Perché ai maschi piace fare le riunioni da soli

8 Giugno 2020

Foto Ansa, Claudio Peri

[Roberto Loddo]

Il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano ha deciso di non partecipare al convegno organizzato da un’associazione di ricerca e progettazione culturale perché tra gli esperti relatori chiamati a confrontarsi erano presenti in locandina solo uomini. Una lunga lista di uomini. “Non è squilibrio, è una rimozione di genere” ha dichiarato il ministro. Ritengo sia una decisione giusta e coerente con l’idea che la democrazia di genere non sia qualcosa che debba essere rivendicato solo dalle donne e solo nei contesti di lotta, come lo sciopero internazionale dell’otto marzo.

Spero che questa piccola ma significativa decisione possa determinare una valanga di no che travolga tutte le riunioni dei maschi che escludono le donne. Maschi che anche a sinistra evidentemente non si sono ancora accorti del grande spazio politico femminista e transfemminista che cresce ogni giorno di più e che ha il merito di aver messo in evidenza nel dibattito pubblico globale come queste esclusioni rappresentino la conseguenza di una lunga serie di decisioni politiche e sociali funzionali ad aumentare le discriminazioni e le disuguaglianze.

Le locandine degli uomini di sinistra che parlano solo agli altri uomini di sinistra sono pure peggio, perché neutralizzano la soggettività politica delle donne e lo fanno utilizzando le parole del cambiamento sociale.

Non voglio passare per quello che vuole scagliare la prima pietra, come ha scritto l’anno scorso Dario Di Vico sul Corriere, perché da militante e organizzatore di iniziative in passato ho contribuito nel mio piccolo anche io a comporre spazi formati da soli uomini. Ma oggi ho difficoltà a creare distinzioni tra uomini di sinistra che compiono questi maldestri tentativi di oscurare il conflitto di genere e il resto degli altri uomini reazionari e di destra che difendono le istituzioni del patriarcato.

Allora basta aggiungere nomi di donne alle conferenze per praticare l’emancipazione? No. Perché il genere non è la sola discriminante che determina il cambiamento dell’esistente. Anche gli uomini che scelgono le donne non sono immuni dal virus di questi metodi patriarcali. Perché anche cooptare le donne in maniera verticale ed esclusiva per far finta di rappresentarle nel riequilibrio di genere non è meno grave del farle fuori del tutto.

Il femminismo ci ha insegnato a considerare le donne come i soggetti politici della loro stessa liberazione, ci ha insegnato a considerare il genere non come una categoria isolata ma interconnessa ad altri conflitti sociali come l’antirazzismo, l’antiliberismo e l’ecologismo.

Ecco allora la soluzione, che non passa dal limitarsi a garantire un riequilibrio dei sessi nelle conferenze, ma dalla necessità, dall’urgenza, di applicare in tutte le dimensioni della società il piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e tutte le forme di violenza di genere lanciato nel 2017 da Non Una Di Meno.

Per questo motivo è tempo che gli uomini che si definiscono femministi passino dalle parole ai fatti.

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