Luciana Pirastu

1 Luglio 2009

Luciana Pirastu ci ha lasciato. E’ stata una compagna generosa e libera, e ci sarebbe piaciuto averla ancora come interlocutrice autonoma. In coda a questo scritto di Paola Atzeni, il richiamo a un intervento ed un articolo scritti per il Manifesto Sardo. Ciao Luciana.

Paola Atzeni
Luciana Chiari Pirastu ha marcato vari tempi e luoghi di vita, e la sua stessa personalità, con proprie produzioni di democrazia narrate in due libri autobiografici: Un compagno di vita. Il tempo dei ricordi, quando cantavamo bandiera rossa, del 1999, e Nella mente e nel cuore. Ricordi della lotta per la libertà, del 2005, editi da AIPSA edizioni. Iniziò l’impegno politico nel 1943 a Parma, sua città natale, entrando a far parte della Resistenza. Fu antifascista, partigiana, comunista, prima di conoscere e di sposare Luigi Pirastu, senatore e dirigente politico del partito comunista italiano in Sardegna. Scrivendo a macchina, riproduceva testi e volantini per informare l’opinione pubblica sull’andamento della guerra partigiana e sulle atrocità commesse dai nazifascisti. Nel 1944, denunciata da una giovane recluta che non seppe resistere alle torture, fu arrestata dagli agenti della Gestapo. Luciana fu percossa e minacciata con minacce d’ogni genere. Per gli interrogatori inventò una bella trama narrativa che, mescolando realtà e finzione, le assegnava nella Resistenza un ruolo marginale, attivato da motivi sentimentali più che politici. Dopo dieci giorni uscì dalla prigione. Ricevette una lettera di congratulazioni dai compagni ed una torta, in quel periodo di fame e di razionamento, da un compagno che temeva che lei potesse fare il suo nome.
L’io democratico di Luciana contro le atrocità dei nazisti e dei fascisti rafforzò in prigione il suo io solidale. Nelle esperienze di vita narrate conosciamo il suo io libertario, il suo io anticonformista, il suo io ironico, gli ostacoli d’abitazione che questi suoi io incontravano nella casa della sinistra nel dopoguerra e perfino con il suo io passato. Nel 1947, in occasione del congresso provinciale dell’UDI, aveva intrapreso con alcune amiche un’iniziativa goliardica: un murale con le caricature delle massime dirigenti dell’associazione. L’opera, un capolavoro nel suo genere, non fu apprezzata dalle interessate per una presunta lesa dignità. Dopo quel congresso fu trasferita in un circolo dell’oltre torrente parmense, con un declassamento dal ruolo di dirigente provinciale a quello d’attivista locale. Luciana conobbe profondamente allora il rischio d’ogni relazione personale nei rapporti sociali in cui il risultato delle azioni individuali dipende non solo dalla qualità dell’atto, ma anche dalle identificazioni degli altri, dalle asimmetrie di potere, dalla trama democratica degli ambienti in cui si decide, nella pratica, se una capacità inventiva singolare può o non può espandersi, generalizzarsi, istituzionalizzarsi. Ciò riguarda la storia dei rapporti fra persone e partiti, ed è anche viva attualità. Il suo pensiero anziano percorreva vari tempi, biografici e storici. Il fascismo, la liberazione, la ricostruzione dell’Italia, la vita interna del partito comunista italiano e i tempi dei contrasti sulle concezioni autonomistiche nell’isola che indussero Luigi a Parma, la bruciante sconfitta del fronte democratico popolare il 18 aprile del 1848. Il 28 giugno Luciana e Luigi si sposarono e vennero ad abitare nell’isola. Nella primavera del 1950, con le grandi iniziative politiche popolari per l’occupazione, per l’autonomia e per la rinascita della Sardegna, anche nel movimento femminile si era aperto un dibattito sui contenuti e sulle forme d’organizzazione delle donne. Nel 1952 l’Unione Donne Italiane si trasformò in Unione Donne Sarde, rafforzando i propri obiettivi autonomistici. Il congresso della donna sarda, il 9 marzo del 1952, fu una delle manifestazioni più riuscite dell’epoca. Il 6 giugno 1953 si tennero le elezioni nazionali: in un clima tesissimo per la nuova legge che voleva istituire un premio di maggioranza al partito che avesse ottenuto il 50% più uno dei suffragi, tale da consentire di superare gli sbarramenti richiesti per le modifiche costituzionali, e aprendo pertanto la strada a pericoli per la democrazia. La campagna elettorale si giocò anche sulla sacra triade patria-religione-famiglia, e sulla donna come suo “naturale” perno. La propaganda degli avversari denigrava le donne comuniste, tuttavia non ne scoraggiava l’iniziativa politica. Nel 1956 fu organizzato un importante convegno sui problemi del lavoro della donna sarda. Le comuniste ed i comunisti, italiani e sardi, intanto dovevano fare i conti con problemi d’ordine etico-politico che riguardavano gli stessi principi del comunismo, il suo fondamento di liberazione umana, le contraddizioni ed i limiti propri del socialismo realizzato nei paesi dell’est. Il 1956 fu l’anno della rivolta ungherese e della denuncia del culto della personalità, fatta da Kruscev. La divaricazione fra principi e prassi del comunismo, e l’involuzione burocratica dei paesi dell’est, rendeva più consapevoli i comunisti italiani dell’importanza della battaglia democratica da loro condotta in Italia. La stessa battaglia autonomistica, pertanto, assumeva un orientamento volto a realizzare e a potenziare il carattere democratico dell’ordinamento dello stato nei suoi livelli istituzionali di fronte all’estendersi della crisi economica. Il comizio di Togliatti a Cagliari nel 1957 alimentò quest’ispirazione, ma il risultato elettorale non premiò l’impegno del PCI che subì una perdita di oltre 21.000 voti. Luigi fu confermato consigliere regionale. Luciana raccontava nel dettaglio lo stile di vita della famiglia, assolutamente parsimoniosa in quel periodo in cui l’unico lusso era il cinema: a fronte di un lavoro faticoso, cui si aggiungeva il suo impegno volontario. Alla fine dello stesso anno si tenne a Cagliari un convegno sulla piena occupazione, organizzato da Aldo Capitini, promotore del movimento della non violenza. Luciana, segretaria dell’Unione Donne Sarde, fu l’unica donna a prender parola.  Nell’autunno del 1964 fu chiamata a coordinare il Gruppo Femminile Regionale del PCI. Lavorò sulla programmazione regionale e sui modi per renderla democratica con un ruolo produttivo delle donne nelle varie zone dell’isola, organizzando conferenze zonali in dieci centri. Il lavoro delle comuniste partiva da zero, inventando linguaggi e strumenti organizzativi, mentre all’interno del partito esse rimanevano complessivamente “portatrici d’acqua”: le più tornavano rapidamente all’anonimato e i loro nomi nell’oblio, con un destino di sacrificio in cui era norma implicita annullare se stesse senza la ricerca d’affermazioni personali, accettando un’appartenenza non priva di vincoli di subalternità. Luciana decise allora di lasciare l’incarico e confermò la decisione ad una dirigente nazionale. La sua scelta avrebbe meritato una discussione politica di fronte ad un problema individuale che faceva scorgere dentro l’organizzazione i limiti del rapporto politico fra movimento delle donne e movimento operaio. Invece, fu apostrofata rozzamente e sospettata di “imborghesimento”. Luciana trovò poi un suo spazio nel giornalismo, portando dentro di sé la sensazione che nel partito cominciava a mutare il clima dei tempi eroici. Nel 1968 il nuovo assetto produttivo, fondato sulla petrolchimica e sulle altre industrie di base, modificava fortemente la struttura economica dell’isola alterando l’attuazione del piano di Rinascita e le sue stesse linee ispiratrici. In quell’anno Luigi era Senatore del Sulcis, consigliere comunale e iscritto alla sezione Lenin di Carbonia. Nel 1969, segretario del PCI Enrico Berlinguer, furono radiati un gruppo di compagni che avevano creato una rivista: Il manifesto. Nella sezione Lenin di Carbonia, com’ era avvenuto a Cagliari, un gruppo di compagne e compagni inviò ai dirigenti un documento in sostegno della pubblicazione. Nella federazione del Sulcis nessuno fu radiato o sospeso: per le analisi difensive -strumentali, ma utili ad evitare sanzioni- che Luigi portò negli organi dirigenti. Con le posizioni pluralistiche egli si accostò a quelle libertarie di Luciana. Gli orizzonti libertari di Luciana si ampliarono nel ’68. Conosceva la complessità del femminismo. Sentiva che i problemi della parità fra i sessi facevano parte della sua realtà. Capiva che l’urgenza della liberazione delle donne aveva superato l’esperienza emancipatrice della prima UDI. Luciana ci ha lasciato dopo aver messo in luce, nei suoi personali modi di saper fare e di saper vivere, due problemi ancor oggi importanti per noi. Uno riguarda i cambiamenti delle storiche militanze partitiche e gli esodi silenziosi dalla vita politica: fatti che hanno segnato molte biografie democratiche e toccano ora le disaffezioni alla politica, e molto altro ancora della democrazia contemporanea. L’altro riguarda le condizioni materiali, pratiche e simboliche, possibili ad ogni persona per innovare i progetti e le pratiche dei partiti democratici: secondo le agibilità o le inagibilità, i riconoscimenti o i disconoscimenti, le valorizzazioni o le de-valorizzazioni che possono o rafforzare ed estendere l’autonomia partecipativa delle persone, o ridurre le stesse persone al consenso passivo e passivizzante, utile alla loro manipolazione e sottomissione.

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