La primazia del denaro senza la democrazia

1 Maggio 2014
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Gianfranco Sabattini

L’avvento del denaro a metro e misura delle cose ha stravolto la tradizionale distinzione tra mezzi e fini, nel senso che i mezzi sono diventati fini ed i fini mezzi. Questo stravolgimento, sostiene Gustavo Zagrebelsky, in “Contro la dittatura del presente. Perché è necessario un discorso sui fini”, “spaventa e rende ciechi”. Il denaro, così, è divenuto il tessuto connettivo delle relazioni tra gli esseri umani, ma anche il sostrato materiale sul quale è fondato l’esercizio del potere.
Un tempo il denaro non era che un mezzo tra vari altri, per la costruzione o il finanziamento rispettivamente di cose o imprese utili all’uomo; mentre oggi, essendosi trasformato in finanza, si è tradotto in un mezzo volatile, sottratto all’economia reale. Ciò significa che esso è stato sottratto al finanziamento dei cicli produttivi, per essere utilizzato nella produzione di altro denaro, aggiungendo alla sua natura di mezzo anche quella di fine.
Il fatto, poi, che il denaro si sia trasformato nella base per l’esercizio del potere, divenendo fine oltre che mezzo, ha fatto sì che la tendenza alla crescita delle moderne società industriali sia sempre più finalizzata ai propri scopi e che la struttura sociale, produttiva e politica delle stesse società sia stata conformata alla stregua delle sue esigenze riproduttive. In tal modo, il ciclo denaro-potere-denaro è divenuto, sempre più per il denaro, autoreferenziale, trovando in sé stesso la ragione delle sua continua espansione.
L’autoreferenzialità del denaro ha portato ad un annichilimento della politica ed ha ridotto la democrazia a “parola mentitrice”, ovvero a “parola fortemente avvaloratrice, pronta a tutti gli usi in qualsiasi campo”, obnubilando la consapevolezza che la democrazia fosse sinonimo di libertà di scelta. La natura mentitrice della democrazia può essere constatata, secondo Zagrebelsky, quando la si definisce, non come “governo del popolo”, ma come “governo per il popolo”, dove il semplice scambio di preposizioni esprime la sua involuzione mimetica.
Se si considera, afferma Zagrebelsky, che la democrazia non è che una della possibili “forme” della politica e che la politica è la “sostanza” della democrazia, quando la sostanza viene vanificata dal ruolo del denaro e dalle esigenze dell’economia finanziaria accade che la forma si svuoti di ogni contenuto. Da ciò consegue che per la politica viene meno, sia la capacità di scegliere i fini del sistema sociale, sia la possibilità di predisporre i mezzi per perseguirli; nel senso che la politica perde la capacità di governare “le condizioni d’esistenza delle società” e che, quindi, perde il potere di stabilire i caratteri delle società stesse, esista o meno una Costituzione posta a garanzia di tale potere.
Lo svuotamento dell’azione politica comporta che i principi ed i fini sanciti nella Costituzione “possano essere lasciati stare, tali e quali sono scritti, per la semplice ragione che li si può ignorare, come se non esistessero”. Per diventare realtà operante, i principi e i fini richiedono politiche adeguate, le quali possono essere attuate secondo le forme previste dalla stessa Costituzione, che i signori del denaro ed i gestori dell’economia finanziaria, trasformatisi in oligarchia dominante, tendono a cambiare di continuo, a tutela dei propri interessi, anche se incapaci di risolvere i problemi nascenti, soprattutto se originano da crisi indotte dall’autoreferenzialità del denaro sul quale gli oligarchi hanno costruito la loro egemonia sociale e politica.
Tuttavia, osserva Zagrebelsky, preso atto degli inganni ai danni della democrazia, la classe oligarchica che li ha perpetrati, deve sempre e dovunque fare i conti con la dinamica che si svolge al suo interno e che, in virtù dell’esclusivismo oligarchico, si trasforma in una forza contrastante, interna e contraria alla stessa democrazia mentitrice, non però per virtù democratiche ideali, ma per necessità. Infatti, il sistema dello scambio ineguale che si instaura tra la classe cui appartengono gli oligarchi e le restanti non può per definizione ricomprendere tutti i componenti del sistema sociale, nel senso che ci sarà sempre chi ne resterà escluso: innanzitutto, per ragioni pratiche, dovute ai limiti di sostenibilità del sistema degli scambi imposti dalla classe oligarchica, determinati, secondo Zagrebelsky, dalla disponibilità delle risorse, dal crescente impoverimento della società e dall’avidità dei livelli gerarchici più alti; inoltre, per l’esistenza di una ragione più profonda, espressa dalla contraddittorietà della democrazia oligarchica.
La classe oligarchica non potrebbe esistere se tutti i componenti del sistema sociale godessero degli stessi privilegi; perché questi possano esistere e conservati, occorre che gran parte dei componenti il sistema sociale sia sacrificata nei propri interessi esistenziali, determinando così l’insorgenza di un “momento sintomatico”, in corrispondenza del quale diventa inevitabile un conflitto tra gli interessi esistenziali di parte e i valori universali ispiratori della democrazia ideale.
Sia pure sul piano ideologico, il conflitto varrà a riproporre nella maggioranza dei componenti del sistema sociale l’aspirazione alla giustizia e ad affermare la necessità di ricuperare alla democrazia ideale una politica dotata di una propria sostanza; l’esito finale sarà perciò la sconfitta della classe oligarchica, per opera della logica conflittuale interna della democrazia stessa. Questa si rivelerà, alla fine, la “più efficace formula dissimulatoria di ciò in cui consiste la realtà del potere”, in quanto consentirà agli esclusi dal privilegio di combattere il sistema di relazioni su cui esso si è formato e per un certo tempo conservato.
Non foss’altro che per questo, conclude Zagrebelsky, vale la pena di “tenersi stretti” alla forma della politica espressa dalla democrazia; ciò perché, nonostante quest’ultima possa essere svuotata del suo valore autentico da forze ad essa contrarie, la contraddizione che le è intrinseca vale a preferirla a qualsiasi altra forma con cui venga data sostanza all’attività politica.
Se, sulla base di una Costituzione in regime di democrazia, la politica rappresenta realmente, come sottolinea Zagrebelsky, il regno della libertà per chi decide di “vivere insieme”, com’è possibile accontentarsi di una libertà che, anziché essere un “prodotto” della volontà umana, è solo l’esito di una necessità riconducibile agli effetti di una “contraddizione provvidenziale”, cui va incontro qualsiasi processo di dissimulazione e di svuotamento della democrazia stessa? Se così stessero le cose, ci si dovrebbe adattare ad un forma di organizzazione istituzionale del vivere insieme inidonea ad evitare che l’esistenzialità e la libertà di tutti ne risultino condizionate, per quanto la democrazia sia stata scelta per i presunti gradi di libertà che dovrebbe garantire all’azione umana di fare fronte a qualsiasi processo eversivo implicante un suo svuotamento; in altri termini, ci si dovrebbe accontentare della certezza che una contraddizione provvidenziale, intrinseca al regime istituzionale democratico adottato possa liberarci supinamente dai condizionamenti negativi.
Strana tesi quella di Zagrebelsky; nella sua prospettiva di analisi della democrazia, il regno della libertà è necessariamente esito della necessità e non della volontà; sembra una tesi formulata ad hoc solo per giustificare la sua militante opposizione ad ogni possibile riforma dell’attuale Costituzione italiana, fiducioso che la contraddizione intrinseca ad ogni forma di democrazia varrà a rimuovere le cause dei diritti lesi o sacrificati o insufficientemente soddisfatti, considerando perciò inutile qualsiasi iniziativa volta a rendere i cittadini quali effettivi protagonisti, nella libertà, della progettazione del proprio futuro, anche attraverso opportune modifiche della Carta costituzionale vigente.

* Immagine: Dipinto di Massimo Gurnari, Easy Money, Easy Life, Avantgarden Gallery, Milano

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