Morire di privatizzazioni

1 Luglio 2007

Marco Ligas

Abbiamo parlato, nei numeri precedenti, degli incidenti sul lavoro: morti e feriti che ricordano come i lavoratori affrontino spesso all’interno dell’azienda situazioni di estremo pericolo. In questi giorni un nuovo grave incidente è avvenuto nella nostra regione: tra Bortigali e Macomer un treno merci e uno passeggeri si sono scontrati provocando la morte di tre persone e il ferimento di altre. Sono state subito fornite le ragioni del disastro: un capostazione non avrebbe segnalato al macchinista del treno passeggeri la presenza dell’altro treno. Dunque le cause sarebbero da attribuire all’errore umano. Si potrebbe già archiviare il caso, ma non ci sembra la scelta migliore per capire le ragioni di questa ennesima sciagura.
Ci sembra più opportuno invece partire da lontano, capire quali siano stati gli effetti delle trasformazioni avvenute nel comparto delle ferrovie anche in seguito alle privatizzazioni, se si è davvero affermata la razionalità ipotizzata, se sono migliorate le condizioni di sicurezza, sia quelle sul lavoro che dell’esercizio, se la qualità del servizio sia più vicina e più funzionale ai bisogni degli utenti. La verità è che, sotto la spinta delle indicazioni comunitarie, dei vincoli di bilancio pubblico sempre più stringenti e delle innovazioni tecnologiche, sono stati sottratti in via definitiva vasti comparti alla proprietà e al controllo pubblico, altri settori invece sono stati progressivamente abbandonati; nel frattempo non solo non è stato risanato il deficit cronico ma non si è realizzata neppure l’ipotesi secondo cui il servizio avrebbe guadagnato in sicurezza ed efficienza consentendo agli stessi ferrovieri aumenti salariali. In Sardegna è successo anche di peggio: gli sprechi sono aumentati con lavori inutili. Esisteva un progetto di elettrificazione per l’intera linea principale ed era previsto il collaudo di nuovi locomotori. I lavori appena iniziati sono stati bloccati e i nuovi macchinari sono rimasti inutilizzati diventando inservibili. Non si è trattato di scelte tese al risanamento del bilancio aziendale ma di errori clamorosi che l’azienda ha cercato di minimizzare. La stessa azienda che ha ridotto l’occupazione e, dopo averla dimezzata nel corso di un decennio, si propone di contrarla ancora. E’ difficile conciliare queste scelte con la crescita della produttività e la tutela delle condizioni umane dei lavoratori.
Eppure i ferrovieri, pur consapevoli dell’incertezza del loro futuro, ritengono che sia ancora possibile un rilancio delle attività. Naturalmente servirebbe un ruolo diverso della direzione sarda, più autonomo e propositivo rispetto ai vertici nazionali. Sarebbe possibile, per esempio, sviluppare le attività relative al trasporto delle merci. Questo settore nel corso degli anni ha visto ridursi costantemente il volume delle merci trasportate sino a toccare il 5, per cento; la parte restante, cioè quasi tutta, è in mano alla concorrenza privata. Perché non si investe in questo settore? Certamente ciò comporterebbe un adeguamento delle strutture, ma non si tratterebbe di un investimento in perdita perché si avrebbero dei riscontri sicuri con la crescita della produzione e dell’occupazione.
Anche questa opportunità non sembra interessare la direzione delle ferrovie che opera nell’isola; un po’ per negligenza, un po’ per subalternità nei confronti dei vertici aziendali viene accettato il primato del trasporto su strada rispetto a quello su rotaia perché risulta più veloce e più funzionale agli interessi privati. Così il comparto pubblico accentua il suo declino.
È evidente come un sistema dei trasporti pubblici così male organizzato, sia che appartenga alle ferrovie complementari, dove è successo l’incidente di cui parliamo, o a quelle a scartamento normale, serve al settore privato perché alimenta speculazioni e profitti. Ed è altrettanto evidente che i lavoratori che rimangono all’interno di un’azienda destinata alla chiusura definitiva perdano le motivazioni del lavoro e si sentano progressivamente esclusi dal processo produttivo. In queste situazioni è pur attendibile l’attribuzione dell’incidente all’errore umano, ma la sua causa è precedente, è riconducibile alle politiche devastanti delle privatizzazioni che hanno provocato un ridimensionamento sistematico dei reparti produttivi, prepensionamenti e licenziamenti, insomma le premesse di una chiusura definitiva.

2 Commenti a “Morire di privatizzazioni”

  1. Andrea Pubusa scrive:

    Caro Marco, unisco al Tuo bel pezzo una riflessione “fuori tema”, ma la indirizzo a Te in qualità di direttore.
    Il Manifestosardo cresce in qualità ad ogni numero. Complimenti! Tuttavia, per una pubblicazione online la cadenza quindicinnale, pare eccessiva, anche se è del tutto necessaria per gli approfondimenti. Proporrei allora, lasciando immutato l’attuale impianto, di aggiungere una parte di novas, news, notizie fresche, su cui poi tornare con la riflessione. In questo modo il Manifestosardo morderebbe di più ed anche i commenti (che mi paiono pochi) forse aumenterebbero. Creerei anche una rubrica in cui dar notizia delle iniziative e degli eventi culturali che interessano la gente della sinistra. Così aumenterebbero anche i contatti e si renderebbe un servizio ai lettori.
    So che questa proposta necessita di maggiori forze (e so ch’esse sono scarse). Ma qualche rinforzo per la bisogna forse si trova. Si potrebbe provare a pensarci? L’estate porta consiglio….Ciao Andrea

  2. mirko miscali scrive:

    Oggi è l’ 8 agosto, è passato un mese dalla scrittura di questo articolo e ancora continuano a livello locale e nazionale gli incidenti di lavoro causa di svariati morti e feriti. Sempre di oggi è la sparata dell’onorevole no global Caruso che prendendo spunto dal ferimento di un uomo di Terni, caduto da un’ impalcatura mobile posta a cinque metri d’altezza mentre stava lavorando all’interno delle Acciaierie (dove martedì scorso si era verificato un altro incidente, in questo caso mortale), accusa gli ispiratori delle nuove politiche flessibili il senatore Treu e il compianto Prof Biagi assassinato dalle brigate rosse di essere gli armatori di padroni senza scrupoli che profittano degli operai senza garantire loro adeguate sicurezze infrastrutturali. A parte le parole deprecabili e poco rispettose rivolte a un servitore dello stato ingiustamente ucciso , il problema della sicurezza del lavoro potrebbe essere affrontato modificando alcune parti della legge Biagi migliorandola.

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