Messico: insegnanti in trincea

16 Settembre 2013
Emilia Giorgetti
Man mano che, percorrendo l’autostrada D57, ci avviciniamo ai margini settentrionali della megalopoli, le voci che l’aeroporto internazionale Benito Juárez sia irraggiungibile si rincorrono e si accavallano: “Sono sul Periférico Norte”; “Stanno occupando Calzada Zaragoza”; “Marciano sul Bulevar Puerto Aereo”! Quando, dopo alcune ore di percorsi a vuoto, sfidando il traffico impazzito del venerdì sera e i continui blocchi della polizia, riusciamo a raggiungere il Terminal 2, lo scenario è inquietante: la Polizia Federale è dispiegata in assetto di guerra, mentre rimbalzano le voci secondo cui il nemico ha ormai raggiunto il Terminal 1, dove avrebbe già collocato i suoi striscioni di protesta. I taxi non circolano, le stazioni della metro sono chiuse e i pick up della polizia trasportano i malcapitati passeggeri da un terminal all’altro, caricandoli in corsa sul bagagliaio. I voli cancellati sono decine e migliaia sono le persone che non riusciranno mai a raggiungere l’aeroporto in tempo.
Da giorni Città del Messico è un campo di battaglia: gli  insegnanti contro la polizia del nuovo Presidente Enrique Peña Nieto, che ha deciso di trasformare l’istruzione da diritto umano in “commodity”. Nel mezzo il governo locale, da sempre schierato in favore del diritto a manifestare il dissenso.
Lo Zócalo, il cuore pulsante della capitale, si presenta come un immenso labirinto di  tende da campeggio e teloni di plastica malamente stesi per riparare dalle piogge implacabili di agosto materassi, coperte e fornelli da campo: un accampamento di fortuna che sta inghiottendo, poco a poco, anche le strade laterali. Gli addobbi per la prossima celebrazione del giorno dell’indipendenza sono già pronti sulle facciate dei palazzi, ma il gigantesco tricolore con l’aquila e il serpente, che ogni mattina viene solennemente issato al centro della piazza, non stende come al solito la sua grande ombra sul selciato: anche lui, come il resto della città, è stato sequestrato dalla rabbia degli insegnanti. Stanno confluendo da ogni angolo del paese, ma soprattutto dagli stati più periferici e dimenticati, Michoacán, Guerrero, Oaxaca, Chiapas, e da questo improvvisato quartier generale, ogni giorno, organizzano marce ed azioni dimostrative contro l’imposizione autoritaria della riforma del sistema educativo. Hanno occupato la Camera dei Deputati e circondato il palazzo del Senato, costringendo i senatori a riunirsi altrove per legiferare contro di loro. Hanno bloccato l’accesso alle sedi delle due più importanti reti televisive nazionali, Televisa e TVAzteca, obbligando i telegiornali a dare spazio alle loro ragioni per bilanciare la sfacciata campagna di linciaggio mediatico scatenata secondo il copione già sperimentato con successo da Peña Nieto quando, da governatore dello stato di México, preparò la sanguinosa repressione delle proteste contadine a San Salvador Atenco.
Già due anni prima del voto l’Economist aveva scommesso sul ritorno del Partido Revolucionario Institucional (PRI) e aveva scelto il futuro Presidente del Messico. Le elezioni del 2012 si sono svolte secondo un copione già scritto. Al giovane e telegenico Peña è stato affidato il compito di reinsediare nei centri nevralgici del potere il vecchio dinosauro, il PRI, dopo la cocente delusione delle due presidenze consecutive della destra clerico-fascista del PAN. E adesso gli sponsor battono cassa. La Costituzione, scaturita dalla prima grande rivoluzione del ‘900 e ormai ridotta a brandelli dai ripetuti interventi degli ultimi 30 anni, nasconde ancora pericolose sacche progressiste. L’urgenza di oggi è cancellare la nazionalizzazione delle risorse petrolifere del 1938 e, come assaggio di quello che saranno gli anni di Peña Nieto al potere, dare una lezione a chi forma la coscienza di un popolo: gli insegnanti.
La necessità di una riforma educativa è chiarissima a tutti, insegnanti compresi. Il Messico spende molto per l’istruzione ma, nonostante questo, il 34% dei giovani sotto i 15 anni non completa la scuola primaria e, in questa fascia di età, l’analfabetismo sfiora il 10%, con punte del 23 % negli stati più depressi. In molte comunità rurali, in un paese prevalentemente agricolo, le lezioni sono spesso dal martedì al giovedì. Un solo insegnante, mal pagato e che spesso ha letteralmente comprato il proprio posto dalla corrotta  cupola sindacale guidata da Elba Esther Gordillo, o lo ha ereditato dal padre, copre tutte le funzioni necessarie per mantenere in piedi strutture fatiscenti, senza lavagne, senza banchi, senza acqua. Insegna a classi di bambini e adolescenti che camminano fino a due ore ogni giorno per raggiungere la scuola, anche digiuni. Molti abbandonano per aiutare la famiglia nei campi o in piccole attività informali che permettono di tirare avanti. Anche se Peña Nieto ama confrontarsi con le classifiche OCSE e puntare a scalare i primi posti con la sua riforma educativa, è difficile dimenticare che più della metà dei messicani vive in condizioni di povertà o povertà estrema.
Quando poi si sale ai livelli superiori di istruzione, quelli che negli anni sono stati abbandonati alla iniziativa privata, i numeri diventano ancora più crudi: solo 2 giovani su 10 vi hanno accesso e solo 2 su 100 raggiungono la laurea. O.P. é una pediatra 58-enne e non ha dubbi: ”Nelle condizioni di oggi, la mia famiglia, di classe media, non avrebbe potuto farmi studiare.”
In questo contesto, l’asse portante della riforma, approvata d’autorità e senza concertazione tra le parti, è il processo di valutazione anche retroattiva degli insegnanti, che li trasforma a tutti gli effetti in lavoratori precari, cancellando il concetto di licenziamento per giusta causa. Sarà l’unica categoria di lavoratori (perché non i medici, per esempio? si chiedono alcune voci critiche) ad essere sottoposta, da una autorità ancora da costituire, a test periodici, di contenuto non meglio precisato. Sulla base dei risultati ottenuti, gli insegnanti saranno mantenuti nel ruolo o licenziati senza obblighi per il datore di lavoro: decenni di lotte e conquiste abolite per decreto. Intanto, i grossi gruppi del potere economico si fregano le mani: secondo la Banca Mondiale, l’istruzione, insieme alla sanità, rappresenta il più grande affare lecito, a livello planetario.
“Si comincia screditando gli insegnanti per finire alla completa privatizzazione. Così saranno ancora meno i messicani che potranno andare a scuola” dice senza esitazioni il bigliettaio del Museo Diego Rivera sulla Alameda Central. E soprattutto si vuole screditare chi, tra loro, lavora nelle trincee più aspre del territorio nazionale, anziché fornire appoggio, aggiornamento e professionalizzazione.
Il primo grande bersaglio sono le Escuelas Normales Rurales. Sono frequentate da giovani contadini, selezionati da apposite commissioni, ai quali offrono istruzione, vitto e alloggio. Titolo preferenziale per l’accesso è la povertà. Le chiamano università dei poveri, infatti: sfornano insegnanti contadini per allievi contadini. Nate nel periodo post rivoluzionario come centri pubblici di formazione di maestri rurali, in difesa del diritto dei poveri a una istruzione che fosse allo stesso tempo potere di interpretazione e di trasformazione della realtà, sono da sempre centri di pensiero critico, focolai di ribellione e protesta sociale. Lucio Cabañas, il leggendario guerrigliero degli anni ‘70, ne è stato allievo e insegnante. La signora Gordillo, già nel 2010, chiese di chiuderle: “non dimentichiamoci che sono state incubatrici di guerriglieri!”, dichiarò. E così le hanno strangolate gradualmente, fino alla riforma di oggi, che prevede di darle in gestione a privati, tagliando fuori dal processo formativo proprio coloro per i quali erano state istituite. E qui il cerchio si chiude. L’ex candidato alla presidenza della Repubblica, Gabriel Quadri de la Torre, fervente sostenitore della proposta di Peña Nieto, ha scritto sul suo blog: “Il tema delle Normales e della formazione di insegnanti qualificati è vitale….ma va molto al di là del piano strettamente educativo: è un problema di governo, di legalità, di stato di diritto e di sicurezza pubblica. Va affrontato.” E infatti le autorità messicane in questi casi sono molto sollecite. Da tempo gli studenti della Normal Rural di Ayotzinapa, Guerrero, chiedevano di essere ricevuti dal Governatore dello Stato, Ángel Aguirre, per denunciare le condizioni di abbandono della struttura. Dopo ripetuti e inutili tentativi di ottenere un colloquio, il 12 dicembre del 2011 pensarono che il blocco dell’autostrada per Acapulco fosse l’unica maniera di far sentire la propria voce. Negli scontri che seguirono, due di essi, Jorge Alexis Herrera e Gabriel Echeverría, furono uccisi a colpi d’arma da fuoco da poliziotti in borghese. Sebbene la commissione nazionale dei diritti umani abbia stabilito che ci sono state gravi violazioni da parte delle autorità, l’impunità persiste, così come l’inesorabile processo di smantellamento del diritto all’istruzione, sancito quasi due secoli fa dall’unico presidente indigeno del Messico, Benito Juárez.

1 Commento a “Messico: insegnanti in trincea”

  1. francesco giammanco scrive:

    Il nostro Pena Nieto si chiama Luigi Berlinguer che per primo finanziò le scuole private per creare idioti ricchi e fedeli. Ha smantellato l’istruzione Universitaria per creare una burocrazia aziendalizzata di ladri incapaci ecc.ecc. Almeno in Mexico in tanti ancora sanno che cosa significa lottare per la dignità umana.

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