Per favore, apriamo quelle porte

16 Giugno 2021

[Amedeo Spagnuolo]

Ogni anno nel mondo si tolgono la vita circa 800.000 persone, solo in Italia 4000. Tra i giovani tra i 15 e i 29 anni il suicidio è la seconda causa di morte e le conseguenze psicologiche del covid hanno amplificato il problema.

Dunque il suicidio giovanile è una terribile realtà presente in Italia e nel mondo molto prima che arrivasse la pandemia che comunque ha dilatato questo fenomeno. Ma quali sono i segnali che dobbiamo cogliere per cercare di preservare i nostri figli da un atto così devastante. Il suicidio giovanile coinvolge mondi diversissimi tra loro, ce lo dimostrano i recenti e terribili casi di Matteo Cecconi e Seid Visin, il primo viveva al nord, il secondo al sud, il primo bianco, il secondo nero ecc. Le spiegazioni per categorie, nonostante gli apprezzabili sforzi degli specialisti del settore non sono sufficienti a spiegare, spesso non spiegano proprio nulla e noi genitori ci ritroviamo di fronte alla porta chiusa della cameretta di nostro figlio disarmati, senza sapere se è meglio rischiare lo scontro e pretendere di entrare per parlare, nonostante il diniego dei figli, o rispettare la loro privacy per non amplificare la tensione e quindi acuire il problema.

Ricordo che mio padre, ma erano altri tempi, ci concedeva una sola forma di rispetto di questo tipo e ci doveva bastare, bussava una sola volta alla porta e se non c’era risposta semplicemente l’apriva ed entrava chiedendoci con una certa irritazione perché non avevamo risposto. Lo so, tutto questo puzza terribilmente di “reazionario” un insopportabile ritorno indietro, ma, lo ammetto con una certa vergogna, anche io quando mio figlio non risponde da dietro quella innocua porta chiusa che può nascondere però terribili segreti, io apro e gli spiego che bisogna parlare, bisogna parlare sempre anche quando succedono cose brutte, non per forza tragiche, che insinuano nel cuore acerbo dell’adolescente la rabbia, lo sconforto, la disillusione, la paura di ciò che verrà, insomma tutto ciò che può rendere infernali gli anni dell’adolescenza.

Questo articolo nasce, come spesso mi accade, in maniera del tutto casuale o meglio dalla casuale osservazione della realtà che ci circonda, quella più vicina a noi, quella nella quale c’illudiamo di sentirci più sicuri ma che da un momento all’altro potrebbe trasformarsi in un incubo. Insomma, qualche giorno prima, un mio caro amico, non so perché, mi ha confidato che mentre si preparava per uscire, il suo sguardo è caduto sulla porta chiusa della stanza del figlio e subito dopo si è ricordato delle testimonianze lette, non ricordava dove, di tanti genitori che avevano perso i loro figli a causa di un evento suicidario e che raccontavano che nei mesi precedenti la porta della cameretta dei loro figli rimaneva per troppo tempo chiusa e si pentivano di aver avuto “troppo rispetto” per quella presunta richiesta di privacy che nascondeva invece il tormento dei loro figli.

Il mio amico è stato preso dal panico e come un automa si è diretto verso la porta della stanza del figlio e l’ha spalancata senza alcun “rispetto”, il figlio, per fortuna, ha continuato a russare alla grande, però mi ha confidato che per tutto il giorno si è portato dietro un profondo malessere. Quelle esternazioni però hanno avuto effetto anche su di me e mi hanno indotto ad approfondire un po’ il problema ricercando del materiale informativo che mi sarebbe stato utile.

In questa mia piccola ricerca mi sono ritrovato a leggere del fenomeno degli “hikikomori” in Giappone, adolescenti che a un certo punto rifiutano il sistema sociale nel quale vivono e in sostanza si ritirano dalla vita barricandosi dietro la porta chiusa della loro stanza. Questo fenomeno può durare mesi ma può addirittura andare avanti per anni se non per decenni, una vera e propria reclusione volontaria. In questo caso mi ha stupito il fatto che tra gli hikikomori la percentuale dei suicidi è molto bassa, questo probabilmente dipende dalle forme di autocompiacimento e narcisismo che caratterizzano questi ragazzi e gli salvano la vita o meglio gli consentono di continuare a non – vivere.

Negli ultimi anni, in Italia, il fenomeno dei suicidi tra gli adolescenti è leggermente diminuito mentre sono aumentati in maniera esponenziale le pratiche di autolesionismo. Mi sono chiesto se questo non dipenda dal fatto che il suicidio, paradossalmente, venga visto, dai diretti interessati, come una soluzione troppo semplice per far comprendere al mondo adulto lo schifo di realtà esistenziale alla quale hanno dato vita, meglio far soffrire per un po’ l’adulto ormai “lobotomizzato” dal mondo delle merci che ha creato piuttosto che togliere in fretta il disturbo.

Dice Albert Camus ne “Il mito di Sisifo”: “Vi è un solo problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia”. Prima di arrivare però a questa inquietante quanto affascinante riflessione bisogna, secondo me, porre una domanda diversa rispetto a quella che solitamente viene posta di fronte a eventi così tragici ovvero dov’è Dio, perché non fa nulla contro tutto questo orrore? la vera domanda, secondo me, invece dev’essere un’altra, dov’è l’uomo con la sua politica e le sue istituzioni democratiche. Sono le istituzioni che ci siamo date che devono aiutarci a cercare un senso alla nostra vita. In che modo? Rendendo la vita delle nostre società più solidale e umana. Forse operando in questo modo quelle porte chiuse che ci fanno tanta paura si riapriranno e la vita riprenderà a scorrere.

[Immagini tratte da Best Hikikomori and NEET Anime Series]

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