Savoia: stragi e colonizzazioni

1 Agosto 2017

Ottavio Olita

Chi crede che la Sardegna sia stata l’unica vittima sacrificale della dinastia dei Savoia dovrebbe leggere un saggio storico che ricostruisce l’efferatezza delle azioni scellerate commesse da quei regnanti e dai loro ministri contro la Calabria; più precisamente contro una zona di quella regione: ‘La Calabria del Nord Est’.

Il saggio, scritto da Francesco Filareto, docente di storia e filosofia negli istituti superiori e per cinque anni – dal 2006 al 2011 – sindaco di Rossano (Cosenza), si intitola “Fuga e ritorno di un popolo” (Ferrari Editore) e analizza la successione degli eventi di un lungo periodo storico – 1799/2012 – in 57 comuni compresi tra le falde del Monte Pollino e la zona di Crotone. Dall’analisi – accurata, ricca di cifre e di nomi – emerge quanto fosse corretta la riflessione di Antonio Gramsci, citata da Filareto: “Il Risorgimento è una rivoluzione agraria mancata. E su questo mancamento nasce l’alleanza tra i moderati del Nord e i reazionari del Sud, tra gli industriali del Nord e gli agrari del Sud, un blocco sociale di forze che ha il suo cemento nell’industrializzazione e nello sviluppo dell’Italia settentrionale e nella perpetuazione dell’immobilismo semi-feudale del Mezzogiorno e la sua condanna al sotto-sviluppo”.

In 400 pagine ricche di documentazione e testimonianze Filareto individua le ragioni della nascita di quel diffuso ribellismo a cui venne dato il nome di brigantaggio perché non se ne vollero capire e affrontare le ragioni: soprattutto la rivolta contro la politica relativa alla gestione delle campagne. Fatta la prova generale in Sardegna con la Legge delle Chiudende del 1820 i Savoia applicarono anche al resto del Meridione quelle scelte. E chi non finì brigante – termine che Filareto riconduce etimologicamente al suo vero significato – fu costretto all’emigrazione. Ai massacri, conseguenze di tante stragi in nome della lotta ai ‘banditi’, si aggiunse il dissanguamento delle forze più giovani e vitali. Decine e decine di migliaia di persone costrette ad abbandonare affetti e radici.

I Savoia diedero il via, le istituzioni che si sono succedute nel ventesimo secolo non hanno fatto di meglio. E’ stato sempre riproposto lo schema teorico individuato da Gramsci. E quando nel 1919 ci fu l’unico tentativo, con la legge Vilsocchi, di costruire una politica agraria più equa, ci pensò il Fascismo, con uno dei primi provvedimenti ad abrogarla per riaffermare le condizioni di sempre.

Infine la Repubblica Democratica con quella Carta Costituzionale preziosa e drammaticamente inapplicata, tanto che alle speranze tradite si è sostituito un sistema di clientele e corruzione che Filareto così definisce: “…sul piano politico e istituzionale, il Sud, la Calabria, e questo comprensorio (quello della Calabria del Nord-Est, nda), nel progetto del ‘moderno’ capitalismo, debbono garantire il consenso ai partiti, alle coalizioni di partiti e soprattutto alle oligarchie dei partiti e alle lobby politiche, affaristiche e mafiose, che ridistribuiscono le ingenti ricchezze provenienti dallo Stato e dall’Unione europea non a beneficio delle popolazioni e della regione, ma a quella folta fauna di ingordi e anonimi clienti, senza coscienza, senza umanità, pronti al voto di scambio e all’immorale disgustoso trasformismo camaleontico”.

Questa logica di gestione della cosa pubblica sta portando con sé anche un altro fenomeno che noi sardi conosciamo molto bene: l’abbandono delle zone interne per cercare lavoro e futuro sulle zone costiere. Il saggio di Filareto – agile, avvincente, senza compiacimenti stilistici o teorici, grande miniera di dati –  è una formidabile dimostrazione di quanto il Potere Centrale dello Stato, sotto qualsiasi veste, abbia trattato il Meridione come una colonia dell’impero. I Savoia hanno sperimentato in Sardegna, poi hanno esportato e hanno trovato tanti imitatori. Come fare per reagire, per ottenere un’inversione di rotta?

Francesco Filareto propone una conclusione dettata dalla sua formazione filosofica, ma che non si può non condividere: ricostruiamo un io collettivo partendo dallo studio, dalla conoscenza, dalla cultura. Solo così saremo attrezzati per comprendere e far comprendere, per scegliere e consigliare scelte, per poter finalmente diventare costruttori del proprio futuro.

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