La rivoluzione delle donne

1 Aprile 2011

Manuela Scroccu

Asma Mahfouz è giovane e graziosa, indossa una maglietta a righe e un velo color pastello che le incornicia il viso. Il 18 gennaio ha acceso la sua telecamera e ha registrato un video di 15 minuti. Poi, come fanno tante sue coetanee in tutto il mondo, ha deciso di postarlo su youtube: “sto realizzando questo video per lanciare un messaggio: se abbiamo ancora un onore, una dignità in questo paese, dobbiamo scendere in strada il 25 gennaio” e ancora, “se sei un uomo, scendi in strada. Chiunque dica che le donne non dovrebbero protestare … dovrebbe essere uomo abbastanza da venire con me il 25 gennaio”. In poche ore i contatti si sono moltiplicati, migliaia di persone hanno visto il video e l’hanno condiviso sui socialnetwork più diffusi, trasformando la giovane blogger egiziana, laureata in Businness Management all’università del Cairo, in un punto di riferimento della sollevazione popolare. E dando al mondo occidentale, imprigionato all’interno dei suoi stereotipi sul mondo arabo, una bella scrollata.
Cosa sta succedendo a Tunisi? E poi in Egitto? E in Libia, in Barhein e ad Algeri? La risposta è semplice: la rivoluzione. Una rivoluzione a cui le donne stanno partecipando in massa e se non fossimo troppo impegnati a cercare soluzioni per rispedire al mittente i profughi e i migranti, saremmo in grado, forse, di comprenderne l’importanza.Ispirate dalla rivolta tunisina che ha rovesciato Zine El Abidine Ben Ali, le egiziane si sono riversate in massa a Piazza Tahrir per settimane chiedendo l’espulsione di Hosni Mubarak.Erano migliaia a far sentire la propria voce, la partecipazione femminile ha sfiorato il 50%.
Una voce dimostratasi incredibilmente potente che apparteneva a studentesse universitarie, a insegnanti, dottoresse, ma anche casalinghe. Hanno sfilato con l’hijab e senza, musulmane e cristiane. In t-shirt e jeans, o in abito nero lungo e velo, decine di migliaia di donne hanno manifestato per chiedere riforme in una regione da troppo tempo governata dall’autocrazia. Asma ha dato voce alle ragioni della protesta nel suo blog, ragioni che le televisioni e i giornali controllati dal regime cercavano inutilmente di ignorare e censurare. Come lei, anche Leil Zahra Mortada, Sanaa el Seif, Asmaa Aghoul: questi nomi diranno poco o niente alla distratta opinione pubblica occidentale ma sono loro le firme, tutte femminili, della rivoluzione che, anche grazie al web, sta scuotendo il Nord Africa e il mondo arabo. Un pezzo di società giovane e colta, che guarda ai nuovi media e li utilizza come veicoli di cambiamento nei propri paesi.Le donne, al Cairo come a Tunisi, ma anche a Bengasi, Manama, Algeri, Sana’a, Casablanca, sfidano ormai da decenni, nell’indifferenza troppo spesso mascherata da opportunismo politico dei nostri governi, la centralità maschile e il conservatorismo familiare.
Stanche del paternalismo patrio e della “finta” compassione occidentale si sono riversate nelle strade chiedendo rispetto, e il loro contributo al terremoto mediorientale e magrebino si è rivelato fondamentale. Almeno tre dimostranti su dieci erano giovani donne, scese in piazza non solo contro la dittatura e i regimi corrotti ma anche contro un sistema patriarcale di potere ormai insostenibile. Non solo nella più laica Tunisia, dove la poligamia è stata abolita già nel 1957, o nel Marocco che ha introdotto un codice di famiglia che rispetta la parità di genere. Hanno partecipato alle proteste anche le cittadine del Barhein, avvolte nella tradizionale abaya, e quelle yemenite, che hanno sfilato dietro il corteo degli uomini.
Voci di dissenso si sono levate persino dall’Arabia Saudita, dove non ci sono state proteste di massa, ed è significativo che molti commenti apparsi su Facebook e Twitter fossero pubblicati da nickname femminili, tanto che la monarchia saudita, terrorizzata dall’effetto domino, si è affrettata a promettere il voto alle donne. E’ troppo presto per dire se la rivoluzione politica della primavera araba riuscirà a sovvertire non solo i regimi corrotti ma anche il sessismo che li governa. 
Ciò che colpisce è la partecipazione attiva a quanto accaduto in Tunisia e in Egitto, Bahrain, Yemen e Libia: le donne erano lì fisicamente, hanno inondato le piazze in massa. Ed erano lì non solo per liberarsi da regimi liberticidi ma anche per emanciparsi da tutti quegli “ismi”, dal confessionalismo al paternalismo, che le hanno costrette per troppo tempo nelle loro case e lontano dalla scena politica, relegate ad una condizione di marginalità ormai antistorica e non più tollerabile. Fino ad ora.

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