Minima 1.

1 Febbraio 2008

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Costantino Cossu

Mikhail Petrovic Minin, si sa, è entrato nella storia per interposta persona. Il soldato dell’Armata Rossa che, in una celebre fotografia, pianta la bandiera con la falce e il martello sul tetto del Reichstag non è lui, è un suo compagno, Militon Kantarija. Mikhail Petrovic su quel tetto c’è davvero salito per primo il 30 aprile 1945, ma la foto che tutti hanno nella memoria è stata scattata, da uno dei fotografi al seguito dell’esercito di Mosca, due giorni dopo, quando la battaglia era definitivamente vinta e la capitale tedesca era caduta. Prima non si poteva fare, quello scatto, perché le pallottole volavano ancora; per arrivare in cima al palazzo simbolo del potere hitleriano Mikhail Petrovic e altri quattro soldati avevano dovuto ingaggiare e vincere un conflitto a fuoco con una pattuglia nazista che ancora presidiava l’edificio.
Il 18 gennaio Mikahil Petrovic è morto. Aveva 82 anni e viveva a Pskov una tranquilla esistenza da pensionato, eroe dimenticato di un passato che la Russia di Putin ha rimosso. Alla notizia della morte le agenzie e i giornali hanno dedicato poche righe, nel mondo ma anche a Mosca. Eppure nel destino di quest’uomo c’è una cifra che rimanda a qualcosa di più che ad una singola vita. Eroe sì, ma con la faccia di un altro. La storia della rivoluzione d’ottobre, degli esiti di quella rivoluzione, non somiglia alla storia di Mikhail Petrovic? Non si specchiano l’una nell’altra? Il comunismo sovietico, in fondo, non è forse stato un comunismo per interposta persona? Proviamo a rifletterci un attimo. La foto che ritraeva l’alter ego dell’eroe doveva servire alla propaganda. Non importava che fosse vera. Importava che fosse creduta vera. E allo stesso modo, non importava che il socialismo staliniano fosse una rottura storica reale (non lo era), importava che così si credesse. Sino a quando il gioco non è stato più possibile. Se dopo è venuta l’orrida Russia di oggi è perché la rivoluzione sovietica aveva perso il coraggio di scommettere su una verità, sulla propria verità.

1 Commento a “Minima 1.”

  1. Eleonora Bocchi scrive:

    Appena tornata da S. Pietroburgo che mi ostino a chiamare Leningrado, dove ho visitato il cimitero degli eroi. Non suonano più solo Shostakovich, ma anche Albinoni e la terza sonf. di Beethoven: peccato. In compenso sono capitata lì durante una ricorrenza di veterani tra cui il soldato che assieme ad altri è salito sul Reichstag (probabilmente in seconda battuta da quanto leggo qui). Non importa; gli ho stretto volentieri la mano e scattato foto.

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