Indipendenza, non nazionalismo

1 Febbraio 2010

nazionalismo

Da tempo il Manifesto Sardo interviene sia a livello culturale che politico sui temi connessi all’identità. Siamo convinti che qualsiasi discorso di liberazione ed autodeterminazione non possa avere esiti democratici se non assieme ‘agli altri’ e su basi sociali condivise; che la risposta democratica alla stessa crisi dell’Italia e dell’Occidente, di fronte agli immensi fenomeni migratori dei poveri del mondo e al dramma occupazionale, non possa essere che anticapitalistica e unirsi in una nuova dimensione meridionale e mediterranea. La tradizione di Luigi Pintor e del Manifesto, entro la quale ci inseriamo, non è certo indipendentista: ma in Sardegna è in corso un ragionamento indipendentista che pare emanciparsi dal nazionalismo e porsi addirittura come critica severa al sardismo classico, sino ai suoi simboli. Una proposta radicale di gestione dal basso inclusiva piuttosto che escludente. Pubblichiamo perciò volentieri – a fianco di altri contributi che continuano la nostra visita ‘identitaria’ – un articolo del compagno Angelo Morittu, che spezza una lancia a favore della lettura non-nazionalista in corso in una parte attenta e democratica del movimento indipendentista (Red).

Angelo Morittu

È appassionante il filone di ricerca documentale intrapreso da questo sito sui miti antichi e moderni di Sardegna, è uno sforzo che apprezzo e condivido poiché sono convinto che la mitizzazione di uomini ed esperienze del passato in funzione di esaltazione nazionalistica oltre che essere inutile e dannosa, confligge con l’onestà intellettuale e con la libertà di pensiero. Per molti anni ci siamo vergognati delle famigerate “Carte di Arborea” e quella esperienza ancora brucia, ma se contestualizziamo quel fatto nell’epoca risorgimentale e delle nascenti nazioni d’Europa, lungi dal giustificarlo si inserisce perfettamente nelle tendenze intellettuali ottocentesche. Ogni grande nazione ha attinto al suo patrimonio leggendario e mitologico spesso con faciloneria quando non con cialtroneria, per rimanere in Italia il mito della Roma imperiale è stato riutilizzato grottescamente nella creazione del Regno d’Italia ad opera dei Savoia, ma ormai nessuno ha più proposto di demolire il Vittoriano o cambiare l’Inno Nazionale, solo per citare gli imperituri “monumenti” di quella mistificazione. Le false Carte d’Arborea unite alla mitizzazione della corte arborense, sono stati un tentativo piuttosto goffo ed innocente di riacquistare una dignità nazionale svilita e corrotta dai lunghi secoli della dominazione spagnola e piemontese, operazione sicuramente più ingenua rispetto al ricorrente e frusto mito di Atlantis che invece possiede connotati esclusivamente commerciali. Chi ha vissuto con orrore l’esaltazione nazionalistica italiana culminata con l’epopea coloniale e sfociata poi nel fascismo e nelle leggi razziali prova un ovvio rigetto per ogni, sia pur larvata, istanza nazionalistica a base etnica. Tale in un certo senso è stato anche il “Sardismo”, una strana ed equivoca forma dicotomica di esaltazione-depressione razziale dove il grande valore di lealtà guerresca dei sardi si sottometteva ad un’ altra nazione riconoscendogli maggiore civiltà e potenza, fino a pretendere l’ammissione della loro “piccola nazione”, fallita nonché abortiva, come compensazione del sangue versato nelle trincee della Prima Guerra Mondiale. Di quella tragica esperienza purtroppo ci rimane appioppato il vessillo dei Quattro Mori, che come noto altro non è che la bandiera di guerra di quei reggimenti e prima ancora delle casate estere regnanti in Sardegna. Conseguentemente anche la rinnovata ventata indipendentista in Sardegna viene vista con diffidenza e perplessità, non solo da chi viene da fuori, come ha fatto lo scrittore Angelo Ferracuti in un articolo piuttosto confusionario apparso il 9 gennaio 2010 sul Manifesto , ma anche dalla stragrande maggioranza dei sardi. Eppure basterebbe poco per capire che le istanze di liberazione o di indipendenza non sempre e non necessariamente devono appoggiarsi al becero nazionalismo che abbiamo finora conosciuto, nello specifico i sardi dovranno convincersi, e quale migliore occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, che loro sono “Nazione vera” senza se e senza ma e magari senza bisogno di esaltarsi per improbabili età dell’oro. Sarà quindi nell’avvicinarci al 2011 che assisteremo alla celebrazione dei fasti nazionalistici italiani, verranno infiocchettati i Savoia e Garibaldi, le Forze Armate e la Protezione Civile, la Nazionale e la Ferrari, la cucina  e la moda Made in Italy, passando per i moderni Padri della Repubblica: Andreotti, Craxi e Berlusconi, ma anche il fascismo e il passato coloniale ci verranno elaborati e serviti in formulazioni moralmente accettabili, poiché ci racconteranno che bisogna pur sempre “contestualizzare”, d’altronde siamo o no: “Italiani Brava Gente”? In quanto a falsi miti, la nostra “Grande” Patria adottiva e non a caso “Terra d’Inventori”, non la batte nessuno, e forse scopriremo allora che il nazionalismo è quella stupida e vacua forma di esaltazione umana che porta ad escludere quanti non dimostrino di appartenere etnicamente e sociologicamente ad una ben determinata comunità. Ergo l’indipendenza della Sardegna non è un mito svanito ed effimero come magari certi suoi “eroi”, tutti gli abitanti, sardi e non sardi, hanno il diritto di disporre del proprio destino senza più dipendere dalla mitica, ma sempre più lontana e corrotta, “Caput Mundi”. Mi premuro quindi di tranquillizzare quanti si preoccupano dei nazionalismi veri e di facciata che in Sardegna possiamo e dobbiamo aspirare ad una forma di indipendenza dall’Italia pulita da ogni forma di nazionalismo, in modo inclusivo e non escludente; è una scommessa importante e inedita, che specialmente chi ha un background laico, libertario e di sinistra non può non apprezzare.

2 Commenti a “Indipendenza, non nazionalismo”

  1. nicolas martino scrive:

    sarebbe possibile postare qui l’articolo di ferracuti?

  2. Red scrive:

    E’ ora linkato (alla parola ‘articolo’) nella citazione fattane da Angelo Morittu

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