Paskedda Zau: torramus a su Connotu

1 Marzo 2020
[Francesco Casula]

Dopo Nuoro – che meritoriamente le ha anche dedicato una Piazza, grazie anche all’opera  instancabile di Tonino Frogheri e Gian Luca Medas –  pure Cagliari ricorda e disseppellisce Paskedda Zau, femina sarda de gabale, protagonista de “Su Connotu”, con il Convegno organizzato avantieri nella Mediateca del Mediterraneo, da Renato d’Ascanio Ticca con Angela Cerina e Basilio Brodu.

Il 26 aprile, una domenica, a Nuoro Paskedda Zau, vedova, con 10 figli a carico, in strada, all’uscita della messa, si rivolse alle donne che con lei avevano assistito alla celebrazione. Raggiunta la piazza antistante la chiesa, cominciò a chiamare anche gli altri nuoresi invitandoli alla ribellione. Che si trasforma in vera e propria rivolta con più di 300 persone – soprattutto donne – che assaltano il Municipio, scardinano le porte, asportano i fucili della Guardia nazionale, scaraventano in piazza i mobili e i documenti dello stato civile ma soprattutto i documenti catastali (su papiru bullau) sulle lottizzazioni dei terreni demaniali (dell’Ortobene e di Sa Serra, circa 8 mila ettari), che l’Amministrazione comunale – espressione degli interessi dei printzipales e della borghesia intellettuale e professionale, per lo più massonica – aveva deciso di vendere a famelici possidentes. Sottraendoli all’uso comunitario di pastori e contadini (che consentiva legnatico ghiandatico e pascolo per le pecore), viepiù ridotti alla miseria: uso che costituiva, per le comunità, un sollievo alla povertà, aggravatasi in seguito alla  violenta carestia, che, nel 1866,  li aveva colpiti duramente, mettendoli in ginocchio e portandoli sull’orlo della catastrofe.

Scriverà Manlio Brigaglia:”tutti i documenti comunali, i registri in cui la civiltà scritta dello stato, sopprimeva la civiltà non scritta della comunità, vennero ammucchiati in piazza e bruciatiti”. Un testimone diretto di quell’Evento, il poeta Salvatore Rubeddu, lo descriverà mirabilmente in uno spassoso e satirico latino maccheronico: In illo tempore, – dixit Paskedda Zau–: «a su Connottu», et Tonia filia eius:  – «arga e muntonarju –   non sunt sos benes de babbu tuo». Et mater: – «Veni retro Toniam, sa cosa l’isperto  deo». – Et ex horto, ivit ad domum Martoni quae appellatur domum communalem – et ibi afferravit papiros cum dentibus, exclamans: «Ecco su samben de su poveru». Et Tonia Porcu, ivit in rionem Sancti Petri gridans: «Iscubilae – Chi non si ponzan cussa abbasanta» – et cum acuto sermone omnes incitabat gridare: «Fora su Cossizu»!  – Et Tatana Crudu in medio Turbae, arrizzavit codam fusi, dicens: «Andamus a su Profeta». – Et Mariantonia Mamujadinensis: «Corfu e balla, a nos cheren a sa limusina» – et asinus lasciavit in farina manducans, – et dum regreditur, cum farinam non invenit, asinum mazzucavit  – et filens dicebat: «Ja mi l’happo pizicanda» – et Tonia Ormena exivit cum strale ad truncandum januam – Et filius Berritta cum fucile ivit ad assaltandum truppam. Ita filius Ghisau, qui cum capitano, venturi fuerant ad manus. – Et Demontin iratus – volebat furare bandieram et cazzottum habuit in concam – Et e ferita eius sicut rivus, sanguinem ischizzinabat  – Et Pintor cum bandiera nante turban, ivit exortans gridare: «A su Connottu» – Et Moritta in finestra Corbi, gridabat ad Turuddam: «Bae jà t’arranzo deo». Et postea omnes, iverunt ad Merriolam, et vinum acchirriabatur, dicens illa: «A contu nostru».

Salvatore Rubeddu apparteneva a quel cenacolo di poeti (Giovanni Antonio Murru, Pasquale Dessanai ecc) che si scagliarono, con la loro poesia popolare e in lingua sarda, contro le leggi ingiuste che avevano permesso a pochi privilegiati di impossessarsi di vaste tanche. E mi piace ricordare che fu nel clima di questo rinascimento locale che si affermarono personaggi come Grazia Deledda, Sebastiano Satta e Francesco Ciusa, il maggior scultore sardo, e con loro Antonio Ballero e Giacinto Satta, pittori e romanzieri nello stesso tempo.

Nonostante la rivolta, coraggiosa ed eroica di Paskedda Zau e quella giornata memorabile, con le donne nuoresi protagoniste (insieme a mamojadine, orunesi, desulesi) donne del popolo che ogni giorno si recavano su quelle terre per prelevare il legnatico per la casa, le ghiande per i majali ecc.) – i loro uomini, per lo più erano in campagna o negli ovili a rompersi la schiena – le terre vennero vendute ugualmente e i ribelli arrestati per poi essere amnistiati,  grazie all’intervento del deputato nuorese Giorgio Asproni il quale si rese conto, tardivamente, dell’errore commesso. Ma non ebbe il coraggio di ammettere, in modo netto, quanto aveva fatto Giovanni Siotto-Pintor, a proposito della “Fusione Perfetta” (per cui si era battuto), affermando, viste le conseguenze:”Fummo presi da una follia collettiva. Errammo tutti. E ci pentimmo amaramente”.

Le stesse espressioni avrebbe potuto e dovuto dire Asproni, a proposito delle vendite delle terre pubbliche. Evidentemente era d’accordo con le privatizzazioni. Terre peraltro vendute dall’Amministrazione comunale di Nuoro a rapaci e parassiti possidentes,in base a una legge dello Stato del 23 aprile 1865. E con il pretesto del pagamento dei costi  della ferrovia. La rivolta di Paskedda Zau rappresenta l’epilogo drammatico di rivolte decennali contro la privatizzazione delle terre, volute dai tiranni sabaudi, prima con l’Editto delle Chiudende e poi con l’abolizione dei diritti di ademprivio.

Ma ecco, nella prosa acuminata di Eliseo Spiga*, le conseguenze di quelle scelte, funeste per la Sardegna:”Con esse si smantellavano di fatto le strutture tradizionali del comu­nitarismo. Scalzavano, in altre parole, le secolari basi materiali che avevano permesso l’accesso popolare alla terra e stabilito un equi­librio sostanziale e reciprocamente vantaggioso tra pastori e con­tadini. Con essi si attuava la minaccia della Storia, portata nell’Iso­la da cartaginesi e romani, di distruggere totalmente la libera comunione delle terre e di sostituirla col latifondo. Con l’espulsio­ne dei Sardi dalla loro terra, fu assestato un colpo decisivo a favore dello sviluppo dell’immiserimento della Sardegna.

I piccoli proprietari furono espropriati e rovinati, e i ceti popolari già stremati dalle carestie europee settecentesche che si erano propagate nell’Isola, furono privati da un giorno all’altro di diritti antichissimi, sostanzialmente del diritto alla vita. Più danneggiati furono i pastori, abituati a pascolare le greggi in vasti spazi aperti e comuni ed ora costretti a pagare il fitto ai nuovi proprietari, cioè, agli usurpatori.

La risposta delle popolazioni fu una sollevazione quasi gene­rale, una insurrezione epica. I moti e la guerriglia iniziarono da Gavoi e presto si estesero a Mamoiada, a Nuoro, Fonni, Nule, Osidda, Bitti, Oliena, Orotelli, Benetutti e Buddusò, e ancora a Ozieri e Pattada, e infine a Guspini, Arbus, Pula, Silanus, Bortigia­das, Aggius e Sinnai. Dovunque, e per dieci anni, furono abbattuti muretti e siepi, incendiati raccolti e pascoli delle tancas, uccisi delatori e falsi testimoni, carabinieri e soldati, seminati rancori perenni e programmate vendette secolari. Saltate le compensazio­ni e le inibizioni comunitarie, l’odio e l’invidia, la viltà e il tradi­mento, l’omicidio il furto e il fuoco dilagarono, a piedi e a cavallo, per le pianure e per i monti, dalle tanche, dalle cussorge, dai paesi, dai vicinati. il senso della vita si disperdeva”.

*[Eliseo Spiga, La sardità come utopia – Note di un cospiratore, Cuec, Cagliari 2006, pagine 154–157]

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