Libri, penne, quaderni

1 Gennaio 2014
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Silvana Bartoli

Malala Yousafzai ha chiesto all’Occidente le armi più efficaci per difendere se stessa e le altre: libri, penne, quaderni; solo queste armi possono aiutare uomini e donne ad affrontare i nemici comuni: ignoranza, ingiustizia, povertà.
Una ragazzina pakistana ha capito che don Milani aveva ragione quando citava Gramsci: “Studiate! L’operaio conosce cento parole, il padrone ne conosce mille. Per questo è il padrone”.
Lo ha confermato una ricerca recentissima dell’Università di Stanford: i bambini di famiglie abbienti hanno conoscenze e competenze molto superiori a quelli di famiglie disagiate. Gli unici che continuano a ignorarlo sono i governi italiani, o forse non lo ignorano ma vogliono incoraggiare tale gap di apprendimento, sicché sono sempre pronti a tagliare i fondi per le scuole statali mentre finanziano quelle private (leggi: confessionali).
È di lunedì 16 dicembre la notizia che in molte scuole pubbliche sarà necessario estrarre a sorte i supplenti che potranno essere pagati con le risorse disponibili, gli altri dovranno aspettare. Eppure i recentissimi rilevamenti dell’OCSE dimostrano che gli alunni migliori escono dalle scuole pubbliche e non dalle private, alle quali i cosiddetti politici italiani continuano a regalare milioni di euro, mentre nelle statali manca la carta di ogni genere.
“Non scuolificare tuo figlio”, diceva l’agghiacciante slogan dell’Opus Dei per pubblicizzare le sue scuole; eppure molte regioni hanno già stanziato qualche milione di euro in loro favore, accettati ancora una volta senza batter ciglio, mentre i giornali osannano la rivoluzione pauperistica predicata da Bergoglio. Chapeau!
In questo contesto sta andando a regime la riforma Gelmini che si è accanita soprattutto contro l’insegnamento del “diritto”: vedendo quel che succede si può ben capire perché ai cosiddetti politici dia molto fastidio che si studino materie utili a formare il senso civico.
Ha suscitato, giustamente, timore quel partecipante al movimento dei “forconi” che minacciava di bruciare una libreria. L’immagine evocata fa venire i brividi ma in Italia i roghi di libri si fanno ogni giorno senza fiamme: basta togliere fondi alla scuola e alle biblioteche.
“Con la cultura non si mangia” ebbe a dire l’indimenticabile Tremonti, ma con la cultura finta evidentemente sì, data la corsa alle lauree albanesi e tanzaniane dei leghisti (soltanto loro?) peraltro pagate con soldi nostri.
C’è chi accomuna il movimento dei forconi alle antiche jacqueries; il termine, com’è noto, viene da Jacques bonhomme, Giacomo il brav’uomo, soprannome affettuosamente spregiativo per indicare i contadini, forza lavoro senza cultura, che potevano essere gabbati facilmente in quanto non riuscivano mai a capire chi fosse il vero nemico, e quindi pronti a farsi abbindolare dagli interessi dei più furbi.
Per un cambiamento positivo bisogna dunque partire dalla scuola, infatti i politicanti furbi hanno svilito la scuola, trasformata in luogo secondario della formazione, il primo è la televisione con i suoi lustrini e i milioni, mentre gli insegnanti sono sottopagati, nelle private si può dire sfruttati.
Ci scandalizziamo perché i Talebani ostacolano l’istruzione delle ragazze, ma bisognerebbe ricordare che anche l’Occidente cattolico ha avuto i suoi talebani. Nel 1558 la Chiesa pubblicò il primo Indice dei libri proibiti che vietava la traduzione e la lettura dei testi sacri in volgare. Era ormai chiaro che la conoscenza diretta dei Vangeli suscitava “eresie” e il cardinal Federico Borromeo auspicava la circoncisione dell’intelletto soprattutto per le donne, la cui unica cultura legittima deve essere l’ignoranza.
Eppure, nel Seicento francese, un’abbazia femminile insegnava alle bambine a leggere e scrivere, esattamente come ai maschietti, mentre i figli dei contadini dei dintorni studiavano la Patristica accanto al piccolo Racine.
Nel pieno della Fronda gli/le insegnanti di quell’abbazia osarono proporre l’abolizione del lusso per trovare le risorse necessarie a soccorrere la moltitudine dei poveri. Quegli uomini e quelle donne pensavano che l’etica non fosse fatta solo di buoni sentimenti e di belle parole ma dovesse fondarsi su una più equa distribuzione dei beni. L’abbazia venne rasa al suolo e le monache bollate come eretiche e streghe: una definizione nuova per le donne! Solo per questioni di tempo non le hanno definite anche comuniste.
Ancora nell’Ottocento, Cristina di Belgiojoso attuava scelte rivoluzionarie per avviare una comunità agricola dotata di: asilo infantile, scuole elementari e superiori per ragazze e ragazzi, laboratori, un pubblico “scaldatoio” (una stanza che poteva ospitare 500 persone) per le ore del riposo, centro infermieristico con distribuzione di medicinali, feste danzanti, dote per le ragazze più povere, ospizio per gli orfani. Molto più colta delle donne della sua età e del suo ceto, Cristina era l’amica prediletta di Giulia Beccaria, la madre di Manzoni il quale, pur dovendo il suo benessere all’eredità dell’amante della madre, si permetteva di criticare Cristina perché era separata dal marito. Trovava inoltre sommamente sconveniente che, nonostante un nome tanto illustre, “quella signora” avesse “la mania di diffondere l’istruzione tra i contadini: quando saranno tutti dotti, a chi toccherà zappare la terra?” si domandava il cattolico Manzoni approvato dai benpensanti devoti.
“Le donne devono fare qualunque cosa meglio degli uomini per essere giudicate la metà” dice l’esergo di un dettagliato saggio/indagine curato da Marco Ligas; la frase è di Charlotte Whitton e Cristina l’ha imparato sulla propria pelle, come tante altre donne e ragazze, non ultima Malala.
Per chiudere: fa quasi sorridere l’anacronistico divieto di guidare imposto alle donne saudite: pensiamo che il mondo musulmano vive oggi nel 1435 e ricordiamo qual era la condizione femminile nel nostro 1435.
E gli Ebrei, che vivono già nel 5774, hanno realizzato una piena ed effettiva parità di genere ?

p.s. Che umiliazione per noi donne vedere Bonino velata davanti a Rouhani. L’antica combattente dei diritti umani, divenuta ministra ha accettato di indossare l’oggetto che da secoli simboleggia la sudditanza femminile. Parigi val bene una messa?

p.p.s Finalmente! Anche Guido Ceronetti ha levato la sua voce contro l’uso del termine femminicidio, per il quale avevo più volte espresso tutta la mia avversità proprio su queste pagine.
Ceronetti propone ginecidio, io preferirei muliericidio (per la verità preferirei che tutti questi termini cadessero in totale disuso); quale che sia la scelta cerchiamo di evitare una parola che pone l’accento sulla dimensione sessuale riproduttiva, ovvero quella che ha inchiodato per secoli le donne al ruolo di fattrici e di sollazzo per il maschile. Le effettive pari opportunità passano per il riconoscimento che ogni donna è una persona, non soltanto “la femmina del maschio” come recitavano molti dizionari.

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