Riflessi dall’Odissea

1 Luglio 2007

MAMOIADA

Antonio Mannu

Le incontro nella sala che ospita le immagini scattate a Mamoiada. Si curvano, s’attorcigliano per osservare le fotografie, cercando di schermare i riflessi formati dalla cattiva illuminazione, combinata con la brillantezza delle stampe e l’ uso, inopportuno, del plexiglas. Sono di Mamoiada, figlie di quelle donne che Pablo Volta, in un documentario realizzato da Giovanni Columbu, dice di aver percepito come «straordinarie. Donne che non facevano gesti inutili, quasi delle dee greche. Senza nessuna dipendenza dall’uomo». Altrove aggiunge: «Le donne barbaricine: madri, mogli, detonatori di violenza […] Non posso fare a meno di ricordare il loro portamento, il loro passo. A me, parigino di importazione, aveva lasciato senza respiro: un’eleganza e una fierezza suprema».
Siamo a Nuoro, nelle sale dell’ex tribunale che ospitano la mostra fotografica Pablo Volta. La Sardegna come l’Odissea. Opportuna iniziativa dell’ Etnografico, realizzata per presentare le immagini sarde, donate all’Istituto dal fotografo italo-argentino. Nato a Buenos Aires nel 1926, Pablo Volta arriva in Italia all’età di sei anni. Da circa vent’anni vive in Sardegna, a San Sperate. «Sono venuto in Sardegna per la fotografia» racconta in Ritratto di Pablo Volta, documentario di Columbu riprodotto di continuo in una sala; forse, a causa dell’infelice allestimento, la porzione più godibile della mostra.
Volta incontra la fotografia partecipando, nel 49 a Berlino, ad un corso organizzato dall’esercito statunitense. Nell’inverno del 54 approda in Sardegna, sulle orme di Franco Cagnetta, autore della Inchiesta su Orgosolo, pubblicata quell’anno su Nuovi Argomenti. L’impressione, per il giovane fotografo, è intensa. Arrivando ad Orgosolo gli parve di trovarsi, nella seconda metà del 900, in «una di quelle comunità pastorali che si incontrano leggendo l’Odissea». Nasce da questa suggestione, dal contatto «con una dimensione omerica dell’esistenza», il titolo, fortemente voluto da Volta, di questa iniziativa che prosegue un percorso, inaugurato dall’ISRE con la presentazione, sempre nei locali dell’ex tribunale, di alcune straordinarie immagini, realizzate nel primo novecento dal sardo Guido Costa.
La contemporanea presenza delle due mostre, inevitabilmente, porta i visitatori ad un confronto. Paradossalmente le immagini di Costa, frutto di uno sguardo più innocente, meno strutturato di quello di Volta, pur essendo scattate trent’anni prima, raccontano una Sardegna che sembra meno lontana, meno arcaica, meno omerica forse, di quella dipinta dall’italo argentino. Le due signore mamoiadine sono entusiaste del lavoro di Costa, meno delle fotografie di Pablo Volta; in particolare delle immagini realizzate nel loro paese, la prima documentazione fotografica della sfilata dei Mamuthones. Dice il fotografo: «Quelle di Mamoiada sono forse le foto migliori che ho fatto». Non sono d’accordo con le signore di Barbagia, ma neppure con Volta. Tra le immagini scattate nell’isola, fermo restando il valore documentario del lavoro fatto a Mamoiada, ho trovato più significative le foto realizzate ad Orgosolo, le bellissime immagini fatte alla stazione dei pullman di Nuoro, gli scatti ferroviari dell’Ogliastra. Il lavoro orgolese si dipana in sequenze dal forte sapore neorealista, sia nelle inquadrature che negli elementi caratterizzanti il mondo rappresentato: i volti e gli abiti, le divise dei carabinieri. le calzature; pur se il paese barbaricino appare luogo lontano, più remoto e arretrato di centri analoghi del sud d’Italia. Il lavoro sul carnevale mamoiadino è però quello che lo ha reso celebre. Dice Volta: «Dopo la mostra dell’81 a Mamoiada sono stato considerato, in modo per me imbarazzante, come un maestro» precisando subito «non mi sento un maestro». Poi, sempre su quel lavoro, del quale è giustamente fiero, aggiunge: «era un carnevale diverso, triste, un rito. Per me è stato l’incontro con qualcosa di sconosciuto, che mai avrei immaginato». Questo straniamento si avverte, forse ha informato il giudizio, troppo severo, delle signore. La visita a Mamoiada è durata lo spazio di un giorno, una giornata particolare, un contesto non quotidiano. Si sente, si vede. Ad Orgosolo il soggiorno è durato più al lungo, in un terreno già arato da Cagnetta, con la possibilità di fruire di rapporti, indicazioni, conoscenze. Si vede, si sente. La consuetudine coi luoghi, probabilmente, è necessaria per meglio capire e raccontare. Tra le foto un ritratto dello scomparso tiu Antoni Cuccu, venditore di libri di gare poetiche alle feste paesane. Come la Festa dell’Assunta, ad Orgosolo nel 56, quando è stata scattata l’immagine: tiu Antoni a fianco di una donna, «moglie di un bandito di Fonni» dice Volta «che vendeva alle feste i suoi libretti di poesie». In verità è lei il soggetto della foto, ma il venditore di libri, il passatore di un patrimonio di cultura popolare, carissimo a donne e uomini dell’isola, era tiu Antoni, allora appena trentenne. Bello il catalogo, con la presentazione di Tatiana Agliani ed Uliano Lucas, che colloca in una prospettiva storica il lavoro di Volta ed i percorsi della fotografia etnografica dell’epoca. Edito dalla Illisso è stato fondamentale per osservare le fotografie, penalizzate in mostra dall’allestimento. Che, pare, sarà rivisto in corso d’opera. Ce lo auguriamo: la fotografia di Volta, la sua generosità, meritano attenzione.

ex tribunale in piazza Santa Maria della Neve-Nuoro;
fino al 16 Settembre 2007, tutti i giorni dalle 10,00 alle 20,00.

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