Sanità pubblica addio

20 Aprile 2023

[Mario Fiumene]

Sul tema dell’evoluzione che la sanità deve inevitabilmente vivere se si vuole preservare il diritto alla salute, si continua a dibattere in ordine sparso.

Anche questa volta i nuovi inquilini di Palazzo Chigi stanno rivoltando come un calzino le scelte di chi li ha preceduti. Una scelta lecita ma forse non bisogna buttare il bambino con l’acqua sporca. Mi riferisco soprattutto al DM 77 con il riordino delle cure territoriali. Negli anni sono stati avviati studi, dibattiti riguardo le migliori e più idonee scelte per migliorare le cure di prossimità. Agli inizi del nuovo millennio abbiamo provato ad applicare il Cronic care model perché si riteneva fosse il più adatto per la cronicità. In particolare per il modo di lavorare dei professionisti e per l’approccio alla persona malata nel suo contesto sociale.  

A causa del taglio del finanziamento alla sanità con la finanziaria del 2015, il precedente blocco del turnover del 2011, la riduzione drastica delle ASL e delle zone di Distretto hanno tolto la forza al progetto del CCM. In questa situazione, pur diversa da Regione a Regione siamo arrivati a fronteggiare a mani nude la Pandemia da Sars Cov 2. Ora il dibattito sul DM77, in particolare su Case di Comunità e OsCo (Ospedale di Comunità), aggroviglia le budella di molti degli addetti sanitari e ancor di più crea una Babele tra chi siede in Parlamento. Entro marzo si sarebbe dovuto concludere con la progettazione delle Case di Comunità e la stipula dei contratti per la loro realizzazione. Entro giugno analoga situazione dovrebbe riguardare gli OsCo perché il PNRR prevede la conclusione e l’avvio di queste strutture entro il 2026.

Non si è pensato a sufficienza di analizzare la situazione di ogni singola Regione italiana: dobbiamo renderci conto che ogni territorio ha una sua unicità, una sua specificità: numeri di abitanti, indice di vecchiaia, situazione epidemiologica. In anni precedenti sono stati chiusi tanti piccoli ospedali in tante zone del Paese, alcuni trasformati in Casa della Salute (ovvero Case di comunità vere e proprie). Questa scelta ha creato disagi alle popolazioni delle zone montane dalle Alpi ai monti di Irpinia e Calabria. Ma i problemi sono emersi nelle Regioni più periferiche del Sud e Isole grandi e piccole. I disagi nascono dalla chiusura dei Presidi e sono acuiti dalla assenza di viabilità. Il sistema di trasporto pubblico è spesso carente e poco fruibile dagli over 65.

Non è stata pensata o forse non si voluta programmare la naturale sostituzione dei Medici di Medicina Generale, si è arrivati solo nel 2021 a legiferare sulla figura dell’Infermiere di Famiglia/Comunità peraltro già realtà in Paesi europei meno ricchi di noi. Non sono contrario a Case di Comunità e OsCO, ma la chiusura dei Piccoli Ospedali è un controsenso. La cura e l’assistenza devono essere garantite a casa, soprattutto per gli anziani e i vecchi tutti con almeno due patologie croniche. La telemedicina non riesce a decollare in tante zone per via della rete internet con le bande attualmente disponibili ma poco diffuse.

Perché non pensare seriamente di incentivare la formazione post laurea degli Infermieri, Master per infermieristica di famiglia, la presenza di questi professionisti che entrano nelle case può essere un volano per la presa in carico della cronicità, l’ottimizzazione della telemedicina, penso allo scompenso cardiaco, penso alla educazione per la corretta assunzione dei farmaci, per non parlare delle cure igieniche, delle lesioni da pressione, del rapporto con tutto il nucleo familiare o solo con i caregiver.

Altre figure di sanitari potrebbero completare il gruppo assistenziale: fisioterapisti in particolare. Un discorso a parte lo merita la Professione di Assistente Sociale, devono essere affrancate da svolgere solo incarichi per redigere bilanci e altre funzioni amministrative e vanno restituite alle funzioni specifiche di presidiare e presiedere il piano assistenziale della persona e della famiglia. Abbiamo sperimentato durante la Pandemia la validità del gruppo USCA eppure pare tutto dimenticato.

Eppure è noto che il numero dei Medici di medicina generale è inadeguato in tutte le Regioni: forse è arrivato il momento di riformare la formazione post laurea e portarla, al pari delle altre, in ambito universitario con adeguate borse di studio (borse che dovrebbero essere date anche agli altri professionisti della salute, Infermieri, etc., anche perché tutti studenti delle Facoltà di Medicina e Chirurgia che pagano le tasse. La Babele è frutto di un volersi arroccare nel singolo castello della propria Professione: si guarda il proprio dito e non si vede la grande luna del’ articolo 32 della Costituzione, non si applica la legge 833/78 di prima stesura (le successive modifiche hanno portato scarso giovamento, così come la modifica del titolo V della Costituzione).

Siamo ancora in tempo per spostare il dito e ammirare la bella luna: avremo da guadagnarci tutti sia gli addetti, sia i politici perché tutti siamo cittadini e non possiamo buttare via un sistema sanitario pubblico universalistico. Per evitare il tracollo bisogna che le varie Professioni di aiuto mettano da parte gli individualismi, i personalismi, abbandonare politiche sindacali che osteggiano le varie figure di sanitari. Bisogna riformare il reclutamento del personale: creare le condizioni per il mantenimento in servizio degli operatori sanitari e assistenziali; migliorare i meccanismi di offerta di personale sanitario; ottimizzare le prestazioni del personale sanitario e assistenziale; aumentare gli investimenti pubblici nell’istruzione, nello sviluppo e nella protezione della forza lavoro. Potenziando tutti gli organici di Ospedali e Distretti Socio Sanitari; migliorando la diagnostica nei piccoli Ospedali; valutare la apertura di Ospedali e Case di Comunità nei territori dove è alto l’indice di vecchiaia.

Per le politiche del personale La carta di Bucarest mette in evidenza alcune problematiche, occorre investire sui professionisti, creando ambienti di lavoro e condizioni di lavoro dignitosi, sicuri e dotati di personale adeguato. E contemporaneamente, far sentire protetti i medici, infermieri, biologi, psicologi e ogni operatore della salute, tutelandoli da controversie temerarie di stile americano, fermo restando il diritto del cittadino al giusto risarcimento.  La politica deve ripensare il fondo di spesa del socio sanitario, l’Autonomia Regionale non può essere divisiva ma inclusiva, ogni Regione deve poter adattare i piani in base alle reali condizioni del territorio e della popolazione, secondo lo stato epidemiologico.

Il tutto senza creare disparità esagerate nella distribuzione delle risorse. Perché la solidarietà è imprescindibile e pertanto la cabina di regia della sanità non può che essere nazionale, traiamo il meglio dall’esperienza della pandemia che tanto ci ha insegnato.

Nell’immagine il murale di Petralia Sottana (Palermo) denominato “tagli” realizzato da Simone Ferrarini del Collettivo Fx per denunciare il diritto alla salute negato nelle alte Madonie.

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