Perchè la Fiat non investe in Italia?

1 Novembre 2013
La prima automobile
Giuliana Commisso e Giordano Sivini*

“Tagliare gli investimenti su nuovi prodotti è una delle cose che una casa automobilistica non deve mai fare. Risparmiare non fa che protrarne l’agonia, perché il suo futuro si basa solo sui nuovi prodotti che i consumatori possono acquistare”. Partendo da questa affermazione cerchiamo di capire perché Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, ha perseguito una strategia di contenimento degli investimenti entro i limiti dei flussi di cassa, portando l’azienda all’attuale collasso. Tra il 2007 e il 2011 le auto Fiat immesse sul mercato sono passate infatti in Europa da 1 milione 200 mila a 750 mila, con un andamento negativo più pronunciato di quello della Renault e della Peugeot, mentre la Volkswagen ha mantenuto le sue posizioni.

Marchionne sostiene che in un periodo di crisi è inutile investire su nuovi modelli. In realtà, anche prima della crisi la sua strategia è stata di contenere gli investimenti. “Prima dell’ultima crisi finanziaria, la Fiat aveva presentato alcuni modelli che avevano avuto successo in termini di mercato e/o di profitto. Il gradimento degli acquirenti è attribuibile ai significativi miglioramenti nella progettazione che, con un abbassamento dei costi di sviluppo e di produzione, si sono riflessi sulla percezione della qualità. In particolare si è puntato sulla condivisione delle piattaforme, sul lancio di nuovi modelli che condividono la stessa architettura tecnologica; sulla riduzione del time to marketing, sulla standardizzazione dei moduli, sulla revisione dei rapporti con i fornitori per controllare i fornitori: in breve, riduzione dei costi piuttosto che ricerca sviluppo. L’innovazione di prodotto è stata effimera, in gran parte limitata ai segmenti più bassi che tradizionalmente sono la forza della Fiat, per i quali, come in Italia, la rete di vendita era più sviluppata.
Marchionne era stato scelto dalla proprietà come amministratore delegato per evitare che il consolidamento e il rilancio della Fiat fosse realizzato erodendo la ricchezza della famiglia Agnelli. Per risollevarla da una profonda crisi, Umberto Agnelli, durante la breve presidenza, aveva venduto alcune società del gruppo e lanciato un piano di pesante ricapitalizzazione. Il suo amministratore delegato, Giuseppe Morchio, aveva messo a punto un costoso programma per lanciare nuove auto. La famiglia Agnelli si era spaventata per la perdita di importanti fonti di rendita, e, alla morte di Umberto, aveva sostituito Morchio con Marchionne, affidando la presidenza della Fiat dapprima a Luca di Montezemolo poi a John Elkann, due persone che Marchionne superava di gran lunga per esperienza, capacità, competenza organizzativa e gestionale.
Marchionne promise che non avrebbe più rischiato sull’auto neppure un euro5, e questo fu il limite cui si attenne fin dall’inizio dell’attività di amministratore delegato. Per ristrutturare l’azienda e rilanciarla sul mercato utilizzò due miliardi di dollari avuti nel 2005 dalla General Motors che si liberò così per dell’impegno assunto nel 2000 di acquistare la Fiat. Riportò il bilancio in attivo, e sostenne le vendite di Ypsilon, Panda e Idea, immesse sul mercato nel 2003 quando Umberto Agnelli era presidente.
La sola importante iniziativa di Marchionne fu il lancio della 500, alla vigilia della crisi del 2008. Il prototipo risaliva all’epoca di Umberto, ed era stato presentato al Motor Show nel 2004 sotto il nome di Trepiùuno. Marchionne, per ridurre i costi di produzione, ne fece rivedere la meccanica utilizzando la piattaforma della Panda e adottando componenti di altri modelli.
Fin quando il mercato permetteva di realizzare flussi di cassa la Fiat poteva crescere. Con la crisi, le restrizioni imposte dalla famiglia Agnelli impedirono gli investimenti. Per alleviare le conseguenze Marchionne seguì due strade: da un lato l’adozione dell’Ergo Uas per accelerare gli effetti della World Class Manufacturing come sistema di riduzione dei costi, dall’altro il ricorso a risorse esterne per espandere l’attività senza assumere impegni finanziari gravosi.

La strategia industriale
L’intervento di Marchionne ebbe un profondo generale impatto sull’organizzazione e il funzionamento dell’azienda. Vennero realizzati cambiamenti radicali nella progettazione e nella produzione.
Nella progettazione 1. furono standardizzati i moduli, comuni a molti modelli, che riguardano l’architettura, il motore, la trasmissione e la componentistica, intervenendo invece sulle parti visibili dell’auto; 2. vennero modificate le relazioni con i fornitori, coinvolgendoli nella realizzazione di modelli ‘derivati’, mentre quelli originari venivano realizzati all’interno per accumulare competenze. 3. fu accelerato il processo di sviluppo prodotto, facendo lavorare in contemporanea gruppi che un tempo sviluppavano in sequenza funzioni di concezione, ingegnerizzazione, produzione, marketing.
Nella produzione vennero introdotti 1. nel 2005 il sistema di World Class Manufacturing (WCM), per tagliare i costi prescindendo dai volumi di vendita; 2. nel 2008 il sistema Ergo Uas, per analizzare i movimenti degli operai e ridisegnare la struttura ergonomica delle postazioni lavorative al fine di intensificare le prestazioni; 3. nel 2010 un contratto di lavoro imposto con il ricatto, per assoggettare i lavoratori e subordinare le organizzazioni sindacali agli interessi esclusivi dell’impresa.
Il sistema WCM consente di stabilire una stretta correlazione tra attività produttive e costi. Il valore realizzato nella produzione si accresce se vengono eliminate quelle attività che producono sprechi e perdite. Si tratta di un valore aggiunto interno (VAI) che dipende dai risparmi realizzati, e va distinto dal valore aggiunto come differenza tra il valore finale di mercato e i costi di produzione. IL VAI consente al management di trasferire i miglioramenti, complessivamente sempre in progress, ottenuti in un’area o in uno stabilimento a tutti gli altri e di compararne le performances6.
L’acronimo WCM è diventato per il sistema produttivo Fiat una parola magica: è usato come simbolo della sua rinascita organizzativa e strategica, e come strumento per oggettivare l’aumento della produttività dei lavoratori.
La distinzione corrente tra costi fissi (macchinari) e costi variabili (forza lavoro) è estranea al WCM, caratterizzato dalla dicotomia tra costi che danno VAI e costi che non lo danno. Il lavoro è preso in considerazione rispetto alla sua produzione di VAI. A massimizzarla provvede una componente specifica del WCM, l’Ergo UAS, metodologia di analisi ergonomica concepita per intervenire sugli elementi organizzativi e logistici del layout di fabbrica da cui dipende l’efficienza dei lavoratori, riducendo il tempo-ciclo delle prestazioni con l’eliminazione delle attività che non producono VAI, quali camminare, aspettare, cercare, contare, sostituire, misurare, scegliere, slegare. Con la metodologia Ergo Uas si realizza l’aumento delle operazioni ripetitive.
WCM e Ergo Uas oggettivano l’adattamento flessibile dei lavoratori alla massimizzazione del VAI e alla minimizzazione dei costi di produzione. Loro corollario è il sistema contrattuale che attribuisce all’azienda il controllo esclusivo sul comportamento dei lavoratori dentro e fuori la fabbrica, in termini di ritmi, pause, straordinari.

L’espansione con bassi investimenti
Marchionne ha accelerato, con la crisi, la ricerca di opportunità per espandere le attività senza impegnarsi con sostanziali investimenti. Non ha offerto capitali ma tecnologia, e ha fatto ampio ricorso a finanziamenti pubblici.
I principali risultati sono: 1. L’acquisizione, nel 2009, dal governo degli Stati Uniti, della maggioranza delle azioni di Chrysler in cambio di tecnologia, e un temporaneo aiuto finanziario per riavviare la produzione. 2. L’acquisizione, lo stesso anno, dal governo italiano dello stabilimento Bertone, in stato di insolvenza, dietro l’impegno di creare 1200 posti di lavoro. 3. La realizzazione di un insediamento in Serbia, in risposta all’offerta del governo serbo di sostenere compagnie straniere capaci di trasferire alte tecnologie. 4. La costruzione di uno stabilimento in Cina con un investimento di 400 milioni di euro, in una joint venture al 50 per cento con una impresa di stato cinese, sostenuta da incentivi pubblici. 5. La costruzione di un nuovo insediamento in Brasile, che si aggiunge al vecchio di Betim, con investimenti per l’85 per cento coperti dai governi locale e federale e benefici fiscali.

La strategia finanziaria
La strategia industriale di Marchionne, di ridurre i costi di produzione e di cercare nuove aree di espansione con bassi investimenti è la risposta all’esigenza della famiglia Agnelli di non esporsi a rischi finanziari, come era successo sotto la presidenza di Umberto. D’altra parte la famiglia non può prescindere da fonti che alimentino la sua rendita, ed è questo che Marchionne ha saputo garantire quando la Fiat è entrata in crisi. Ha separato le attività di Fiat Holding in due gruppi, Fiat Group Automobiles e Fiat Industrial. Dal punto di vista della rendita proprietaria Fiat Industrial è la good company che produce dividendi, mentre Fiat Auto, pur comprendendo Fiat Brazil e Ferrari che danno buoni profitti, è complessivamente la bad company che, in attesa di combinarsi con Chrysler, non dà dividendi.
Fiat Auto e Fiat Industrial hanno una diversa esposizione ai cicli economici, differenti orientamenti di investimento, differenti profili di redditività, e investitori potenzialmente diversi. Prima della separazione nell’unico bilancio consolidato i risultati positivi conseguiti da alcune società di un settore potevano compensare quelli negativi di un altro settore, e le strette relazioni tra i settori potevano giovare alla politica industriale complessiva7. Non è più così.
Gli azionisti hanno avuto una azione Auto e una Industrial per ogni azione di Fiat Holding posseduta. I valori nominali delle azioni sono stati 3,5 euro per Fiat Auto e 1,5 per Fiat Industrial, ma l’andamento del mercato si è rapidamente allontanato da questa valutazione, attribuendone una più alta a Fiat Industrial, e la somma di entrambe ha un valore molto più alto di quello originario. L’operazione finanziaria ha creato considerevole ricchezza, assicurando alla famiglia Agnelli, sia nell’immediato sia in prospettiva, un monte dividendi cui non avrebbe potuto aspirare senza la separazione.
Appena assunta la presidenza di Fiat Industrial Marchionne ha annunciato che il gruppo avrebbe distribuito ogni anno dividendi pari al 25-35% dell’utile netto consolidato con un minimo di 150 milioni di euro. Nel 2010, ultimo anno prima della separazione, Fiat Holding aveva erogato dividendi per 151 milioni di euro. Nel 2011 Fiat Auto ne ha erogati solo 40 milioni per le azioni privilegiate e di risparmio e nel 2012 non ha distribuito dividendi. Fiat Industrial invece ne ha distribuito 240 milioni nel 2011 e 275 milioni l’anno successivo.
Dal settembre 2013 Fiat Industrial non esiste più. Scorporata Case New Holland, la società più importante che controllava all’88 per cento, si è fusa con essa dando vita a CNH Industrial, con sede in Olanda. Le imposte sono più basse, e, soprattutto, Exor ha il controllo della nuova società, dal momento che il diritto societario olandese (a differenza di quello italiano) consente l’esistenza di azioni con voto multiplo, che sono state attribuite ai possessori delle vecchie azioni Fiat Industrial e CNH.

La struttura proprietaria
Al vertice della struttura proprietaria del sistema imprenditoriale Agnelli c’è una società semplice, Dicembre, costituita da Gianni Agnelli nel 1984 ma registrata solo nel 2012 a seguito di una ingiunzione del tribunale di Torino. È amministrata da John Elkann, nipote di Gianni. Controlla un’altra società, l’Accomandita per azioni Giovanni Agnelli e Co., costituita anch’essa nel 1984 da Gianni Agnelli, che vi rinchiuse quasi tutte le azioni del sistema Fiat possedute dai membri della famiglia, con l’obiettivo di assicurare, attraverso l’Accomandita, un flusso di rendite per gli eredi della dinastia, e, attraverso Dicembre, di controllarlo.
L’Accomandita è amministrata da un comitato nominato dagli azionisti in rapporto al peso delle azioni di ciascuno. Complessivamente le azioni sono poco più di tre milioni, di cui oltre un terzo detenute da Dicembre, che ha quindi il controllo dell’Accomandita; il resto è diviso tra una settantina di persone che appartengono a dieci gruppi di discendenti di Giovanni Agnelli, fondatore della dinastia dell’auto. Le azioni non possono essere vendute ma solo trasferite, con il consenso del comitato che amministra l’Accomandita, solo tra consanguinei e ascendenti e discendenti già in possesso di azioni.
John Elkann presiede anche l’Accomandita, e, raggiunto di recente, con Dicembre, il 36,74 per cento delle azioni, può impedire che gli altri azionisti, anche coalizzati, possano raggiungere la maggioranza qualificata di due terzi richiesta dallo statuto per operare modifiche cruciali, come la riduzione sotto il 51% del controllo che l’Accomandita esercita su Exor.
Exor è la società quotata in borsa, in cui nel 2009 sono confluite Ifi e Ifil, le due storiche finanziarie della famiglia Agnelli. Controlla il 30 per cento delle azioni di Fiat Auto, quasi il 70 per cento di Chusman & Wakefield, una immobiliare con sede a New York; ha partecipazioni minori in Banca Leonardo (17%), immobiliare Almacantar (36%), gruppo cartario Sequana (19%), Banijay, produttrice multimediale (17%), gruppo Economist (5%) che pubblica il settimanale Economist, Juventus Football Club (64%). Il peso esercitato su CNH Industrial non è ancora accertato. Pochi mesi fa ha venduto la svizzera Société Générale de Surveillance (SGS), da cui proviene Marchionne; in precedenza aveva venduto anche Alpitour, agenzia turistica, e Vision Investment Management, gestore di hedge funds.
I profitti di tutte queste società sono raccolti da Exor in rapporto alle quote azionarie che possiede. Eccettuata la parte che resta a Exor, alimentano i dividendi della finanziaria, per il 59,10% destinati all’Accomandita, la quale per statuto “ha lo scopo di assicurare la compattezza e la continuità nella gestione della partecipazione di controllo della Exor”. L’Accomandita in gran parte li brucia distribuendoli ai soci. Ogni anno, anche in quelli di crisi, ricevono da 6 a 8 euro per ogni azione posseduta, che ha un valore nominate di 50 euro, e frutta dunque un interesse annuo tra il 12 e il 16 per cento.
In conclusione, Marchionne non compete sul mercato europeo e non investe in Italia per non mettere a repentaglio la ricchezza della famiglia Agnelli; anzi, grazie alle sue operazioni finanziarie, drena rendite dal sistema imprenditoriale. L’identificazione degli Agnelli con l’auto ha radici storiche ma non più consistenza. Fiat Auto è destinata a scomparire, come già è avvenuto con Fiat Industrial, non appena si combinerà con Chrysler.

*Centro Ricerche sulla Governance dei Processi Economici, Università della Calabria

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