Difendiamo i diritti

16 Ottobre 2007

Marco Ligas

Come era nelle previsioni la consultazione sul protocollo d’intesa tra governo e sindacati ha avuto come risultato l’accettazione degli accordi siglati il 23 luglio scorso. Sia la partecipazione al voto che il divario tra il si e il no sono stati rilevanti. La combattività di tanti lavoratori per la tutela dei diritti non sempre è sufficiente per correggere una politica economica che tende ad accentuare il divario tra le categorie del profitto e del salario. Non basta soprattutto quando viene identificata come un male destinato a mettere in crisi un governo amico. I vertici sindacali hanno lavorato intensamente perché il protocollo d’intesa venisse accettato; in taluni casi hanno usato metodi che poco hanno a che fare con la democrazia e nel complesso hanno il torto di non aver definito regole certe sulla partecipazione al voto. Queste scelte hanno sicuramente influenzato l’esito finale della consultazione sebbene non si debba metterne in dubbio il risultato complessivo che risulta netto. Tuttavia la consultazione ha confermato anche l’esistenza di un profondo malessere fra i lavoratori, soprattutto fra quelli della media e grande industria. In questi settori, il voto, e anche le assemblee che lo hanno preceduto, hanno sottolineato il carattere iniquo della politica del governo che distribuisce alle imprese risorse assai più consistenti di quelle che concede al mondo del lavoro. Sarebbe bene che tanto il governo quanto le organizzazioni sindacali tenessero conto di queste indicazioni anziché adagiarsi sull’esito della consultazione appena conclusa. Per un governo progressista non è certo un segno di coerenza fissare un numero chiuso fra coloro che hanno il diritto di andare in pensione con tre anni di anticipo dopo avere svolto lavori usuranti. Le statistiche sui lavoratori che svolgono queste attività dicono che la quota stabilita dal governo è insufficiente: chi svolge il lavoro usurante, se non verrà modificato il protocollo, dovrebbe dunque rinviare la data del pensionamento perché non si vogliono reperire altre risorse, per esempio attraverso la tassazione delle rendite finanziarie. Ma questa critica non è l’unica emersa nel corso della consultazione. La precarietà del lavoro è l’altro tema da non trascurare assieme all’esigenza del superamento della legge 30 e della cancellazione dei contratti a tempo determinato.
Sono queste le ragioni che hanno spinto il Manifesto, Liberazione e Carta, già nel mese di agosto, a promuovere la manifestazione del 20 ottobre e che non sono state certo oscurate dalla consultazione di questi giorni. Una manifestazione di lotta – i lavoratori sono sempre costretti a lottare per affermare i loro diritti – perché il governo rispetti gli impegni assunti nel corso della campagna elettorale. Tutti coloro che vedono in questa iniziativa una provocazione rivolta contro i sindacati o un tentativo teso a destabilizzare il governo sbagliano profondamente e non capiscono che eludendo questi problemi si consolida un atteggiamento di sfiducia nei confronti della politica con un conseguente distacco dalla vita democratica: queste e non altre sono le vere ragioni della destabilizzazione.
Ma c’è un altro deficit nella politica del governo: riguarda il ruolo e l’impegno del nostro paese nelle iniziative per la pace. Anche qui siamo lontani dagli impegni assunti durante la campagna elettorale. Il governo ha accolto con una rapidità sorprendente la richiesta americana di allargare la base militare di Vicenza; ha preso questa decisione senza tener conto del parere contrario della popolazione di quella città così come ha accettato senza batter ciglio la decisione della Nato di partecipare alla creazione dello scudo spaziale ai confini della Russia mettendo a disposizione risorse finanziarie rilevanti, naturalmente sottraendole alla politica del welfare. Seguendo questo indirizzo poco compatibile con una politica di pace ha infine programmato, questa volta col sostegno entusiastico del governatore della Sardegna, il prossimo appuntamento dei G8 a La Maddalena. Questa decisione è stata presa contemporaneamente all’allontanamento della nave d’appoggio americana da Santo Stefano. Anziché provvedere al risanamento ambientale provocato dalla presenza degli armamenti nucleari, si darà così ospitalità ai fautori delle guerre preventive e ai sostenitori dell’esportazione della democrazia perché perpetuino le politiche di immiserimento dei paesi poveri. C’è una forte ambiguità in questa scelta: mentre si dichiara che la decisione di ospitare i G8 metterà a disposizione della comunità locale risorse funzionali alla ripresa dell’occupazione, già si programmano interventi di ricezione di nuova domanda turistica Quella che si predispone nell’arcipelago maddalenino è una tipologia di intervento che abbiamo imparato a conoscere profondamente. I risultati sono già noti per averli già visti in altri luoghi, per esempio nella costa smeralda, e prevedono l’estensione delle aree da destinare al turismo di élite. Questa ipotesi, confermata dalle prime manovre in atto, ci sembrano rafforzate dalla messa in stato d’accusa dei parchi nazionali da parte del governatore sardo che sarebbero a suo dire degli istituti stipendifici. Mai come in questo caso la rivendicazione autonomistica ci sembra finalizzata ad un potenziamento del settore turistico che poco ha in comune con uno sviluppo sostenibile e una crescita dell’occupazione. Per tutte queste ragioni parteciperemo alla manifestazione del 20 ottobre estendendo l’invito a tutti coloro che hanno a cuore le sorti della democrazia.

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