Notti padane: Va’ pensiero

16 Gennaio 2011

piasentà

Valeria Piasentà

Va’ pensiero: un altro bene rubato alla storia italiana e risimbolizzato dalla Lega Nord, che col coro dal Nabucodonosor di Verdi chiude i suoi raduni. Lo trasmette poi ogni mattina alle 10.30 da Radio Padania Libera, emittente estesa fino a Lecce in virtù di concessioni governative straordinarie di cui gode solo Radio Maria dello Stato Vaticano. Ma a differenza di un altro simbolo leghista, l’eroe inventato Alberto da Giussano, in questo caso si tratta di un oggetto vero con una storia pesante, per cui il furto è venato di blasfemia: il Va’ pensiero, nel Nabucco invocazione degli esuli ebrei verso la patria lontana, è un simbolo delle lotte risorgimentali. La Scala di Milano commissionò l’opera che andò in prima il 9 marzo del 1842, con gran successo per il carattere solenne e grandioso, d’ispirazione rossiniana, ma soprattutto per i contenuti libertari. E questo coro divenne l’inno dei patrioti poi costretti all’esilio per motivi politici, della Milano liberale, dei circoli della Giovine Italia frequentati da Verdi. «Viva Verdi!» gridavano gli antiaustriaci omaggiando il compositore, ma per loro quel ‘verdi’ era anche l’acronimo di: Vittorio Emanuele Re D’Italia. Il compositore e cultore della tradizione musicale italiana era diventato, suo malgrado, portavoce degli ideali di una intera generazione. Già nel ’36 Mazzini (analogamente a quanto sottolineò poi Gramsci) nella sua Filosofia della musica, indicava il melodramma come forma culturale performativa, vi riponeva grandi speranze per offrire risposte alla criticità storica dell’epoca. «Dio è popolo!» quindi «La musica è l’algebra dell’anima, per la quale vive l’umanità. La musica è la fede d’un mondo, la poesia del quale è l’alta filosofia. La melodia e l’armonia sono i due elementi generatori. La prima rappresenta l’individualità, l’altra il pensiero sociale». Per lui l’opera romantica italiana, liberandosi di individualismo e particolarismo, doveva creare i presupposti per la nascita di una grande scuola europea. Sembra quasi che Mazzini pensasse allo studente Verdi quando dedicò il suo trattato a un «giovine ignoto, che forse in qualche angolo del nostro terreno, s’agita, mentre io scrivo, sotto l’ispirazione, e ravvolge dentro sè il segreto di un’epoca musicale». E fra le riforme auspicate da Mazzini rientrava anche lo sviluppo del coro: «se il dramma musicale ha da camminar parallelo allo sviluppo degli elementi invadenti progressivamente la società, perché il coro, che nel dramma Greco rappresentava l’unità d’impressione e di giudizio morale, la coscienza dei più raggiante sull’anima del Poeta, non otterrebbe nel dramma musicale moderno più ampio sviluppo, e non s’innalzerebbe, dalla sfera secondaria passiva che gli è in oggi assegnata, alla rappresentanza solenne ed intera dell’elemento popolare?». Verdi, per il quale Mazzini costituiva il referente politico, ha fatto tesoro dell’insegnamento, infatti il Va’ pensiero è un coro eroico composto da tutti solisti che cantano all’unisono. Qualche anno dopo il coro de La battaglia di Legnano intona «Viva l’Italia! Sacro un patto tutti stringe i figli suoi!». Poi, su richiesta di Cavour e col testo di Boito, compose l’Inno delle Nazioni presentato all’Esposizione universale del ’62. Come commenta il musicologo Mila «La musica italiana, aulica e aristocratica per lunga tradizione, sta per scoprire il popolo», proprio come lo scoprirà di lì a poco l’arte italiana, con Il Quarto Stato del socialista piemontese Pellizza da Volpedo. E guarda caso, il dipinto di Pellizza oggi è usato strumentalmente dalla Lega, che l’ha dilettantisticamente ridisegnato in un manifesto elettorale pro Cota con contadini e operai in improbabile camicia verde. Come Mazzini anche Verdi aveva a cuore la cultura, quando venne eletto deputato del primo parlamento italiano promosse l’istruzione musicale pubblica. Invece oggi la Lega usa l’inno verdiano come vessillo mentre governa con un ministro delle finanze per il quale «la cultura non si mangia»; un ministro che afferma non occorra finanziare lo spettacolo perché lo spettacolo non è cultura; un ministro della cultura che taglia i finanziamenti allo spettacolo; un ministro dell’istruzione che ha ridotto del 40% i fondi all’Alta formazione artistica e musicale; ed esprime giornalisti dal ghigno patibolare che zittiscono l’avversario (finiano ed attore di prosa) con un inelegante «taci tu che vieni dallo spettacolo». Gente che mette sullo stesso piano  Shakespeare e il balletto delle veline?  Ma cosa c’entrano i secessionisti della Lega Nord con gli ideali politici e culturali del repubblicano Verdi e della sua generazione di patrioti? nulla. Allora riserviamo il Va’ pensiero a chi ha più diritto di cantarlo, a chi studia musica davvero e non in televisione; agli studenti del Conservatorio di Padova, che hanno indetto una conferenza nazionale a L’Aquila per discutere sullo stato critico dell’alta formazione musicale in Italia. Potrebbero intonare il coro sventolando il tricolore, in una ricostruzione storica dei moti patriottici risorgimentali, sotto le finestre del leghista Leandro Comacchio, assessore padovano all’identità veneta (?) che ha promosso un calendario da regalare a tutti gli studenti della provincia, dove le date del 25 aprile e del 1° maggio non sono segnate festive, mentre sono evidenziate la terza edizione della Festa del popolo veneto e il Bati marso (festa primaverile che deriva dalle Idi di Marzo romane). Riprendiamoci il coro e dedichiamolo ai nuovi italiani esuli, a tutti quei giovani non raccomandati quindi costretti all’esilio per lavorare: a livello mondiale i laureati impiegati fuori patria assommano all’1%, gli italiani quasi al 3%, un dato su cui riflettere considerando che solo il 9% della popolazione italiana è in possesso di una laurea. In quest’anno di celebrazioni per l’Unità d’Italia riprendiamoci il Va’ pensiero con tutti i suoi significati e le sue valenze, perché il sonno della cultura genera mostri.

5 Commenti a “Notti padane: Va’ pensiero”

  1. Daniele Ottolina scrive:

    1.Questo articolo dimostra solo l’ignoranza dell’autore riguardo la storia medievale (Alberto da Giussano è un personaggio realmente esistito).
    2.Il Va Pensiero a voi ha sempre fatto schifo, cito una notizia:

    VENEZIA, 13 giugno 2010 – Malumore tra i presenti all’ inaugurazione di una nuova scuola primaria di Fanzolo di Vedelago (Treviso) per l’esecuzione del Và Pensiero al posto dell’inno di Mameli alla presenza del governatore Veneto, Luca Zaia. Un cambio di programma che, riporta oggi La Tribuna, avrebbe fatto infuriare in particolar modo la direttrice dell’ufficio scolastico regionale Carmela Palumbo che si sarebbe riservata di denunciare l’accaduto all’assessore regionale Elena Donazzan. Stando al programma l’inno di Mameli doveva essere cantato da un coro, ma una ventina di minuti prima del taglio del nastro il portavoce del governatore l’avrebbe fatto sostituire con il Và Pensiero.(ANSA).

    Perchè ora venite a reclamarlo?
    3.Non mi interessa che idee politiche abbia avuto Verdi, io mi attengo al significato letterale del testo che descrive in modo appropriato la sottomissione di tutti i popoli italiani ad uno stato che conviene a pochi (non sto parlando solo dei popoli del Nord, ma anche del Sud).
    4.Ci avete già tolto la nostra terra, la nostra lingua, le nostre tradizioni, anche se ci togliete uno dei pochi simboli noi continueremo a lottare fino alla morte. I vostri tentativi di distruggere il nostro morale non fanno che renderci più forti.

    Padania Libera!

  2. Valeria Piasentà scrive:

    Non so che dire tranne che è doloroso per chi viene dalla lirica e poi la insegna nelle Accademie e nei Conservatori di musica vedere certe opere fatte a pezzi e omogeneizzate per acchiappare il consumatore della politica. Vedere certa politica che come finalità ultima ha la ricerca di consenso acritico usare e stravolge il nostro patrimonio culturale a fini elettorali strazia il cuore.
    Ma chissà, se uno di più conosce e canta il coro del Nabucco è uno in più dei nostri, magari si appassiona e domani andrà a vedere la Carmen o il Così fan tutte e la smetterà di seguire le false sirene, e grazie alla cultura si affinerà anche nelle scelte di vita.
    Quel che avevo da dire sul Va’ pensiero è nell’articolo, il resto lo ha espresso chiaramente e con un segno deciso e definitivo – che è il segno del Maestro – Riccardo Muti a Roma, e lo commenterò nel prossimo articolo. Per quanto riguarda Alberto da Giussano ecco cosa si legge a pag 31 di E. Bianchini Il libro che la Lega Nord non ti farebbe mai leggere ed. Newton Compton
    «Sostiene Gremmo (fondatore dell’Union Piemontèisa ndr): Un giorno Bossi mi telefona e chiede: Hai notato quanto è bello il marchietto delle biciclette Legnano? Credi che verranno fuori dei casini legali se lo utilizziamo come simbolo del movimento?»
    Se occorre un approfondimento storico dimmelo caro amico leghista, in cambio ti chiedo una botta di rispetto: non straziare più la notte infinita del Maestro Verdi, un repubblicano e un patriota che per l’ideale italiano ha speso tanto e ora di certo si sente tradito quando lo utilizzate voi leghisti. Almeno lui lasciatelo in pace dài! che vi costa….

  3. Daniele Ottolina scrive:

    1) Incredibile che lei abbia tirato fuori la storia del simbolo, credevo di saperla solo io e qualche altra persona, ma ciò non fa altro che confermare come Alberto da Giussano sia un vero e proprio simbolo, una leggenda (le biciclette legnano soi per l’appunto prodotte a LEGNANO, dove Alberto conseguì la sua più grande vittoria). Alberto da Giussano rappresenta, come il Va’ Pensiero, quell’ideale di lotta per la libertà a cui si ispirano i popoli della Padania. Quando dice che Verdi erano un sostenitore convinto dell’Unità d’Italia le do ragione, ma da buon milanese credo abbia già fatto parecchi ruzzoloni nella tomba vedendo cosa è l’Italia oggi.
    Ad ogni modo si esagera a conferire tanta importanza al Risorgimento italiano dal momento che fu un processo storico di cui fu protagonista solo l’elite della società. Verdi infatti era un borghese, distaccato completamente dalla cultura popolare. Il Risorgimento è una farsa, fatto dai Savoia (con l’appoggio dei Francesi) per degli schifosi giochi di potere. Al popolo interessava solo cacciare i Borboni e gli Austriaci, ma l’unità no.
    Lei comunque non ha preso minimamente in considerazione il punto 2. del mio intervento.
    Lei che è una giornalista si ricorderà sicuramente che 15 anni fa la Lega era arrivata a chiedere che il Va’ Pensiero fosse preso come Inno d’Italia al posto di Fratelli d’Italia. TUTTI sostennero che il Va Pensiero non avesse nulla a che fare con l’Italia.

    Avrei voluto dire molte più cose ma non ho lo spazio.

  4. Valeria Piasentà scrive:

    La storia insegna che le rivoluzioni sono guidate da élites di giovani colti. Così è accaduto nell’Ottocento italiano, in un contesto arretrato con una borghesia in formazione ma sprovvista di status sociale. La prima bottarella all’ancien régime parassitario l’hanno data i francesi. Tutto cambia anche nella ‘padania’: eravamo messi così male che quando nei nostri paeselli entrava Napoleone con le truppe pure il prete suonava le campane a festa! Si sopprimono chiese e conventi, si vendono le tenute fondiarie per allargare il benessere, e nasce l’istruzione pubblica: i due fatti congiunti nel giro di una generazione formano quei giovani che abbiamo trovato col popolo (non dimentichiamoci delle rivolte contadine) sulle barricate del ’21, ’31 e ’48, quella élite che voi disprezzate e che fra l’altro ha inventato il mito dell’Alberto da Giussano. Ma vi capisco: per una estrema destra che vuole tornare alle piccole patrie gestite dalle corporazioni – questa la teoria di Miglio, mai negata – dove suffragio universale e intellettuali sono superflui, quel che sostenete va bene! Contenti voi…
    Per l’inno: la richiesta che la Lega fece era pura provocazione a fini propagandistici; una domanda retorica che, allora come oggi, non esige risposta. Invece da artista mi indigno quando vedo un partito di destra appropriarsi strumentalmente di un oggetto ribaltandone il senso, questo vale per il coro del Nabucco come per il Quarto Stato del socialista Pellizza, e per tant’altro ancora.

  5. Marcello Madau scrive:

    Ho trovato molto interessante lo scambio di idee qui sopra sull’articolo di Valeria Piasentà. E mi anche ha colpito, nelle affermazioni del lettore leghista, l’osservazione su Alberto da Giussano, della cui improbabile esistenza siamo convinti (ne abbiamo fatto cenno in un articolo uscito qualche tempo fa, In “Dall’Alpi a Sicilia dovunque è Legnano”.
    Traspare in ogni caso la forza del simbolo, dice Ottolina: poco importa che sia da una bicicletta. Ed è vero. Succede da noi per il nuraghe, logo e nome usato commercialmente, o per il prode Amsicora (questo esistito, anche se non sardo).
    La forza dei simboli e della suggestione fa premio spesso sulla verità. Il falso, quando muove un sogno, diventa improvvisamente vero e interpreta anche pezzi di esigenze non censurabili. Ma una su tutte non ci convince, ci sembra inaccettabile: abbiamo proprio bisogno di eroi, di militarismi, più o meno sanguinari o ricoperti di sangue? L’eroismo militaresco interpreta pezzi di esigenze per noi non accettabili né condivisibili. La diversità, legittimamente espressa, dovrebbe portarci alla reciproca curiosità, all’andare verso l’altro per arricchirci, e viceversa. Questo pretende, al di là delle contingenze, voglia di inclusione e non di esclusione, aperture e non separatezze.

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