Un Robin Hood inattendibile

1 Maggio 2014
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Marco Ligas

No, non è un nuovo Robin Hood. Troppo spesso Matteo Renzi si presenta al paese come colui che toglierà ai ricchi per dare ai poveri. Ripete queste parole con la monotonia di un ritornello ma col passare dei giorni dà segni di insicurezza e di inaffidabilità. Si mostra persino risentito se qualcuno mette in dubbio l’esito delle sue proposte tant’è che lo invita a non gufare.
Nella storia della nostra Repubblica ci mancava proprio un Presidente del Consiglio che si affidasse agli scongiuri o al calcolo delle probabilità per vedere realizzati i suoi programmi di governo. Chissà se anche lui, quando prospetta agli italiani un futuro migliore, usa gli stessi accorgimenti scaramantici che usava a suo tempo il Presidente Giovanni Leone.
Il guaio è che i progetti che vorrebbe realizzare sono illusori, alcuni sono dei veri e propri inganni, a cominciare dagli 80 euro promessi ai lavoratori che hanno un reddito compreso tra gli 8000 e i 24-26000 euro annui. Se si esaminano le coperture necessarie si capisce subito che il governo darà con una mano e porterà via, ahimè in quantità più rilevante, con l’altra mano. La così detta quattordicesima si trasformerà in un raggiro se contemporaneamente verranno ridimensionate le politiche sociali.
E poi perché escludere da questi ipotetici miglioramenti i pensionati o altre categorie di cittadini, compresi i disoccupati e i più poveri? E smettiamola di usare termini sofisticati e ipocriti, come la parola incapienti, come se questi sinonimi fossero sufficienti a mitigare le conseguenze della povertà.
Se i miglioramenti salariali di cui si parla sono davvero funzionali alla crescita dei consumi è incongruente limitarli ai soli percettori di un reddito da lavoro, per quanto modesto sia. Estendiamoli, così aumenteranno sia i consumi che le attività produttive. E si facciano una volta per tutte le scelte necessarie per affrontare e risolvere le coperture.
Nel nostro paese si potrebbero seguire almeno due percorsi per garantire le coperture finanziarie: la riduzione delle spese militari e le tasse sui patrimoni. Ma questi due argomenti rappresentano un tabù per chiunque assume incarichi di governo. Guai ad affrontarli.
Anche Renzi, nonostante le chiacchiere quotidiane, non riesce (meglio dire non vuole) praticare questi percorsi. Subisce con disinvoltura le imposizioni dei poteri forti della finanza e dei mercati, altro che Robin Hood. E usa come alibi i suggerimenti/imprimatur del Presidente della Repubblica. Eppure, in questa circostanza, almeno per quanta riguarda le spese militari, potrebbe ascoltare con maggiore sensibilità le indicazioni della Presidente della Camera che si è espressa in modo chiaro e senza tentennamenti per la riduzione di queste spese.
È comunque sorprendente, segno di un nuovo servilismo, che nel corso di questi mesi, da quando il governo Renzi ha ricevuto la fiducia del Parlamento, quasi tutti gli organi di informazione, tv e giornali, facciano il tifo per questo esecutivo e lo considerino idoneo per la fuoriuscita dell’Italia dalla crisi. Sembrano tutti omologati al disegno di chi controlla le attività finanziarie.
Se per esempio si parla di riforme istituzionali, ci rendiamo subito conto come siano pochissimi quelli che denunciano il peggioramento che subirà tutto l’assetto democratico del paese.
I cambiamenti non riguarderanno solo il Parlamento, verranno coinvolte anche le Regioni e i Comuni attraverso i tagli ai bilanci e i patti di stabilità; queste istituzioni periferiche non potranno più fornire i servizi pubblici ai cittadini rischiando così di perdere quel minimo di rappresentanza democratica. E ai prefetti, di conseguenza, verranno assegnate funzioni aggiuntive: insomma di nuovo il centralismo al posto della democrazia.
Sarà dunque più difficile per le Regioni difendere e rafforzare la propria autonomia.
È per queste ragioni che i rappresentanti istituzionali della Sardegna dovrebbero smetterla di balbettare quando incontrano i ministri della Repubblica. Non basta rivendicare i crediti cumulati nel corso di questi anni e poi accettare supinamente gli impegni verbali che i ministri assumono ma non rispettano. Servono atteggiamenti più decisi e, soprattutto, proposte più radicali sul terreno dell’autonomia e della sovranità.
Può una Giunta regionale eletta con una legge molto discussa e perciò non molto rappresentativa impegnarsi su questi obbiettivi?
È difficile, soprattutto se non recupererà il consenso del popolo sardo.

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