Proposta per il dopovoto

16 Giugno 2011

Riccardo Petrella*

S’è risvegliato, ha gridato, ha lottato con grande passione e impegno, il popolo dei beni comuni. Ci sono voluti tanti anni, ma ce l’ha fatta. La grande occasione che ha permesso agli italiani di risentirsi cittadini degni di tale titolo è stata data dall’acqua, dalla rivolta contro la sua mercificazione. L’acqua è diventata parte integrante dell’agenda politica italiana da una decina d’anni. In realtà, la sfida per l’acqua sinonimo di vita e non merce, l’acqua come bene comune pubblico su cui fondare la garanzia del diritto umano alla vita per tutti, covava nelle nostre società da una trentina d’anni, da quando è cominciato lo smantellamento dello Stato sociale, del benessere, dei diritti.
L’acqua non è stata la sola occasione. Il rigetto dell’arroganza della potenza che pretende non solo di essere cieca ma di avere la legittimità di restarlo anche di fronte all’evidenza della violenza intrinseca fatta dal nucleare alla vita, ha giocato in favore dell’affermazione che la vita è un bene comune inalienabile, da proteggere e da promuovere. Last but not least, il disprezzo dell’uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge e lo sfrontato sostegno dato alla prepotenza dei privilegi del potente hanno fatto sì che i cittadini italiani abbiano affermato con convinzione e forza che l’uguaglianza nei diritti è il bene comune pubblico fondamentale.
Il potente che si vuole al di sopra delle leggi è indegno di rappresentare i cittadini, deve essere bandito, dichiarato un «fuori legge» e come tale giudicato. Gli italiani possono rivendicare, di nuovo, di essere un popolo degno, un popolo di cittadini.
Gli anni che ci troviamo davanti devono confermare questa rivoluzione. Dovranno essere momenti, anche se difficili, di profonde innovazioni. La prima, la più immediata, è di natura psicologica collettiva. Sentire gioia, sentirsi rincuorati, è assolutamente indispensabile. Quel che si è concretizzato nelle ultime settimane merita entusiasmo. Abbiamo sognato e ora possiamo pensare che possediamo non solo l’opportunità ma anche la volontà di realizzare i nostri sogni.
Diventare costruttori d’utopia nel senso di lavorare per costruire «un luogo buono» (eu-topos, un mondo buono, perché, per esempio, l’acqua è trattata come bene comune pubblico e tutti devono avere accesso all’acqua come diritto) è la seconda innovazione, che ci sposta sul piano della politica (della polis), dell’agire politico. Bisogna sperare che certi gruppi dirigenti non cantino vittoria.
Ciò non solo sarebbe ingiusto dal punto di vista della verità storica. Si tratterebbe di un esproprio puramente predatorio. Ma condurrebbe anche a far pensare a milioni di coloro che hanno appoggiato i referendum e sono diventati parte del «popolo dei beni comuni» che i problemi sono risolti e che si tratta solo di cambiare i dirigenti del centrodestra con quelli del centrosinistra. Sarebbe un grave errore, un ennesimo travisamento (se non tradimento) della volontà dei cittadini ad opera dei dominanti. Non possiamo limitarci a congegnare delle nuove alleanze fra gli stessi. Diventare costruttori di un mondo buono in Italia comporta una modifica radicale dell’ingegneria istituzionale sui beni comuni e del modo di fare politica da parte dei cittadini. Certo, si deve sapere quali forze sociali, politiche, sono disponibili, in che misura e a quali condizioni sono pronte ad associarsi al fine di permettere di realizzare gli obiettivi sognati. Ma ricittadinare la città, reinventare la res publica, non può consistere in un rimescolio degli ingredienti della stessa maionese.
A tal fine, terza innovazione, per far ripartire la costruzione di una società dei cittadini occorrerà trovare le modalità per consentire loro di partecipare direttamente alla costruzione della società italiana dei prossimi anni. Questo è possibile, non si tratta di una fantasia. Gli Stati generali del governo dei beni comuni dovrebbero essere il primo e rapido atto costituente del «popolo dei beni comuni». Concretamente questo significa che la presidenza della Repubblica, preso atto della volontà di cambiamento espressa dai cittadini italiani nel senso di un’applicazione più rigorosa e ricca dei dettami della Costituzione italiana, e valorizzando anche lo spirito innovatore soggiacente alle celebrazioni del 150° anniversario dalla fondazione dello Stato italiano, potrebbe convocare entro la fine dell’anno gli Stati generali, con il compito di definire e adottare la Carta costituente dei beni comuni. Se la presidenza della Repubblica non fosse disposta a farlo, il «popolo dei beni comuni» dovrebbe procedere di propria iniziativa, come ha dimostrato di saper fare in questi ultimi anni. Le idee, le analisi, le proposte, le soluzioni, le esperienze concrete non mancano, che si tratti della giustizia sociale, della solidarietà, dell’energia, dell’acqua, del lavoro, dell’educazione, delle città, del rispetto degli altri. Si tratterà di non lasciarle segmentate, frazionate, escludenti. In una società realmente democratica, partecipata, i lavori degli Stati generali dei beni comuni sarebbero presentati e discussi in una sessione speciale con il parlamento italiano e seguiti, obbligatoriamente, dalla composizione di un nuovo governo. A momenti di grande fermento innovatore nella società occorre rispondere con grandi momenti di innovazione culturale politica e istituzionale.

* il manifesto, 15 giugno 2011, prima pagina

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