Orsetta Bellani: “L’insurrezione in Chiapas non è finita”

13 Gennaio 2017
Raúl Zibechi, Naiz (Foto: Orsetta Bellani)

(Foto di Orsetta Bellani)

[Roberto Loddo]

L’esperienza zapatista continua a generare stimoli e coltivare speranza in coloro che vi vengono a contatto. Questa sera a Cagliari, la B.A.Z. la Biblioteca Autogestita Zarmu in Via San Giacomo 117, ha organizzato la presentazione del libro della giornalista Orsetta Bellani Indios senza re, conversazioni con gli zapatisti su autonomia e resistenza, edizioni La Fiaccola. Orsetta Bellani è giornalista freelance e collabora con periodici di vari paesi. Viaggiatrice da tutta la via, dal 2009 scrive reportage e si occupa di movimenti sociali, diritti umani e della violenza che vive l’America Latina. Ha scritto un romanzo e alcuni racconti e appoggia il movimento zapatista da quando ha messo piede in Chiapas.

L’Ezln dalle rivolte indigene del 1994 ha rappresentato un modello politico di idee e pratiche di autonomia, partecipazione e resistenza che a livello globale arricchiva i forum sociali mondiali e le organizzazioni politiche della moderna sinistra radicale e anticapitalista. Perché oggi sugli zapatisti è sceso il silenzio?

L’idea del libro è proprio quella di riportare il tema dello zapatismo alla conoscenza di un pubblico più ampio spiegare anche le ragioni di un silenzio. Nei primi anni dell’esperienza zapatista, l’EZLN e il suo portavoce, il subcomandante Marcos, uscivano nei grandi media internazionali con interviste e confronti e sicuramente una prima ragione è determinata dai perversi meccanismi dell’attenzione mediatica dei media mainstream che dopo vent’anni si è spostata in altre zone del mondo. Una seconda ragione è rappresentata dalla chiusura dell’EZLN all’interno dei propri territori a causa dell’orientamento di alcuni organi di informazione che tendevano a screditare il movimento. L’EZLN ha comunque mantenuto una relazione con giornalisti indipendenti e negli ultimi due anni ha ripreso le relazioni con i media alternativi.

Nel tuo libro non racconti solo il presente ma anche il passato, fai un racconto dettagliato della storia del sudest messicano, dall’epoca dei conquistadores ai giorni nostri, un sistema di sfruttamento e oppressione di cui sono state vittime le comunità indigene.

Gli indigeni sono stati i popoli più repressi dell’America latina. Quella che nella storia ancora studiamo come la scoperta dell’America in realtà è stata prima di tutto l’inizio del genocidio dei popoli indigeni americani. Il Chiapas è un territorio con zone isolatissime che non hanno strade asfaltate e a volte nemmeno strade percorribili da automobili, le stesse comunità nella Selva Lacandona hanno servizi, scuole e ospedali lontanissimi dai centri abitati. In questo sistema di sfruttamento, repressione e discriminazione che gli indigeni vivono da 500 anni nelle città e soprattutto nelle campagne è sempre esistito un rapporto diseguale tra contadini e braccianti, considerati quasi come schiavi dai proprietari terrieri. Una condizione di disuguaglianza non solo lavorativa ma anche culturale che andava dall’impossibilità di accedere a qualunque educazione fino ad arrivare al considerare la donna come un oggetto di proprietà, pensiamo alla condizione terribile di quelle ragazze portate via per essere violentate dal padrone e dai figli del padrone.

Una condizione di disuguaglianza che ha generato il terreno fertile per l’insurrezione indigena.

Sì, in questo contesto negli anni 80 nelle comunità indigene del Chiapas arriva un gruppo di giovani uomini e donne provenienti dal centro del Messico, tra cui colui che poi diventerà il subcomandante Marcos. Sono arrivati nelle zone isolate del Chiapas con l’idea di creare un gruppo armato che perseguisse una lotta popolare di liberazione e hanno trovato un terreno fertile determinato dalle disastrose condizioni in cui versavano le comunità. Questo nucleo ha connesso per dieci anni l’addestramento militare al lavoro politico, fino al 1994, l’anno dell’insurrezione.

Come viene vissuta e combattuta l’oppressione femminile delle donne indigene e povere da parte del movimento zapatista?

Sicuramente nelle comunità indigene non zapatiste, come in tutta la società messicana, è presente una forma molto radicata di maschilismo e sessismo. A livello pubblico c’è uno sforzo molto grande nel praticare la democrazia di genere da parte dell’organizzazione zapatista e le donne partecipano e sono incluse a tutti livelli, pur in misura inferiore rispetto agli uomini.

Le donne e gli uomini indios sono davvero senza re?

Il titolo del libro riprende il paragrafo di un libro di Eduardo Galeano che si chiama Specchi, un paragrafo che mi ha colpito perché proietta dal passato della cultura maya la realtà zapatista delle pratiche dell’autonomia, della democrazia dell’assemblea e della mancanza di capi. Galeano descrive gli indigeni maya come indios senza re raccontando lo stupore dei conquistadores europei del 500 nel trovarsi di fronte agli indigeni maya, i conquistadores non riuscivano a soggiogali perché i maya non si facevano soggiogare, la difficoltà nel comandarli perché non avevano sovrani, e per cui non sapevano a chi rivolgersi e chi corrompere, lo stupore di fronte al modo con cui si autogovernavano in maniera orizzontale e per assemblee, perché ogni cosa veniva discussa con il metodo del consenso per ore. In questo paragrafo, senza che se ne parli esplicitamente, è racchiusa l’essenza dello zapatismo.

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