Jens Weidmann “cane da guardia” dell’euro

1 Novembre 2015
Jens Weidmann
Gianfranco Sabattini

Jens Weidmann è diventato il “cane da guardia” dell’euro; egli è la pura espressione dell’ordoliberismo moderno e “degno erede”, per certi versi, delle idee dei predecessori Alexander Rüstow, Walter Eucken e Wilhelm Röpke, che nel 1938 hanno coniato quell’espressione, la quale, senza possibilità di equivoci, designa nell’immaginario collettivo l’idea di ordine (ordo) nell’organizzazione e nel funzionamento del sistema economico.

In linea di principio, l’ordoliberismo potrebbe anche rappresentare un’ideologia ed una politica economica accettabili, se però fosse possibile ispirarsi ad esso per dare piena attuazione al compromesso tra capitale e lavoro, di keynesiana memoria, all’interno di aree integrate, se non proprio sul piano politico, almeno su quello economico, com’è ad esempio quella dell’Unione Europea. Il compromesso, che nel Paese di Weidman, ha consentito di realizzare una regolazione del sistema sociale e di quello economico che è passata nel discorso pubblico col nome di “economia sociale di mercato”, alla quale aspira a conformarsi l’intera area comunitaria.

Questa forma di regolazione, però, è stata realizzata in una Germania ancora fuori dagli obblighi internazionali oggi prevalenti, attraverso una politica lungimirante, proseguita anche dopo la creazione dell’eurozona e che ha consentito di “onorare” il compromesso tra capitale e lavoro mediante una costante politica riformatrice attuata a centottanta gradi; una politica cioè, tale da garantire la conformazione sia del quadro istituzionale alle esigenze di funzionalità del sistema economico, sia dell’offerta delle opportunità del sistema produttivo all’esistente quadro istituzionale.

Ciò non è stato privo di conseguenze positive per il sistema sociale tedesco; ne è prova il fatto che, quando è scoppiata la crisi del 2007/2008, la Germania, grazie all’ordine che caratterizzava la propria economia e le proprie istituzioni, a differenza di altri Paesi, all’interno dei quali non era stato realizzato lo stesso ordine nell’economia e nell’organizzazione sociale, ha potuto affrontare con successo gli esiti negativi della crisi. Oggi, Weidmann vorrebbe che i Paesi dell’eurozona in crisi rimediassero ai propri mali, ricorrendo alla “cura riformatrice” attuata in Germania senza soluzione di continuità nel tempo ed ignorando gli obblighi assunti, sia a seguito dei Trattati istitutivi della moneta unica, sia a seguito del fatto che l’introduzione di quest’ultima ha originato una interdipendenza pressoché irreversibile delle economie dei Paesi dell’eurozona, nel senso che ciò che avviene all’interno di un dato Paese non può più essere considerato indipendentemente dalle condizioni di funzionamento degli altri Paesi dell’Unione Monetaria.

Assieme al suo connazionale integralista Ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, Weidmann vorrebbe salvaguardare la stabilità della moneta unica europea ad ogni costo, mostrando nell’esercizio della sua principale funzione di governatore della Bundesbank, una durezza ed una rigidità da fanno risultare il suo ordoliberismo totalmente in linea con l’ideologia propria della Mont Pélerin Society di Friedrich von Hayek e Milton Friedman. Le sue esternazioni in merito alla politica monetaria comunitaria, oltre ad originare dalla sua formazione professionale, derivano soprattutto dalle sue idee riguardo all’ipotetica modifica dei Trattati comunitari, a causa dei ritardi con cui i Paesi dell’Unione stanno procedendo sulla via dell’unificazione politica.

Jens Weidmann si laurea in economia a Bonn e perfeziona la sua professionalità lavorando al Fondo monetario internazionale. Nel 2006 diventa consigliere di Angela Merkel, a capo del dipartimento di politica economica e finanziaria; in questi anni, egli cura i contenuti dell’agenda compilata per conto del governo tedesco in occasione degli incontri del G20. Nel 2011, a soli 43 anni, diventa il più giovane presidente della storia della Bundesbank; nel suo discorso d’insediamento Weidmann spiega subito la sua filosofia economica: “Nella politica monetaria si tratta di uscire dalle misure di emergenza dettate dalla crisi, così come di separare chiaramente le responsabilità della politica fiscale da quelle della stessa politica monetaria”.

Sulla base di questi convincimenti è stato inevitabile che Weidmann giungesse a risultare il principale antagonista del responsabile della massima istituzione monetaria europea, Mario Draghi. La dura posizione assunta da Weidmann nei confronti delle possibili misure di politica monetaria, a sostegno soprattutto dei Paesi dai conti pubblici in disordine, preoccupa ancora di più, se si pensa che il governatore della Bundesbank è stato anche nominato nuovo presidente della Banca per i Regolamenti Internazionali; questa, com’è noto, è la banca delle banche centrali ed ha il ruolo di coordinare le decisioni delle autorità monetarie nazionali e di definire gli standard della normativa bancaria, nonché di proporre le modalità di revisione delle regole di Basilea, l’accordo internazionale di vigilanza prudenziale riguardante i requisiti patrimoniali richiesti alle banche per l’esercizio della loro attività.

Weidmann non perde mai l’occasione per ribadire il suo pensiero in tema di politica monetaria europea: immettere denaro in circolazione è, secondo i suoi convincimenti, una terapia inutile, se non dannosa, contro la deflazione; ancora, egli ritiene che la Commissione europea e il governo del suo Paese siano troppo remissivi e indulgenti, soprattutto nei confronti di quei Paesi i cui conti pubblici presentano i maggiori deficit, come Francia, Italia e Belgio, sempre propensi a non rispettare i parametri di stabilità. Egli è fermamente convinto che i problemi dei debiti sovrani di questi Paesi possano essere risolti solo con l’unione politica dell’Europa, con il supporto della volontà popolare e la cessione di sovranità ad un organismo decisionale politico centrale europeo. In mancanza di una riforma in tal senso dei Trattati comunitari, considerata improbabile, Weidmann continua a ribadire l’idea che la Germania non debba impegnarsi finanziariamente a sostenere gli altri Paesi dell’eurozona, evitando di contribuire, per questa via, a diffondere l’euroscetticismo, strumentalizzato dalla crescita in tutta l’Europa dei movimenti populisti.

Weidmann ha ribadito la necessità di una riforma dei Trattati istitutivi dell’Unione Monetaria Europea anche in un recente articolo apparso su “la Repubblica”, dal titolo perentorio: “L’Europa vuole rigore, non finanziamo i deficit”: “Fintanto che non vi sarà una sufficiente disponibilità a compiere un passo importante – egli afferma – verso l’integrazione, con le necessarie modifiche del quadro giuridico, occorre potenziare quello vigente di Maastricht e renderlo più resistente alle crisi”. Come? Weidmann, al riguardo, non ha esitazioni. Occorrono tre cose, egli afferma: un sistema finanziario robusto, meccanismi anticrisi validi e regole di bilancio efficaci.

Il sistema finanziario deve essere potenziato per consentire che le banche abbiano “più capitale proprio e di migliore qualità”; considerando che Weidmann è ora anche Presidente della Banca per i Regolamenti Internazionali, c’è da stare certi del suo impegno verso un ulteriore inasprimento degli accordi di Basilea, per indurre le banche a ristrutturarsi, al fine di aumentare la loro solidità e dissolvere il loro intreccio con gli Stati e ridimensionare la loro “preferenza di impronta regolatoria per i titoli di Stato rispetto al credito erogato a imprese e famiglie”. Il quadro giuridico comunitario deve essere rafforzato, sulla base di “chiare regole” poste a fondamento di procedure idonee a fare fronte, con maggiore coerenza, all’eventualità di insolvenza degli Stati. Infine, le regole di bilancio devono essere rispettate con maggior rigore e trasparenza, per rimuovere la loro “applicazione piuttosto lassista da parte della Commissione europea nei confronti dei Paesi con un deficit pubblico troppo elevato”.

In relazione a quest’ultimo aspetto, Weidmann è del parere che, sin tanto che non si raggiungerà l’unione politica, sarebbe opportuno trasferire i compiti di vigilanza della Commissione sui bilanci pubblici ad un’”istituzione indipendente”, evitando di coinvolgerla, come avviene con alla Commissione, “nel processo di contrattazione politica europea”; ma anche per sottrarre la soluzione dei problemi monetari alla politica, la cui interferenza nel governo della moneta unica è solo causa dell’instabilità dell’Eurosistema e con esso di tutta l’Unione Europea.

Tutti quei governanti attualmente in carica, come ad esempio quello italiano, propensi ad occuparsi di altro, piuttosto che operare perché il processo di unificazione politica dell’Europa compia un deciso scatto in avanti, avranno a che fare con un avversario aggressivo; una sorta di “pit-bull” di razza, sempre pronto a “ringhiare” ogni volta che, per risolvere i problemi interni dei propri Paesi, questi governanti sono solo propensi a recarsi a Berlino per piangere sulle spalle della Cancelliera Angela Merkel, o a intonare il solito lamento che i vincoli di Maastricht sono troppo stretti, come se i loro predecessori, firmando i Trattati istitutivi dell’eurozona, li avessero accettati col sottinteso di poterli trasgredire a piacimento.

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