segnale della “opinione corrente” degli italiani su chi governa veramente il paese e sul come lo governa. E naturalmente ci sarà anche chi pensa che si tratti solo di un punto di vista…qualunquista o qualunquistico che andrebbe messo “in attesa di approvazione” – espressione che su qualunque blog su internet suona inesorabilmente (e fastidiosamente) come segnale di censura preventiva da parte del gestore o titolare del blog stesso.
    Pertanto suggerisco di evitare la scritta e di lasciare aperti e liberi i commenti agli articoli anche in questo blog del manifestosardo, proprio come accade in tutti i blog abbastanza frequentati.
    Ma il problema, la domanda che mi pongo e vi pongo è un’altra: se anche noi sardi dobbiamo accettare disciplinatamente e “realisticamente” di essere e sentirci (dopo più di un secolo) definitivamente e irreversibilmente italiani, dobbiamo anche accettare il fatto incontestabile di fare parte, ipso facto, della massa di pecoroni che, secondo Murrone, sarebbero anche cretini e masochisti? E – se l’opinione di Murrone è attendibile, continuare, anche noi come tutti gli altri, a prenderla seraficamente nel c…

    Ovviamente non fingo di ignorare la risposta più ovvia: il cittadino Murrone esagera e generalizza. Fra i suoi conterranei ci sono anche quelli che non sono pecoroni, né cretini né masochisti. Io, come probabilmente anche Murrone, di fronte all’ovvia risposta, non potrei evitare di chiedermi: sì ma quanti sono? Ignoro la percentuale statistica e dubito che la si possa stabilire con esattezza. E tuttavia nessuno mi toglie dalla testa che i non-pecoroni, non-cretini, non-masochisti siano davvero pochi, sempre più pochi. Pur essendo pochi in percentuale, può darsi però che siano abbastanza di numero. E tuttavia credo che sia meglio non farsi troppe illusioni in proposito. Proprio perché ritengo che per cambiare le cose radicalmente e decisamente basterebbero, rispetto alla popolazione italiana, due o tremila pesrone realmente e profondamente convinte che “non se ne può più”. In proporzione al numero degli abitanti, nell’isola che mi ostino a chiamare “nostra”, dovrebbero bastare due o trecento. E ancora non ci sono.

  4. mimmo bua scrive:

    n.b. così adesso i commenti “in attesa di essere approvati” sono tre.
    Cercherò di aggiungerne provocatoriamente uno al giorno, finchè al webmaster non salteranno i nervi e si decide, o li approva o li cassa. Dopodichè si potrebbe aprire, anche su manifestosardo, una rubrica-discussione a proposito di “libertà e democrazia sul web: si deve o no mettere una museruola ai grafomani ?” . Anche quando gli venisse chiesto di collaborare? Non pensate che anche questo tema possa rientrare in quello più generale “istituzioni di èlite e rappresentanza (o rappresentazione) democratica”?
    E pervicacemente insisto, a sa manera ‘e su burriku: è segno di rappresentanza o rappresentazione democratica, su un neonato periodico democratico, tenere i commenti “in attesa di approvazione”, magari per i 15 giorni che intercorrono fra un’uscita e quella successiva?
    Suggerimento: date libero spazio ai commenti. Ognuno si prenda la responsabilità di quel che commenta. Quanto ai grafomani finiscono sempre per mettersi la corda al collo e strozzarsi da soli.

  5. mimmo bua scrive:

    tanto per continuare a intasare il sito (poi Andrea sarà contento che il suo articolo risulti il più commentato – anche se sempre dallo stesso pirla :-):

    mi piacerebbe che non sfuggisse a nessuno dei lettori del manifestosardo il bell’articolo di Giulietto Chiesa (una delle 3 o 4 persone oneste rimaste fra gli “eletti” in qualche lista) a proposito di prospettive (della sinistra che non c’è più e di quella che bisognerebbe impegnarsi a costruire, magari rinunciando all’etichetta e inventandosi qualcos’altro. Per esempio: “movimento degli esseri umani contro gli animali – o le bestie – che si spacciano per tali”, oppure “movimento dei non affiliati contro le mafie al potere”.)
    Scherzi a parte il link dell’articolo di Chiesa è:
    http://www.megachip.info/giulietto_chiesa

    p.s. chiedo scusa al webmaster se lo costringo a un super lavoro di approvazione

  6. Michele Rando scrive:

    Chiedo scusa io per aver approvato i commenti con questo ritardo. L’approvazione non entra nel merito dei contenuti del messaggio ma serve semplicemente per evitare di essere intasati dallo spam imperante. Grazie per i tuoi “corposi” contributi. Sono i migliori segni della vitalità di un sito.

  7. mimmo bua scrive:

    grazie a te, Michele. Trovo la tua risposta di una cortesia e una “finezza” sempre più rare. Ma quello che più mi stupisce è la tua davvero “santa” pazienza.

  8. mimmo bua scrive:

    e visto che non c’è 7 senza 8, dato che se ho ben capito sei tu a gestire tecnicamente il sito, non potresti sostituire quel fastidioso ‘tag’ “in attesa di approvazione” con un più anodino e impersonale “in attesa di registrazione” ?
    Sono sicuro che scoraggerebbe meglio la logorrea.

  9. Marcello Madau scrive:

    Michele santo subito

  10. Michele Rando scrive:

    Buone idee!

  11. andrea Pubusa scrive:

    Non si può dire che Mimmo abbia perso la sua vena positivamente “provocatoria” e questo, in tempi di rassegnazione, mi rallegra molto. Perché, vi confesso, la cosa che mi ha sempre più rattristato nella politica, almeno da quando dai movimenti frequentati con passione nell’età verde, sono passato alle istituzioni, al PCI e alla “politica” dei grandi (in senso anagrafico), è la contraddizione, neppure occasionale e tattica, ma ordinaria e sistematica, fra il dire e il fare.
    Dice Mimmo: è possibile far politica con coerenza? E, soggiungo io, coerenza non dico integrale, come pretende Mimmo, ma accettabile? E quindi se si dice che uomini e donne pari devono essere, per non sbagliare si nominano prima le donne e poi gli uomini; o se si dice che la politica dev’essere un servizio, la limitazione dei due mandati è invalicabile; o se si dice che ci si occupa soltanto dei problemi della polis, solo ai gravi problemi della gente si rivolge l’attenzione e l’azione; o se si dice che siamo democratici, a niente di più miriamo se non a massimizzare la partecipazione; e se diciamo che siamo di sinistra, assumiamo come fine permanente la lotta per l’eguaglianza, dando alla nostra azione un moto perenne verso questo obiettivo sempre da riconquistare e riverificare, e cioé ci immettiamo in quel movimento che cambia lo stato di cose presente, di cui ci parlava il barbuto. Insomma, è possibile far politica rendendo ordinaria e perfino banalmente ovvia e scontata la pratica di battersi per le idde, i programmi e gli obiettivi enunciati, praticandoli per quanto dipende solo da noi? Non lo so, caro Mimmo. Anzi, ad esser sincero, penso che questa sia una prospettiva molto pericolosa, almeno per l’equilibrio psico-fisico, per chi l’assuma come direzione del proprio impegno politico. E proprio per ciò in questi giorni, in cui qualcosa inizia a muoversi a sinistra, sono molto combattuto per paura di nuove delusioni e perché vedo l’enormità dei problemi (anche la sinistra ha un volto per nulla accogliente). Ma, partendo da questa consapevolezza, che è un antidoto contro la possibile o probabile frustrazione, perché non provarci ancora? In fondo, l’idea di tentare di fare qualcosa di sinistra e lo sperare in un accettabile coerenza evoca sensazioni dimenticate, eccita un impegno a cui forse è sbagliato rinunciare per la consapevolezza di poter fallire. Anche il Manifestosardo e l’Ass. Pintor nascono dal convincimento che è bene non mollare, che lo sfascio, anzitutto morale, che ci circonda, ci pone il dovere di essere presenti e nessuno più di Pintor ci ha insegnato che al pessimismo dell’intelligenza occorre sempre accompagnare l’ottimismo della volontà.
    Ciao Mimmo, ciao a tutti.

  12. mimmo bua scrive:

    accolgo immediatamente la proposta di Marcello Madau su “Michele santo subito”. E propongo di aprire ipso facto una raccolta di firme, così in voga nella “sinistra sparsa” dei “rabdomanti tristi” (come qualcuno ci ha definito). Dimostriamogli che ancora non abbiamo perso del tutto il senso dell’umorismo che, difronte alle cose tristissime cui ci tocca assistere, riusciamo anche, ogni tanto, a d essere allegri.
    Dunque mi onoro di essere il secondo firmatario dell’appello:
    MICHELE SANTO SUBITO
    (frima anche tu)

    n.b. l’appello – per chi non lo avesse capito – è scherzoso.
    E serve soloo a verificare se ha tolto la scitta “approvazione” sostituendola con “registrazione”.

  13. mimmo bua scrive:

    l’odiosa scritta è sempre lì. Ritiro la frima dall’appello, che però si può anche riformulare così:

    MICHELE SANTO SUBITO – NON APPENA AVRA’ RIMOSSO
    L’ORRIPILANTE SCRITTA (*)

    (*) VISTO CHE l’odiata scritta serve solo ad indicare le giuste precauzioni onde evitare di essere intasati dallo SPAM imperante meglio mettere:
    ” COMMENTO SOTTOPOSTO AD ANALISI ANTI-SPAM ”

    La notoria ed apprezzata verve sassarese dovrebbe gradirlo senza riserve (Marcello ci dirà….)

  14. Marcello Madau scrive:

    d’accordo com mimmo.
    Rando muoviti, altrimenti dovremo modificare l’appello in
    MICHELE SANTORO SUBITO

  15. mimmo bua scrive:

    U n grande saggio ha detto:
    “L’umorismo è il sale dell’esistenza. Senza umorismo il mondo perderebbe completamente il suo equilibrio (ne ha già poco) e sarebbe andato al diavolo già da un pezzo”.
    Dunque ancora un evviva all’intramontabile, irresitibile e “provvidenziale” verve sassarese (di cui Marcello mi pare un rappresentante davvero “in giabi”.)
    In tempi in cui i nostri stessi compagni più vicini sentono di descriverci come i “rabdomanti tristi” della sinistra (nel senso di: quelli che la cercano da almeno 40 anni e ancora non la trovano) non posso che ribadire: un po’ di allegria ci vuole, perbacco! Saremo anche dei rabdomanti “tristi” e però (tanto per parafrasare un titolo di Bobore Cambosu) “l’allegria non ci manca”.
    Purtroppo non so come si possa dire in sassarese, ma sono sicuro che c’è una frase ancora più icastica. Marcé, pra piazeri, pensabi tu… (perdona l’ortografia sicuramente inesatta, dovuta al fatto che lo scrivente è di li biddhi e il sassarese – la lingua del nostro grande Pompeo Calvia e non solo – l’ha soltanto orecchiato.

  16. mimmo bua scrive:

    n.b
    a quanto pare (o appare) Rando non si muove: devono essecri serie difficoltà tecniche o di “conflitto di configurazione” che purtroppo ritardano la rimozione dell’insopportabile scritta. Che potrebbe ingenerare nei disinformati il sospetto che sia proprio lui, il nostro ottimo Rando, a voler conservare il diritto, se non altro, ad una “censura preventiva anti-spam”. Invece è impensabile che i ripetuti appelli non gli abbiano già fatto girare vorticosamente i cosiddetti.
    Per cui credo proprio sia necessario rendere operativo sul sito il nuovo appello di Marcello:

    MICHELE SANTORO SUBITO

    (il sottoscritto ha firmato; firma anche tu)

    p.p.s.
    ad ogni modo un “record” è già stato raggiunto.
    Per motivi di ordine puramente personale (la stima e l’affetto che da almeno 20 anni nutro per Andrea) volevo che il suo articolo fosse di gran lunga il più commentato. Mi rammarico di non aver usato pseudonimi di cui potrei agevolmente disporre. Non è detto che non lo possa fare in seguito. Così almeno potrò condividere il disagio (o il dispitto) della maledetta nenia ricorrente: “il tuo commento è in attesa di essere approvato”

  17. Michele Rando scrive:

    Caro Mimmo (scusami se ti do del caro ma la familiarità che ormai hai nelle mie giornate/schermate me lo suggerisce), perdonami se non ho ancora fatto la correzione. Si tratta di una modifica sul codice. Devo solo trovare il tempo di metterci mano con cura. E per la settimana prossima potremo finalmente mettere i nostri commenti senza subire l’orribile “approvazione”.

  18. mimmo bua scrive:

    E comunque – in attesa che Michele apporti le invocate modifiche tecniche – possiamo (credo) andare avanti “come se niente fosse”.
    Caro Andrea (ribadisco l’aggettivo solo perché ho sempre ritenuto che sentire e palesare l’affetto e l’amicizia tra compagni non è inopportuno e non guasta) potremmo anche andare avanti scambiandoci qualche lettera o telefonata, o parlandone a voce di tanto in tanto, su un tema che riemerge o continua a sembrarci importante da almeno 40 anni ( e ricordo ancora una volta che il quarantennale del ’68 è giusto alle porte). Potremmo anche chiamarlo un tema “squisitamente sessantottino”. Dato che resto convinto sia stato proprio questo il motivo di fondo che ci spinse, 40 anni fa, a “scendere in campo” – non certo dal “trono” delle ricchezze già acquisite grazie al malaffare, ma perché, oltre che poveri, ci sentivamo anche orfani di qualcosa. Sintetizzando ferocemente credo si possa dire: orfani di una politica che davvero si proponesse di cambiare a fondo le cose e non di lasciarle stagnare nell’immobilismo paludoso del post-fascismo. Sentivamo, nientepopodimeno che, di voler cambiare il mondo e di volerci impegnare in questo dando tutto quello che era possibile dare. (Cosa di cui non mi sono mai “pentito” o illuso di “aver già dato” e di potermi, con ciò, tirare indietro. Ciò da cui mi sono sempre tirato indietro, orripilato e davvero con una puzza soffocante al naso, è la “politica politicante” (se proprio vogliamo insistere sull’eufemismo). Dalla quale, mi pare, hanno continuato imperterriti a tirarsi indietro quei pochi ma buoni che ho continuato e continuo a considerae come i miei “compagni di lotta” ma non certo di “governo” (perché figuriamoci se, essendo non solo onesti e coerenti con i valori e i principi, ma anche competenti e capaci, quegli altri li avrebbero mai messi in condizioone di governare!. E quando a qualcuno ne è stata data (finalmente!) la possibilità e l’opportunità (tanto per non far nomi, al nostro comune amico e compagno Tonino) abbiamo visto come è andata: in positivo per quanto riguarda il “governo”, in negativo per quanto riguarda la possibilità tolta di continuare a governare bene, anzi, se mi è concesso o “consetito” dirlo, benissimo.O come meglio non si poteva e non si può.
    Dunque, visto che riteniamo il tema importante almeno quanto ci sembra “vecchio” o di vecchia data, forse non è del tutto inopportuno continuare a “pallleggiarcelo” in pubblico (ovvero sul sito di questa graditissima novità “virtuale” del manifestosardo). E non escludo neppure che questo nostro rimuginare nella memoria di vecchi “militanti” o “rabdomanti” (tutto sommato allegri) di una sinistra che non c’era e non c’è (purtroppo) ancora, possa anche tornare in qualche modo utile a militanti più giovani, sicuramente più freschi e perciò anche più allegri di noi. Fermo restando che, come mi è capitato già di ribadire, a nosatrus puru (pure a noi) l’allegria non ci manca (pur’a mme mi piace, direbbe un noto comico romanesco), E ti confesso che l’idea di poter dare qualcosa di utile ai giovani militanti che vogliono finalmente potersi impegnare in una sinistra degna del suo “nome” – cioè dei valori, dei grandi ideali e dei fini nobilissimi che essa rappresenta o per meglio dire DOVREBBE rappresentare – non solo mi conivnce e mi sospinge, ma mi esalta.
    Anche se hai perfettamente ragione a ricordare che è meglio non esaltarsi e che ogni genere o tipo di “euforia” andrebbe rigorosamente evitato o tenuto a freno..
    Il tutto per ribadirti che ciò che scrivi nella conclusione del tuo graditissimo commento al commento del tuo (per me) prezioso articolo:

    “l’idea di tentare di fare qualcosa di sinistra e lo sperare in un accettabile coerenza evoca sensazioni dimenticate, eccita un impegno a cui forse è sbagliato rinunciare per la consapevolezza di poter fallire.”

    non può che trovarmi assolutamente consenziente. Al punto da espungere il “forse” e trascrivere: sarebbe sicuramente del tutto sbagliato.

    Dici quindi:

    “Anche il Manifestosardo e l’Ass. Pintor nascono dal convincimento che è bene non mollare, che lo sfascio, anzitutto morale, che ci circonda, ci pone il dovere di essere presenti e nessuno più di Pintor ci ha insegnato che al pessimismo dell’intelligenza occorre sempre accompagnare l’ottimismo della volontà.”

    Il convincimento ci fa sentire e ritrovare, ancora una volta, in “prima linea” (sia chiaro, senza nessun riferimento a disgraziate sigle usurpate o usurpatorie, del tipo, tanto per intenderci, “forza italia!” – la prima rubata al linguaggio militaresco e militantesco, la seconda agli stadi di calcio.)
    Mi piacerebbe solo aggiungere: non sarebbe ora che all’ottimismo della volontà potessimo appaiare anche quello dell’intelligenza?
    Secondo me è possibile. E se le cose andranno avanti (non credo che ci sia più nessuna possibilità che vadano indietro: più indietro di così?) avremo sicuramente modo di chiarircelo e di tentare almeno di chiarirlo a quei giovani ai quali, data l’età “avanzata” , sentiamo il bisogno di passare il cosiddetto testimone. Operazione che, nella corsa detta a staffe o a staffette, non è affatto un tirarsi indietro, ma il solo modo per andare avanti e, se e quando sia possibile, vincere la corsa.
    In questo senso credo sia nel giusto il nostro giovane compagno Gianluca quando ribadisce che “le battaglie in cui si crede profondamente – se sono giuste – alla fine non sono mai perse.” Anche se possono succedere o ricorrere più o meno lunghi periodi in cui si ha la temibile sensazione di averle perse. E magari ancora non si sa, o non si vede come le si possa vincere. Diciamo che si continua a cercare, ostinatamente e cocciutamente, il modo. E come direbbe un sassarese “in giabi” (alla Marcello, per intenderci, cioè dotato di quell’incontenibile senso dell’umorismo che da sempre salva il mondo): un giorno lo dovremo pur trovare GA! Ecco: credo stia in questo la “chiave” per ritrovare, oltre all’ottimismo della volontà, anche quello dell’intelligenza.
    Mi rendo conto, ovviamente, che una cosa del genere può pensarla solo un “idealista”. Cioè uno che, nonostante tutto, continua imperterrito a credere negli ideali. Personalmente non mi vergogno affatto di potermi annoverare fra questi. Credo neanche tu.

  19. mimmo bua scrive:

    Breve aggiunta (nè indipensabile e forse neppure necessaria) per Michele e Marcello (e chiunque altro volesse condividerla senza storcere il naso o la bocca):

    E come mai saremmo potuti arrivare a scambiarci il “caro” se non avessimo cazzeggiato per una settimana sulla pallosa storia del codice da modificare?
    Ora, per quel poco che ne so, “caro” ha a che fare anche con “prezioso”.
    La pedante precisazione per chiedervi, dato che voi siete giovani e io vecchio:
    l’amicizia che prevede anche una certa complicità d’umorismo e di allegria, non è da ritenersi cosa giovane e non vecchia? E – se giovane – perché non anche auspicabile e preziosa ?
    Spesso, in particolare “a sinistra”, si tende a confondere umorismo con goliardismo e amicizia con complicità personalistica che potrebbe anche portare a comportamenti ‘cospiratori’ o ‘frazionistici’ (amarcord!)
    Eppure resto convinto che – così come è accaduto a una sinistra “vecchia” – senza umorismo (a volte anche detto ‘spirito’, nel senso di spiritoso) nessuna sinistra nuova (o ricostruita dalle fondamenta) potrebbe o potrà mai andare non solo avanti, ma da nessuna parte. E saremmo tutti condannati ad essere per sempre dei “rabdomanti tristi”, tipo gente che ama scassarsi il cranio e quell’altro organo centrale a cercare acqua nel deserto.
    Visto che abbiamo usurpato questo serissimo spazio dei commenti per intrecciare rappoorti di tipo semi-epistolare, a tratti persino “cionfraiolo”, mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate….seriamente
    E nel chiedervelo un fremito di gioia mi titilla i gomiti al pensare che, dalla prossima settimana, nè domande né risposte saranno più sottoposte a snervanti attese di approvazione. E – qui lo dico qui lo ribadisco – Michele sarà santo ! Ga!
    Occhio! vi sto chiedendo di essere complici nell’affermare la totale e incondizionata libertà – se non altro o per lo meno – delle domande e delle risposte. Lasciandosi andare, di tanto in tanto, a un moto (o motto, o mottetto, per dirla alla sarda) di allegria. Insomma, compagni: “A morte i lupi e anche i toni cupi!”

  20. mimmo bua scrive:

    Non so se sia corretto farlo (dato che basterebbe un link): copio in questo spazio l’articolo di Giulietto Chiesa apparso sulla Newsletter di Megachip proprio stamattina (l’ho letto dopo una brve conversazione telefonica col nostro beneamato direttore):

    Ridateci partiti per volare – 28-5-07

    di Giulietto Chiesa – Megachip da e-polis

    Che esista una crisi della politica non c’è dubbio. L’hanno capito tutti, da D’Alema a Montezemolo. Il problema è che molti di coloro che la denunciano adesso ne sono i principali responsabili. Inclusi i due illustri sopra menzionati. I quali si guardano bene dall’andare a fondo nella ricerca delle cause. Che invece sono spaventosamente chiare. Esse consistono nel fatto che l’attuale classe politica, tutta intera, si è trasformata in una “classe”, nel senso classico del termine: gruppo di individui che difendono i propri interessi e si organizzano di conseguenza.

    Sfortunatamente questi impiegati dei cittadini (rubo il termine, del resto esatto, a Beppe Grillo) si sono organizzati per difendere interessi che non coincidono con quelli dei cittadini. Cioè li eleggiamo noi, ma poi loro lavorano per se stessi. E sono intercambiabili, nel senso che lottano tra di loro, destra contro sinistra e viceversa, ma solo fino a che la gente, i cittadini, sono lasciati fuori e non disturbano, salvo poi coalizzarsi tra di loro contro i cittadini non appena il loro status è minacciato.

    Volete le prove? Ne scelgo due tra le tante: l’indulto, con cui si sono reciprocamente salvati. E il decreto Mastella contro le registrazioni, che mette la classe politica e imprenditoriale al riparo da occhi indiscreti, come quelli dei magistrati, e dei giornalisti che volessero indagare.

    Ma potrei aggiungere la privatizzazione della televisione di stato da parte dei partiti, che la usano per i loro teatrini e cerimonie, allestite dai Bruno Vespa di turno, contro la gente comune, costretta, inconsapevole, a sopportare.

    Dico subito che non sono contro i partiti. I partiti sono necessari, proprio in quanto difendono gl’interessi dei diversi settori della società. La Costituzioni , giustamente, li prevede. Ma ridateci i partiti veri. Questi di adesso sono dei simulacri vuoti pieni di gente che fa gli affari suoi.

    E i loro leader non hanno più idee.

    Allora poniamoci una domanda: chi può risolvere questa crisi? Chi può cercare di colmare la voragine che separa governanti (si fa per dire) dai governati?
    Io penso che solo i governati possano e debbano farlo. Ma ci vuole un’opposizione vera, che sia capace di combattere contro la classe politica che abbiamo ereditato dal craxismo e dalle sue ubbie sulla “governabilità. Non abbiamo bisogno di esecutivi più forti, abbiamo bisogno di più democrazia. E dobbiamo sapere che nessuno ce la regalerà. Loro no di certo. Questo bipartitismo imperfetto è molto simile a quello che Gore Vidal descrive per l’America: un’aquila con due ali, entrambe destre. Così non si vola.

    Se lo copio è perché evidentemente lo condivido in toto. Peccato che Chiesa non lo abbia scritto prima: mi sarei e vi avrei risparmiato almeno una decina di pletorici commenti. E il buon Michele avrebbe dovuto mettere “in attesa di approvazione” soltanto un link.

  21. essential scrive:

    Un discorso Marxista che vive nell’utopia improbabile e impossibile del “governo del popolo”.
    Certamente il problema della scelta dei candidati espressione dei partiti deve subire evoluzioni ma la realtà delle cose ci dice cose diverse:
    Nella sinistra sono stati candidati ed eletti (Marini, Bertinotti, Benvenuto, Lama, Cofferati etc) ex sindacalisti ovvero rappresentanti dei lavoratori e ex lavoratori anch’essi. Me è evidente che il loro passaggio di status li ha naturalmente e chiaramente cambiati: non sono più “lavoratori” e non potranno più esserlo.
    Ed ecco cosa accadrebbe al “partito dei lavoratori”: ci sarebbe la brava oligarchia nel partito, scelta dalla base, che farà politica di professione. Forse potrà fare l’interesse dei lavoratori, ma una volta arrivato al governo dovrà fare gli interessi di tutti. Diventerà così la classe politica dominante rappresentativa magari imborghesita dall’alto stipendio e dalle responsabilità.
    Ovvero la situazione attuale.
    Liberi tutti però di continuare a sognare…

  22. andrea Pubusa scrive:

    Forse Essential non ha capito a causa delle mie oscurità che per Gramsci e per i marxisti la conquista e la tutela dei diritti vede come diretti protagonisti anzitutto gli stessi soggetti che li rivendicano. Certo, il problema della rappresentanza che si fà casta è sempre esistito, anche Gramsci ne ha parlato. Ma un partito che pone il lavoro e i lavoratori al centro del proprio programma, sicuramente li tutela di più di chi opta per altre soluzioni (ad esempio il mercato, l’impresa, la concorrenza etc.). In fondo quando c’era il Partito Comunista, nonostante i tanti difetti, i diritti dei lavoratori erano meglio tutelati di oggi; i gruppi parlamentari comunisti erano in maggior sintonia con le classi deboli i quanto non lo siano le attuali rappresentanze. Certo, in tutto ciò che si vuol fare c’è sempre un tasso di utopia, la realtà si avvicina sempre per difetto alle idealità, ma accettare lo stato di cose presente è, sopratutto oggi, mortificante. Caro Essential perché ci vuoi privare anche della libertà e del piacere di sognare?

  23. mimmo bua scrive:

    (personale)
    caro Andrea
    sicuramente ho ecceduto coi commenti, utilizzando lo spazio in calce al tuo articolo come se fosse il tuo e in offerta libera. Inoltre ho fatto il temerario errore di commentare qualche altro articolo, magari anche di qualcuno che non gradisce commenti, a meno che non si tratti di elogi. Era ovvio che qualcuno finisse per infastidirsi. Chiedere scusa sarebbe ipocrita. E tuttavia mi impegno ad essere sobrio. D’ora in avanti – dopo questa ultima estroflessione non richiesta – commenterò in silenzio.

  24. enrico scrive:

    aperta la pagina,
    letto l’articolo.
    avrei letto anche i commenti ma mancano di sintesi,
    vecchia scuola?
    da ultimo stanno finalmente riducendosi.
    qualcuno potrrebbe sintettizzarmi le posizioni nell’analisi?
    senza incorrere nel silenzio?
    grazie,
    spero, da esterno, di non chiedere troppo

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