La ribellione dei figli di Oslo

1 Novembre 2015
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Nicole Argenziana

Il 30 Settembre 2015 il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen ha dichiarato di fronte all’assemblea generale delle Nazioni Unite: “pertanto noi dichiariamo che non possiamo continuare ad essere vincolati da tali accordi (Oslo) e che Israele deve assumersi tutte le sue responsabilità in quanto potenza occupante”. Da lì a qualche giorno è iniziata la ribellione in Cisgiordania. La ribellione non è però conseguenza delle dichiarazioni del leader dell’Autorità Palestinese, anzi. Sarebbe più corretto definirla una necessità di un movimento di giovanissimi, figli degli Accordi, che hanno realizzato perfettamente l’inganno perpetuato a Oslo.

I quotidiani vantaggi per l’occupante e le miserie dell’occupante hanno limito irreversibilmente l’entusiastico clima di pace di solo qualche decennio fa. A partire dalla cooperazione economica che ha costretto i palestinesi ad avere un unico partner economico, Israele, a quella sulla sicurezza, che vede i palestinesi accanirsi contro il suo stesso popolo. Ed infine la divisione della Palestina in aree (A, B e C) che in pratica ha decretato la frammentazione della Cisgiordania in quanto unità territoriale. Gli Accordi hanno consentito ad Israele di instaurare un controllo più sottile e discreto sul popolo palestinese che ha semplicemente dilatato i tempi della ribellione, ma non la ha annullata. Ed è di questo che gli israeliani oggi hanno paura.

Questi nuovi giovani ribelli chiedono la fine dei negoziati con Israele. Negoziati peraltro già chiusi in maniera unilaterale dagli israeliani stessi. Le questioni in sospeso, che dovevano essere affrontate dalle parti nell’ultima fase del processo di pace, come lo status di Gerusalemme o le colonie sono già state risolte sul campo dalle forze di occupazione. Mai come in questi ultimi anni le colonie illegali hanno prosperato e si sono espanse in tutta la Cisgiordania. Praticamente non c’è una città palestinese che non sia circondata da qualche colonia illegale. Sono state create per i coloni delle strade apposite che tagliano, insieme ai vari checkpoint, non solo il paesaggio della Cisgiordania ma i palestinesi stessi gli uni dagli altri. Altre politiche come quella del muro hanno poi contribuito ad inglobare le colonie all’interno dei futuri confini di Israele che di fatto annette il 46 % della Cisgiordania. Per quanto riguarda Gerusalemme è stata dichiarata da Israele la sua capitale ‘’unica e indivisibile’’ e il governo ha promosso delle politiche di giudaizzazione della città. I nomi delle vie da arabi sono diventati ebraici. La città è stata simbolicamente unita dalla linea del tram che si spinge fino a Beit Hanina, nel cuore di Gerusalemme Est, che decreta un’annessione unilaterale. A Gerusalemme est sono state promosse delle politiche di occupazione che vedono dei coloni illegali che occupano le case cacciando i legittimi proprietari. Per contenere la ‘’minaccia demografica araba’’ inoltre ai palestinesi di Gerusalemme è praticamente impossibile espandersi costruendo nuove abitazioni. E tutta la città è isolata dal resto della Cisgiordania sia per il muro di separazione sia per la fitta presenza di colonie illegali.

Le nuove generazioni si sono rese conto di tutto questo e con un nuovo impeto chiedono la fine dell’occupazione. Protestano affinché le cose cambino e perché sono stanchi dell’attuale status quo. E proprio da Gerusalemme è partita la rivolta di cui la moschea di Al-Aqsa non è che un simbolo. Questi giovani palestinesi proprio per difendere la loro città sono disposti a compromettere la loro tranquillità e sfidano le punizioni collettive di Israele. La nuova ribellione si connette al malcontento dovuto ad anni di politiche che hanno frustrato i palestinesi e i gerosolimitani più che mai, cittadini di niente, abbandonati anche dalla stessa Autorità Palestinese, che si lanciano verso la morte per immolarsi alla causa palestinese.

La chiamata di ribellione è stata raccolta da tutti i giovanissimi palestinesi della Cisgiordania, di Gaza e dello stesso Israele che si sono riversati per le strade per protestare in solidarietà con i loro fratelli e sorelle di Gerusalemme e per chiedere una volta per tutte la fine dell’ingerenza israeliana nelle loro vite in tutti in sensi. Questo nuovo impeto da speranza alla causa palestinese e da un messaggio forte e chiaro alla leadership: non ci rappresentate. I giovani senza colori davanti ai nostri occhi, guidati solo dal loro istinto di rivolta, chiedono più diritti per il popolo palestinese e per la sola Palestina senza divisioni di sorta. Non sono dei ‘’lupi solitari’’ perché hanno un collante fortissimo che li unisce: l’ideale dell’autodeterminazione del popolo palestinese.

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