Perché i palestinesi hanno il diritto di ritornare nelle loro case

9 Gennaio 2024

[Carlo A. Melis Costa]

Diverse ipotesi di piani post-guerra si stanno facendo strada nell’esecutivo israeliano. La più criticata è quella del “reinsediamento volontario” dei palestinesi in Africa, avanzata dai due ministri di estrema destra Ben Gvir e Bezael Smotrich e fatta propria dall’esecutivo Netanhyau.

L’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Volker Turk, ieri si è detto «molto turbato dalle dichiarazioni di alti funzionari israeliani su piani di trasferimento dei civili da Gaza a Paesi terzi». Turk ha ricordato che «l’85% della popolazione di Gaza è già sfollata interna a causa della guerra. Hanno il diritto di tornare alle loro case.

Il diritto internazionale proibisce il trasferimento forzato di persone protette o la deportazione da un territorio occupato».  Non meno netta la bocciatura del Dipartimento di Stato americano che ha bollato il piano come «retorica irresponsabile e incendiaria».

L’esecutivo Netanyahu starebbe portando avanti trattative con la Repubblica democratica del Congo – uno dei Paesi più poveri e meno sicuri al mondo – e altri Paesi, tra cui l’Arabia Saudita, per accogliere migliaia di “immigrati” da Gaza.  «Il Congo sarà disponibile ad accogliere migranti e siamo in trattative con altri», ha suggerito a Times of Israel una fonte del gabinetto di sicurezza.  Netanyahu lunedì a una riunione del suo partito, il Likud, ha confermato che sta studiando un piano per facilitare la migrazione volontaria degli abitanti di Gaza verso altri Paesi. «Il nostro problema è trovare Paesi disposti ad assorbire gli abitanti di Gaza e ci stiamo lavorando», ha detto.

L’altra ipotesi di piano post-guerra portata avanti da alti funzionari della Difesa è stata resa nota dal Jerusalem Post: a conclusione della guerra – questo il piano – saranno chiamati a gestire Gaza gruppi familiari che hanno collegamenti con Hamas, ma tradizionalmente legati a città e settori specifici.

L’idea sarebbe quella di affidare loro il controllo sulle consegne di cibo, acqua e altri beni essenziali.  Hamas governa Gaza da 16 anni e i funzionari governativi non hanno spiegato come sarebbero in grado di garantire una separazione netta tra i clan familiari e il gruppo terroristico.

Finora i piani di spostare in altri Paesi di migranti irregolari – e non gli abitanti dalla propria terra, come in questo caso, più simile a una deportazione – non hanno avuto molto successo.  Ci ha provato la Gran Bretagna di Sunak con il Ruanda, piano dichiarato illegale dalla Corte Suprema britannica. E l’Italia del governo Meloni con l’Albania.  Piano anche questo bloccato in prima battuta dalla Corte costituzionale albanese. Per uno strano scherzo della storia il primo “reinsediamento volontario” stabilito per legge ha avuto come protagonisti proprio gli ebrei: si chiamava Oblast autonoma ebraica: fu istituita nel 1934 dall’Unione sovietica di Stalin nella Siberia orientale e ha ospitato fino a 50mila coloni.

Prima della nascita di Israele c’era stato anche un progetto di mandare gli ebrei in Africa, il cosiddetto Schema Uganda. Joseph Chamberlain, l’allora segretario coloniale britannico nel 1903 offrì di dare agli ebrei – che subivano persecuzioni e atti di antisemitismo- terra e una patria in una parte delle colonie britanniche nell’Africa Orientale.

A volte ritornano, questa volta a parti invertite.

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