La nuova Colombia di Gustavo Petro e Francia Márquez

1 Luglio 2022

[Maurizio Matteuzzi]

Nessuno può dire come andrà a finire però adesso, per la Colombia e l’America latina, è il momento del “vivir sabroso”.

Quel piacere pieno e succoso di vivere che è uno degli slogan di Francia Márquez, la nuova vicepresidente della repubblica, la vera grande novità del trionfo insieme a Gustavo Petro dell’accoppiata di sinistra nel ballottaggio del 19 giugno scorso in Colombia. In realtà è più che uno slogan: vivir sabroso in fin dei conti non è altro che vivere in pace, senza paura e con dignità. Scusate se è poco in un paese come la Colombia, probabilmente il più violento e classista, di destra e filo-USA (finora) dell’America latina.

Un paese che, come ha detto la sera della vittoria la popolarissima leader sociale afro-colombiana, madre single e donna di servizio prima di diventare avvocato, ci ha messo più di 200 anni, dalla battaglia di Boyacá fra gli indipendentisti bolivariani e i realisti spagnoli nel 1819, per “arrivare a un governo popolare, un governo della gente comune, un governo dei signor nessuno e delle signore nessuno”: “el gobierno de las nadie y los nadie”.  

Nessuno può dire come andrà a finire. Ma nessuno poteva pensare a un cambio così radicale dall’estrema destra alla sinistra del paese degli Álvaro Uribe, il presidente degli squadroni della morte, l’uomo che in pratica ha mandato all’aria gli accordi di pace con le FARC del 2016; e degli Iván Duque, il suo successore dal 2018, arrivato più volte sull’orlo della guerra aperta (su input degli USA di Trump) con il Venezuela chavista.

Adesso il cambio c’è stato contro venti e maree: “sí se pudo”, sì si è potuto come gridava la folla la notte della vittoria riecheggiando lo “yes we can” di Obama (sperando che l’accoppiata Petro-Márquez funzioni meglio di quella Obama-Biden).  La spinta per il cambio è stata più forte della paura alimentata ossessivamente del fantasma “del castro-chavismo” incarnato da Petro, ex guerrigliero guevarista (M-19) ma poi sindaco di Bogotà, grosso modo socialdemocratico forse con più fantasia.

Ora viene il bello del vivir sabroso. E non sarà facile per lui e Francia mantenere i tre obiettivi che gli hanno dato non solo la larghissima vittoria al primo turno elettorale ma anche l’inaspettato e amplissimo trionfo nel ballottaggio smentendo quello che numeri e tendenze sembravano delineare. Ci vorranno abilità e fortuna per fare della Colombia, un paese di morte, “una potenza mondiale della vita” che si metta alla testa di quel triplice obiettivo: la lotta contro il cambio climatico, per la pace, per la giustizia sociale e ambientale.

Nessuno può dire come andrà a finire ma forse nessuno poteva aspettarsi un cambio di scenario così radicale e rapido in America latina: in dicembre lo spettacolare ballottaggio nel Cile di Gabriel Boric, in giugno lo spettacolare ballottaggio nella Colombia di Gustavo Petro (e in gennaio perfino la spettacolare vittoria di Xiomara Castro alle presidenziali del desolato Honduras).

L’America latina è in movimento nonostante la doppia crisi della pandemia e della guerra Russia-Ucraina (per interposti NATO e USA). Sembra in qualche misura di essere tornati indietro di un ventennio quando si parlava della “marea rosa”. La situazione è cambiata, i personaggi sono cambiati. L’unico sopravvissuto di quella stagione politica è Lula da Silva che stando a tutti i sondaggi dovrebbe vincere le presidenziali di ottobre in Brasile.

Col passare degli anni ha perso molte delle sue piume, e non solo per via dell’età. Ma resta un grande. Ci sarà bisogno di lui non solo per il povero Brasile devastato da Bolsonaro ma anche per questa nuova e inattesa America latina.

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