Più che mai NO

1 Novembre 2016
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Marco Ligas

Cresce nell’isola, e comprensibilmente, il disappunto di chi si chiede se la Sardegna, nel corso di questi decenni, sia stata davvero una Regione a statuto speciale così come previsto dall’articolo 116 della Costituzione, o se questa presunta specificità sia stata usata come maschera per legittimare le politiche colonialiste che ha subito.

Quel che è certo è che molti elettori sono estremamente critici nel giudicare i rapporti tra Stato e Regione e ritengono che alla Sardegna non siano stati riconosciuti neppure i diritti previsti per le Regioni a statuto ordinario.

Non si tratta di dubbi o di convincimenti immotivati. Purtroppo il malessere e la rabbia presenti in ampi settori della società sarda sono largamente motivati e dipendono innanzitutto dalle scelte di chi ha governato il Paese.

A nessuno sfugge come siano state condotte, da parte dello Stato, delle politiche tese a perpetuare una supremazia nei confronti della nostra isola, nonostante la sua specialità. E la motivazione usata (o abusata) è stata sempre la stessa: gli interessi dello Stato devono rimanere prevalenti rispetto a quelli delle piccole comunità o delle regioni periferiche.

Nella proposta relativa alla riforma costituzionale sulla quale dovremo pronunciarci in occasione del prossimo referendum troviamo ancora questo ritornello, forse per farci capire una volta per tutte che non è più il caso di parlare di autonomie speciali o di federalismo: la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica rimane prevalente rispetto all’autonomia delle regioni, questo sarà il senso della vittoria del SI.

Naturalmente non è casuale se i vari governi centrali, col passare del tempo, hanno potuto consolidare il modello competitivo nei rapporti con le Regioni.

Per quanto ci riguarda ciò è dovuto in buona parte alla subalternità di chi ha amministrato la nostra Regione. Che i governatori appartenessero al centro destra o al centro sinistra non ha avuto alcuna importanza: la soggezione che tutti hanno mostrato nei confronti del potere centrale è stata costante.

Come più volte abbiamo sottolineato questi governatori si sono guardati bene dal rappresentare e rivendicare i diritti e i bisogni dei cittadini sardi, hanno sempre preferito mostrarsi ubbidienti funzionari dei vari ministeri dello Stato.

Hanno fatto proprie le impostazioni delle leggi elettorali nazionali e così un surrogato del porcellum o dell’italicum lo abbiamo già anche in Sardegna: gli schieramenti più votati, indipendentemente dalle percentuali raggiunte, sono stati premiati con larghe maggioranze, le minoranze escluse dal Consiglio regionale e il rispetto della parità di genere rinviato a data da destinare.

Proprio in questi giorni abbiamo registrato un’altra scelta generosa del nostro governatore nei confronti del Governo Renzi: ha detto che voterà SI il 4 dicembre; non è stato molto preciso nell’indicarne le ragioni ma non abbiamo dubbi sul fatto che abbia voluto sottolineare la necessità del superamento dell’autonomia speciale per la Regione Sardegna. Del resto lui non sembra convinto del modello solidale, meglio accantonarlo e lasciare larga autonomia al governo. Che prendano loro, a Roma, le decisioni che riguardano la Sardegna e le altre Regioni litigiose, sempre pronte alla polemica con chi controlla i poteri dello Stato. In fin dei conti se la Sardegna perdesse la “specialità” sarebbe più facile contenere le rivendicazioni di chi nell’isola non vuole le basi militari, le scorie, le fabbriche che producono armi, gli inceneritori e tante altre nefandezze.

Non sappiamo se il governatore Pigliaru vorrà assecondare anche le richieste della JP Morgan, il più grande istituto finanziario mondiale, che desidera sconfiggere quei governi deboli (il nostro è fra quelli) che si ostinano a difendere ancora i diritti dei lavoratori.

Certo è che noi, che non vogliamo assecondare la JP Morgan ma neppure il governatore Pigliaru, il 4 dicembre voteremo più che mai NO

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