La solitudine dei lavoratori italiani

1 Marzo 2013
Elvira Corona
L’autogestione delle imprese fallite e sull’orlo del fallimento in Argentina è spesso spiegata dagli stessi operai che le hanno intrapresa come uno stato di necessità. Erano i primi anni 2000 e l’Argentina attraversava una gravissima crisi economica, finanziaria, sociale e politica. E tutt’oggi, nonostante la crisi sia passata e il paese per dirla come gli economisti continui a “crescere”, l’autogestione continua. Non solo in situazioni di aziende in difficoltà ma anche come nuova modalità di fare impresa attraverso la cooperativa. E a distanza di poco più di 10 anni nella vicina Spagna – secondo i dati della Confederazione di Cooperative di Lavoro Associato (COCETA) –  i lavoratori di circa 40 imprese hanno deciso di seguire la stessa strada. Un numero non significativo  se si considera il numero degli spagnoli e delle imprese nel complesso, ma di certo interessante per il grande valore simbolico.
Anche qui come nel caso argentino si tratta delle tipologie più diverse e dislocate in tutto il territorio, dai mobilifici alle metallurgiche, dalla Galizia all’Andalusia. Come nell’altro emisfero i lavoratori decidono di darsi uno stipendio uguale per tutti, e in alcuni casi sono gli stessi proprietari ad agevolare la creazione della cooperativa, trasformandosi in soci e accettando le regole paritarie. Una delle esperienze più conosciute è forse quella del quotidiano Publico, che ha smesso di andare in edicola un anno fa  lasciando il 90% dei lavoratori a casa e invece ora va avanti come cooperativa di giornalisti che lavorano alla pubblicazione quotidiana on line e che chiedono sostegno ai lettori per la pubblicazione del mensile. E le cose sembrano funzionare in un tempo in cui  anche El Pais maggiore quotidiano iberico manda a casa più di un centinaio di giornalisti via mail.
Tuttavia come analizza José Luis Carretero Miramar professore di economi a all’Università Complutense di Madrid, “ non si può dire che la vie del recupero di imprese sia diventato qualcosa di abituale o esteso: i lavoratori di imprese che chiudono continuano a preferire il ricorso agli ammortizzatori sociali”  quelli che rimangono in uno stato dove il welfare è sempre più ridotto e messo in discussione dalle politiche di austerità. Le difficoltà secondo Miramar sono anche dovute alle lacune che riguardano la legislazione sul fallimento e sulla stessa figura giuridica della cooperativa, oltre che da un atteggiamento passivo e attendista  caratteristico degli spagnoli, sopratutto nei decenni passati e che solo da due anni a questa parte iniziano a  invertire la tendenza.
Segnale dato anche da un altro fenomeno interessante, chi ha perso il lavoro e ancora ha  la fortuna di accedere agli ammortizzatori sociali, risparmia questo denaro e lo utilizza per iniziative di lavoro autogestito che di solito  hanno una valenza sociale. Sempre stando ai dati della COCETA da gennaio a marzo 2012 si sono create oltre 200 nuove cooperative. Un cambio di paradigma? Una prospettiva includente? Partecipazione? Comunque la si voglia chiamare funziona. Certo nessuno diventerà ricco ma nessuno perderà la propria dignità.
In Italia invece ci sono ancora poche realtà che seguono questa strada, i lavoratori della maggior parte delle imprese in crisi continua a chiedere soluzioni dall’alto, che arrivino dal proprietario dell’impresa, dal sindacato o dallo stato, che siano soluzioni sostenibili o solo tampone poco importa. Non tutti i lavoratori per fortuna ragionano così, ma molti di loro sono ostacolati da quelli che non vogliono assumersi nessuna responsabilità. Questi lavoratori però sono soli,e non è facile prendere decisioni così drastiche, richiede una dose di coraggio non indifferente che se appoggiata da persone che ne condividono la causa potrebbe diventare più semplice. Un esempio virtuoso è quello dei Cantieri Navali di Trapani, “capitani coraggiosi” che stanno andando contro tutte le logiche di potere, contro un padrone che li ha licenziati facendo fallire l’azienda nonostante le commesse dei clienti, per aprirne una nuova  e travasare i ricavi, con la complicità di realtà legate al territorio. Ma lottano e resistono e sono a buon punto nella strada verso la costituzione di una cooperativa autogestita. Altro caso interessante è quello delle Officine RSI di Roma, i lavoratori delle officine di manutenzione dei treni notte, licenziati perché i terreni dove lavorano sono stati acquistati da un immobiliarista e la vicinanza alla nuova stazione Tiburtina – snodo fondamentale dell’Altà Velocità-  ha fatto guadagnare un valore commerciale altissimo alla zona. Loro però non si arrendono e  hanno festeggiato pochi giorni fa un anno di occupazione.  In entrambi i casi un ruolo fondamentale nell’accompagnare queste forme di resistenza e di ricerca di possibili alternative lo hanno avuto i movimenti sociali, associazioni e centri culturali già autogesti. Non lasciamoli soli.

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