Settant’anni dalla morte di Gramsci. Un’occasione di riflessione e impegno

30 Aprile 2007

Francesco Cocco

Antonio GramsciRicordare Antonio Gramsci nel settantesimo anniversario della scomparsa è per il “Manifesto Sardo” occasione per riaffermare i valori della libera ricerca, dell’antidogmatismo, del confronto aperto e mai pregiudiziale. Perché Gramsci di questa ricerca e dei valori dell’antidogmatismo è certamente uno dei massimi maestri.
Un atto quindi di fedeltà alle ragioni della propria esistenza, per richiamare una pagina nella storia della sinistra italiana -quella del “Manifesto”- che si riallaccia al rifiuto di atteggiamenti omologanti e conformisti. Uno sforzo collettivo proteso alla ricerca di linee originali nell’ affrontare i grandi problemi del tempo presente.
Si può discutere se questa ricerca abbia sempre rappresentato coraggiosa progettualità o, in talune fasi, sia stata abbagliata da facili suggestioni del momento. Si pensi, ad esempio, a certi giudizi sul ’68, dove non sempre si riusciva a scindere il positivo processo di libertà da posizioni socialmente disgreganti. Ed ancora, nei primi anni ’70, alla valutazione del modello cinese, che pur conteneva potenzialmente la degenerazione dei nostri giorni.
Per chi voglia essere antidogmatico un tale esame è ineludibile. Ma nessuno può disconoscere che “Il Manifesto” rappresenta uno dei momenti più alti di impegno antidogmatico nella storia politica italiana del secondo Novecento. Di qui un evidente parallelismo tra la biografia politica ed intellettuale di Gramsci e la vicenda collettiva del “Manifesto”…

Per un periodico che questi valori vuole richiamare e nel contempo operare nello specifico della realtà sarda, ricordare Gramsci assume il significato d’impegno per un percorso di liberazione.
E’ Gramsci stesso a parlarci del duro sforzo per “….superare un modo di vivere e di pensare arretrato quale quello che era proprio di un sardo agli inizi del secolo”. Certo un’arretratezza diversa da quella di oggi, nella quale però permane una condizione in cui non sono scomparse ma, per molti versi, si sono accentuate le stigmate della subalternità culturale e politica.
Dall’inconcludente ribellismo paleo-sardista espresso dalla parola d’ordine “al mare i continentali”, che lo attrasse nelle prime esperienze politiche isolane, egli passa al faticoso cammino intellettuale per individuare i meccanismi che consentivano a forze esterne il dominio dell’Isola.
Quando Gramsci inizia a Torino una nuova tappa della sua biografia intellettuale e politica, l’orizzonte è quello di un “triplice e quadruplice provinciale”. Sarà Gobetti a tratteggiare lo sforzo per uscire da una tale condizione :”…il suo ritratto sembra costruito dalla sua volontà, tagliato rudemente e fatalmente per una necessità intima, che dovette essere accettata senza discussione: il cervello ha soverchiato il corpo”. La necessità era il superamento della cultura “del villaggio”, l’imbozzolarsi psicologico, una visione del mondo che non andava oltre l’orizzonte regionale.
Questo non significò rifiuto della sua cultura e identità sarda. Sappiamo che egli mantenne sempre un rapporto molto stretto con le sue radici, ben al di là di un semplice rapporto affettivo. La Sardegna fu un suo costante punto di riferimento: partire dal villaggio per guardare al mondo, capire il villaggio gli serviva per comprendere il mondo “grande e terribile”.
Gramsci ci ha mostrato la via da seguire per uscire dalla subalternità. Egli ha saputo superare le angustie di una sardità chiusa. Senza con questo perdere ciò che di vitale gli veniva da un rapporto vissuto intensamente col suo mondo d’origine. La Sardegna aveva finito così per saldarsi nella sua mente con gli orizzonti emergenti dei grandi conflitti storici ed ideali dei primi decenni del Novecento.
Ecco perché ricordare Gramsci in questo settantesimo anniversario, diventa occasione per riflettere sul duro cammino da percorrere per superare le angustie che, come sardi, ancora ci assillano.

Francesco Cocco

3 Commenti a “Settant’anni dalla morte di Gramsci. Un’occasione di riflessione e impegno”

  1. Antonio Deias scrive:

    Caro Francesco,
    ho apprezzato molto i tuoi contributi in occasione degli eventi gramsciani appena trascorsi. Mi attendevo anche, per l’esempio di onesta intelettuale che rappresenti, che evidenziassi l’apporto istituzionale (regionale e repubblicano) che sono giunti dal Presidente della Regione e dal Presidente della Repubblica. Finalmente Gramsci è di tutti! Ma credo anche che la dedicazione de “Sa die” a Gramsci, simbolicamente, abbia finalmente dato “sepoltura” a Gramsci nel cuore di tutti i Sardi. Tutto fa ben sperare quindi per cogliere l’universalità e la contemporeneità di Gramsci. Mi auguro anche che il Manifesto e il Manifesto Sardo siano intelligente parte in questo senso.
    Antonio

  2. mimmo bua scrive:

    Caro Francesco, commento con un certo ritardo questo tuo articolo che non esito a definire importante, da leggere e rileggere con attenzione per le fruttuose indicazioni che dà a chiunque oggi voglia contribuire alla “ricostruzione” di una sinistra languente. Riservandomi di riprendere in seguito queste tue indicazioni (anch’io sento il bisogno di andarmi a rileggere e ristudiare Gramsci, convinto che il suo pensiero e soprattutto il suo impegno eroico possano ancora dare forza e (se mi è permesso dirlo) luce allo sforzo di ricostruzione al quale non vogliamo sottrarci).- ti racconterò un aneddoto. Chiedendo venia anticipatamente se dovrò farla un po’ lunga..

    Qualche giorno fa mi è capitato uno di quei piccoli incidenti burocratici ai quali nessuno, neanche da pensionato, può pensare di poter sottrarsi. La società di gestione delle autostrade italiane mi ha intimato di pagare una certa cifra pretendendo che la targa della mia auto sarebbe stata beccata a traversare il tratto fra Roma est e Frosinone senza pagare il pedaggio, il 27 febbraio u.s.
    Essendo serenamente in grado di giurare sulla mia testa e su quella delle mie figlie di non aver mai messo ruote su quel tratto, nè con l’auto che possiedo attualmente, nè con quelle possedute negli utlimi 30 anni, ero e sono sicuro di non aver mai commesso simile infrazione. Ripensandoci, mi sono rassicurato anche per il fatto che l’auto che corrisponde alla targa segnalata dall’auto-pass non ha anzi mai varcato il Tirreno in direzione isola-continente, da quando è stata immatricolata nel 2002 ad oggi, nè in piroscafo, nè in cargo, nè in aereo da trasporto e neppure in teleport-UFO.. E posso anche giurare di non aver mai percorso quel tratto neppure a piedi. Ma avendo letto una recente inchiesta dell’Espresso sull’uso disinvolto che i corrieri della droga fanno di auto, tir e camion con targa clonata, ho pensato che – per evitare brutte storie o fastidiose conseguenze – sarebbe stato meglio informare le forze dell’ordine e magari procedere a una qualche forma di denuncia cautelare. Ti racconto in breve com’è andata.
    Poco c’è mancato che i carabinieri di Quartu, ai quali mi sono rivolto in prima battuta, arrestassero me col sospetto di chissà quale losco traffico o manovra. Per cui, chiedendo scusa per il disturbo, mi sono recato alla polizia di stato, sempre della città di residenza. I poliziotti del locale commissariato sono stati decisamente più gentili e accoglienti: anche grazie alla presenza di un simpatico conterraneo di Cossoine col quale ci siamo subito messi (si perde il pelo ma non il vizio) a parlare in logudorese. E la cosa, come sai, aiuta a fraternizzare. Il cossoinese ha chiamato l’altro, il sopraposto, e questi mi ha tranquillizzato suggerendomi di mandare una lettera alla società di gestione in cui affermare solennemente la verità dei fatti, con tanto di frima in fede e fotocopia di un documento di identità.
    Gli ho obiettato che non me la sentivo di dover subire una serie di comunicazioni successive circa la mora che avrebbe sicuramente moltiplicato i 7 euro del pedaggio per chissà quale cifra.
    Allora l’ispettore, dal momento che, bontà sua, gli avevo dato l’impressione di essere una persona abbastanza “inerudita” (sic) mi ha voluto confidare di aver letto recentemente un libro che lo aveva oltre che profondamente commosso letteralmente entusiasmato, parole sue, “fino alle lacrime”. Il libro era la biografia di Antonio Gransci scritta da Giuseppe Fiori. Insomma, l’ispettore voleva dirmi: guardi che anch’io ho letto Gramsci, dunque la posso rassicurare che lei non dovrà subire altri fastidi. E in ogni caso – ha aggiunto – venga ancora a trovarci. Ci farà davvero piacere scambiare due chiacchiere con lei.
    Evidentemente ancora condizionato da antiche diffidenze ho ribattutto al gentilissimo ispettore che avrei preferito incontrare lui e il suo collega magari fuori di lì, magari in un bar delle vicinanze, prendendoci assieme un caffè o un bicchiere di nasco fresco. D’accordo, fa lui, ma torni fra qualche giorno a dirmi com’è andata e in quell’occasione le potrò prestare un altro libro che non può fare a meno di leggere: le lettere fra Gramsci e Togliatti, raccolte e commentate dal Vacca. Gli ho detto che avrei gradito molto il prestito anche perché quel libro non mi è mai capitato di leggerlo.
    E allontanandomi dal commissariato mi è venuto da pensare: toh! sta a vedere che i nostri democratici poliziotti conoscono Antonio Gransci molto meglio di quanto non lo conoscano molti “politici” di sinistra, ovviamente anche loro democratici ? E devo confessarti, caro Francesco, che una cosa del genere, fino a trent’anni fa, non mi sarebbe mai passata per la mente. Forse perché a mmia (come dicono i siculi) la politica non è che mi ha dato molto: solo un anno e otto mesi con la condizionale per aver vilipeso (a detta loro) nei comizi che allora erano ancora di moda, le istituzioni e le forze armate dello stato, ai tempi sotto quel governo democristiano che parecchi di noi dicono, a volte, di rimpiangere.
    Mi associo dunque all’appello dell’ispettore: rileggiamoci Gramsci che, fra l’altro si è beccato per molto meno vent’anni di galera ed è morto in carcere. A lui non è stato permesso, ma credo che possiamo e dobbiamo far sì che ridiscenda in campo.E chissà che qualcuno non ammetta, come dicono dalle mie parti: emmo ch’est a si ponner Berluscone!

  3. Enly scrive:

    Ciao compagni/e,
    Sono passato nel Vostro blog e devo dire che l’ho trovato altrettanto bello e con temi molto interessanti e significativi, il mio blog e dedicato, come vedrete proprio a lui, ANTONIO GRAMSCI GRANDE INTELLETTUALE che ha fatto la storia d’Italia, morto in carcere sotto il regime fascista di Mussolini.
    Tuttora rimane un grande della storia politica e culturale italiana.

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