Meno tasse per tutti?

1 Agosto 2015
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Roberto Mirasola

E così il premier Renzi ha deciso di dedicarsi alla riduzione dei tributi con l’intento di rilanciare i consumi e di conseguenza far ripartire l’economia. Tutto sommato sembrerebbe una buona notizia ma il sospetto che dietro ci sia la solita sparata ci induce ad analizzare il proposito governativo.

La pressione fiscale in Italia ha raggiunto livelli intollerabili cosi come ha dichiarato la Corte dei Conti nella sua relazione sul rendiconto generale dello Stato 2014, passando dal 39% del 2005 al 43,5% dell’anno scorso. I dati dunque sono preoccupanti perché evidenziano un minor reddito disponibile nelle tasche dei contribuenti. Il governo ritiene che per prima cosa bisogna intervenire eliminando nel 2016 Tasi e Imu sulla prima casa. Si tratta di tributi che hanno come base imponibile la rendita catastale ed è su questo elemento che è opportuno un adeguato ragionamento.

La relazione annuale della Banca d’Italia fa notare che il prelievo patrimoniale sulla prima casa è stato reintrodotto nel 2012 con l’Imu, sostanzialmente soppresso nel 2013 e di fatto ripristinato con la Tasi nel 2014. Nel passagio dall’Imu (2012) alla Tasi (2014), vi è stato una riduzione dell’aliquota effettiva del prelievo. Nel passaggio da Imu a Tasi però si evidenzia che la diversa struttura delle due imposte ha fatto si che il beneficio fosse a vantaggio di coloro che hanno maggiore base imponibile.

In poche parole coloro che hanno meno pagano in proporzione più dei ricchi. Ecco il punto, viene meno il dettato Costituzionale dal quale dovremmo invece partire. Art. 53 C. “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.” Non si può pensare di far ripartire il paese senza un’adeguata riforma del sistema tributario con un’adeguata semplificazione dello stesso. L’esatto contrario di quanto si sta facendo. Ben 45 manovre di bilancio fra il 2008 e il 2014 con una politica fiscale incentrata su obiettivi di equilibri di finanza pubblica totalmente lontana dall’economia reale.

I dati della Corte dei Conti parlano ancora una volta chiaro, a fronte di ben 758 misure, che hanno movimentato oltre 520 miliardi di risorse, il debito pubblico è aumentato ancora di 3,6 punti percentuali raggiungendo il 132,1% del PIL. Ma torniamo alla Costituzione. Secondo la CGIA di Mestre negli ultimi vent’anni l’imposizione locale ha avuto un incremento pari la 138% contro il 7% a livello centrale. Se consideriamo che tributi come Imu, Tari e Tasi tecnicamente sono imposte proporzionali, cioè si basano su un aliquota ben definita, allora ci si chiede dove sia finita la progressività richiesta dalla Costituzione.

L’IRPEF, ad esempio, è un imposta progressiva perché al salire del reddito (capacità contributiva) sale anche l’aliquota di riferimento rendendo l’imposta equa per i contribuenti. Il dubbio è che in Italia il principio della capacità contributiva e quello della progressività per non parlare dell’equità fiscale siano ormai lettera morta. Pensate anche ai recenti aumenti dell’I.V.A. che colpisce i consumi e non il reddito.

Per intenderci sia il ricco che il povero pagano la stessa imposta quando vanno a comprare la carne dal macellaio. Non servono dunque singoli interventi come gli 80 Euro di bonus, cosi come non servono le sparate estive, ma bisogna intervenire seriamente sul sistema tributario rendendolo equo e facilmente comprensibile, ma per far questo è necessaria la serietà, cosa che oggi manca. Purtroppo.

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