La paura

20 Giugno 2018

Il Trump di Gipi, Gianni Pacinotti, realizzato per Internazionale

[Massimo Dadea]

Parafrasando il Manifesto di Karl Marx, uno spettro si aggira per l’Europa, e non solo: la paura. Uno stato d’animo, un’emozione, una sensazione di pericolo per qualcosa che minaccia la nostra esistenza. Paura del diverso: per colore della pelle, per cultura, per credo religioso, per genere, per preferenze sessuali. La paura si è impadronita delle nostre esistenze e ne scandisce il tempo. Ancora una volta, agitare lo spettro della paura rischia di diventare vincente. Era già successo il 4 marzo, quando la destra populista e xenofoba ha vinto le elezioni sollecitando gli istinti più bassi, le paure ancestrali degli italiani. Quella campagna elettorale non è mai terminata ed anzi rischia di perpetuarsi all’infinito: respingimenti, espulsioni, schedatura dei rom. Una fatica immane per chi tutti i giorni deve inventarsi un nuovo nemico, deve alimentare una nuova paura. Tutto questo può avvenire perché la politica, i partiti, la cultura, le istituzioni, hanno disertato dalle proprie responsabilità. E‘ così che si crea il cortocircuito della paura. La vicenda dello Ius Soli è paradigmatica. Una scelta di civiltà – assicurare la cittadinanza ai bambini che nascono in Italia da genitori stranieri – che, ad esempio, negli Stati Uniti è parte integrante della Costituzione dal 1868. Ebbene, alla destra razzista e xenofoba è bastato soffiare sulla paura perché la cattiva politica, le istituzioni pavide, la cultura opportunista, abdicassero alle proprie responsabilità. E’ stato sufficiente agitare alcune parole d’ordine – l’equazione migranti uguale terroristi, la paura della islamizzazione della società (solo un terzo degli studenti stranieri è di fede mussulmana), gli immigrati ci rubano il lavoro – perché al nostro Paese fosse negato un atto di civiltà. Cedere a quel ricatto, dimostrarsi pavidi e senza coraggio, ha rappresentato un cedimento di cui oggi paghiamo tutte le conseguenze. Quando la politica, i partiti, la cultura, le istituzioni, scappano dalle proprie responsabilità, allora si ridà fiato ad una pericolosa deriva di destra, neofascista e razzista. E’ allora che gli apprendisti stregoni, i bulli, i nuovi fascisti, possono utilizzare liberamente un linguaggio che fa rabbrividire le coscienze: “la pacchia è finita”, “la crociera”, “chiudiamo i porti”, “respingimenti”, “la schedatura dei rom”, ed ancora “i rom italiani purtroppo ce li dobbiamo tenere”. Oggi quello spettro, la paura, ha oltrepassato l’Atlantico. Il Presidente degli Stati Uniti, Trump, un prodotto di quella stessa cultura populista e xenofoba, in nome della sicurezza e dei confini sicuri, è arrivato alla nefandezza di strappare i figli ai genitori che passano illegalmente la frontiera. Centinaia di bambini rinchiusi all’interno di reticolati e lasciati nella più disumana disperazione. Quando tutto questo accade vuol dire che la politica, i partiti, la cultura, le istituzioni, non sono più in grado di rappresentare valori ed interessi collettivi, valori ed ideali autenticamente democratici. Vuol dire che la democrazia e la civiltà sono ostaggio di un nuovo fascismo. E’ necessario allora interrompere il cortocircuito della paura. Come? Alimentando e diffondendo la cultura. La cultura democratica, la cultura della legalità, la cultura dell’accoglienza. Una cultura capace di coniugare quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Bisogna che nelle piazze, piuttosto che sui social, risuonino alte parole quali democrazia, civiltà, tolleranza, solidarietà, fraternità, uguaglianza, libertà.

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