Per sconfiggere il coronavirus c’è bisogno di scelte equilibrate

1 Aprile 2020

Fonte immagine Quotidiano.net

[Marco Ligas]

In queste settimane viviamo tutti una condizione di emergenza. Affrontiamola col massimo equilibrio, questo è il suggerimento che ci viene rivolto non senza preoccupazioni dalle istituzioni del nostro paese; al tempo stesso però non sottovalutiamo gli effetti che questa epidemia può provocare, soprattutto se rimaniamo inoperosi o comunque in attesa che altri facciano e trovino le soluzioni adeguate.

La diffusione del coronavirus sta già delineando i pericoli che la nostra società, così com’è organizzata, produrrà con sistematicità. Se esaminiamo con attenzione le prime conseguenze dell’epidemia non possiamo più sottovalutare o rimuovere la relazione tra l’inquinamento e la diffusione del virus sempre più diffuso in tutto il pianeta.

Non solo usiamo i nostri territori con noncuranza come se tutto ci fosse consentito senza pagarne le conseguenze, ma non siamo neppure in grado di attrezzare il nostro sistema sanitario al fine di prevenirne i rischi più insidiosi.

Questo non è che un esempio dei problemi che già oggi e ancor più in futuro dovremo risolvere se vogliamo consentire a tutti i cittadini i diritti alla salute. Nel far proprio questo diritto basilare dovremo smetterla di chiudere i distretti sanitari perché ritenuti troppo costosi. Forse le nostre spese per la produzione di armi sono più consone alla tutela dei cittadini?

Non voglio soffermarmi attualmente su altri temi anch’essi della massima importanza soprattutto in questa fase (istruzione, ambiente, attività produttive e altro ancora). Mi soffermo esclusivamente, solo accennandolo, su quello riguardante le relazioni tra i paesi dell’Unione Europea.

Su queste relazioni la legge che ci governa è il Trattato dell’Unione Europea. In realtà in questi ultimi anni i trattati sono diventati due, quello di Maastricht (1992) sottoscritto da 12 paesi e quello di Lisbona (2008) i cui paesi sono saliti a 29. Hanno lo stesso valore giuridico. Appaiono redatti per soddisfare le esigenze dei grandi gruppi economici. L’Ocse è diventato un pilastro delle politiche neoliberali.

I Trattati vengono vissuti da tutti paesi con estrema naturalezza nonostante abbiano due difetti strutturali: l’assenza dell’indicazione degli scopi fondamentali dell’Unione e la concentrazione dei poteri in organismi non eletti da nessuno.

Si è parlato di provvedimenti tesi al raggiungimento di politiche comuni. Ma tutto ciò non è avvenuto. La stessa moneta unica è diventata simile al sistema dello standard aureo abolito nel 1971.

I problemi inerenti alla piena occupazione sono del tutto assenti. E non è un caso perché gli economisti neoliberali la considerano una premessa dell’inflazione. Al contrario pongono al primo posto la competitività interna e nazionale.

È poco convincente che il trattato dell’Unione abbia una sola istituzione elettiva che è il Parlamento Europeo e al tempo stesso che esistano 6 Commissioni cooptate in base alla nomina dei singoli Governi.

Lo stesso Parlamento non può assumere iniziative autonome di legge. Col passare del tempo la UE è diventata un elefante burocratico: oltre 30.000 dipendenti di cui circa 25.000 sono nominati direttamente dalla UE.

La signora Christine Lagarde, presidente della Banca centrale Europea e la signora Ursula von der Leyen presidente della commissione europea hanno un rapporto diretto e democratico con i paesi dell’UE e con i cittadini di quei paesi? Sembrerebbe di no perché entrambe si sono espresse contro l’emissione degli Eurobond senza tener conto dell’opinione dei cittadini di alcuni paesi. Al contrario sono state prese in considerazione le posizioni della Germania e dell’Olanda. Ma allora i paesi dell’UE non godono degli stessi diritti. C’è da chiedersi dunque a che cosa serva questa UE che diversifica le sue scelte in modo così scorretto.

Non approfondisco questo tema, mi limito a sottolineare la necessità di un obiettivo fondamentale perché l’UE possa sopravvivere: Progettare una politica che promuova la piena occupazione.

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