La scuola al tempo del renzismo

1 Dicembre 2014
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Amedeo Spagnuolo

L’opuscolo “La Buona Scuola”, pubblicato sul sito passodopopasso.italia.it, ha avuto un grande merito ovvero scoprire le carte su quelli che sono i reali progetti che il nostro Primo Ministro ha sulla scuola pubblica. Molti, infatti, sono rimasti a dir poco esterrefatti dal groviglio di affermazioni demagogiche e reazionarie espresse con l’abituale stile slogan/slide che caratterizza il testo de La Buona Scuola. Sia ben chiaro, erano veramente pochi quelli che credevano alle affermazioni renziane concernenti la “rivoluzione culturale” che avrebbe riportato la scuola al centro della discussione politica del nostro paese, però anche i più pessimisti mai avrebbero pensato che con Renzi la scuola pubblica avrebbe rischiato la demolizione definitiva. Perché è proprio di questo che si tratta, infatti, così come il nostro Governo sta cercando di applicare alle politiche del lavoro il compitino suggerito da Confidustria, in modo da fornire finalmente a quest’ultima gli strumenti adeguati per rendere docili e ricattabili i lavoratori, allo stesso modo intende procedere con la scuola svuotandola del suo significato fondamentale ovvero quello di luogo nel quale si formano innanzitutto cittadini consapevoli e democratici, per trasformarla in una scuola – azienda che ha principalmente il compito di formare individui disciplinati e ubbidienti pronti ad essere (ma quando?) irreggimentati all’interno delle “illuminate” aziende italiane.
Partiamo dalla proposta forse più delirante di tutto il fantastico libello, quella che si riferisce al nuovo ruolo che assumerebbero i presidi – padroni che avrebbero facoltà di assumere direttamente dopo una fantomatica “consultazione collegiale” e che, addirittura, potrebbero intervenire sulla carriera e quindi sugli stipendi degli insegnanti. Non è necessario essere dotati di un’intelligenza superiore per comprendere le dinamiche clientelari che si scatenerebbero all’interno delle nostre scuole con conseguente estrema ricattabilità dei docenti che perderebbero definitivamente, tra le altre cose, quella che è forse la loro prerogativa principale cioè la libertà d’insegnamento che è sempre stata considerata un caposaldo della nostra democrazia.
Attualmente l’unica progressione di carriera consentita agli insegnanti è rappresentata dagli scatti di anzianità che sono presenti in tutta Europa. Gli “esperti” di questioni scolastiche individuati da Renzi vorrebbero sostituirli con gli scatti per “merito” che però andrebbero solo al 66% dei “migliori” di ogni scuola. Questa è forse la proposta più “fantasiosa” di tutte, infatti, sono stati molti a chiedersi perché il 66%?, i renziani hanno forse trovato il numero magico che funzionerà come panacea di tutti i mali della scuola? Chi nella scuola ci lavora invece si è posto una domanda molto semplice: perché proprio il 66%? E se fossero tutti “bravi” o tutti “non-bravi”? Comunque sia, però, la decisione finale nella distribuzione delle “prebende”spetterebbe ancora una volta al Dirigente Scolastico con le ovvie conseguenze che tutti possiamo facilmente immaginare.
All’interno della “controriforma” renziana è presente un progetto che apparentemente dà l’impressione di voler avvicinare maggiormente la scuola tecnica e professionale al mondo del lavoro, si tratta delle 200 ore obbligatorie di apprendistato gratuito che gli studenti degli istituti tecnici e professionali dovrebbero svolgere in azienda. In realtà dietro questa proposta si nasconde subdolamente il progetto neoconservatore di riproporre la vecchia divisione classista, di matrice gentiliana, tra i licei che dovrebbero formare la nuova classe dirigente del paese e l’istruzione tecnica e professionale che avrebbe invece il compito di formare la “manovalanza” poco istruita e quindi più facilmente manipolabile dagli slogan e dalle slide. Non è difficile, infatti, comprendere, che le 200 ore di apprendistato sarebbero sottratte alle ore di lezione multidisciplinare in classe con grave danno per la formazione culturale degli alunni, ma è noto che secondo Renzi e la sua filosofia aziendalista i tecnici in fin dei conti non hanno bisogno di tutta questa cultura per poter svolgere bene il loro lavoro.
Non dimentichiamoci poi dell’accorato appello rivolto agli investimenti privati nella scuola pubblica, perfettamente coerente con il disegno renziano di graduale smantellamanto della scuola ed esplicitato nell’illuminato libercolo quando si afferma che si rende necessario un sostanziale potenziamento dei rapporti con le imprese. Le risorse per la scuola però, secondo il verbo renziano, non dovranno provenire solo dalle imprese, infatti, mostrando ancora una volta poca fantasia e molta “faccia tosta”, si è pensato di spremere ancora un pochino i contribuenti affermando la necessità d’istituire un “microcredito” imposto ai genitori per le spese essenziali della scuola. Insomma, mentre tutti gli stati europei, nonostante la crisi, cercano d’incrementare gl’investimenti per scuola e ricerca, in Italia il renzismo è giunto alla conclusione che lo stato debba “affrancarsi” completamente da qualsiasi serio impegno relativo alle politiche scolastiche del nostro paese.

1 Commento a “La scuola al tempo del renzismo”

  1. Imma Levante scrive:

    Condivido l’articolo di Amedeo Spagnuolo nel quale fa un’ analisi molto dettagliata e ben documentata che ci spinge a riflettere accuratamente e ad agire di conseguenza.

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