Sindrome autodistruttiva

13 Gennaio 2024

[Amedeo Spagnuolo]

Continua la devastante sindrome autodistruttiva della sinistra. Da quando Achille Occhetto ha decretato la fine del più grande partito comunista del mondo occidentale, è cominciato il calvario per tutti coloro che si riconoscono nell’enorme patrimonio di valori della sinistra italiana che ha indubbiamente contribuito a far diventare l’Italia un paese civile o comunque vicino agli standard degli altri paesi europei.

L’inizio della fine della gloriosa storia del peculiare comunismo italiano comincia il 3 febbraio 1991 quando, durante il XX Congresso Nazionale del PCI, la maggioranza dei delegati approvarono la svolta della Bolognina dell’allora Segretario Achille Occhetto, succeduto tre anni prima ad Alessandro Natta. Da quel momento in poi è cominciata la devastante frammentazione della sinistra che dura ancora oggi e che ha consentito prima a Berlusconi, poi al centro – sinistra e ai vari governi tecnici e infine all’attuale governo Meloni di demolire uno dopo l’altro i capisaldi fondamentali sui quali si poggia la vita democratica della nostra repubblica rendendo, inoltre, i servizi essenziali del nostro paese, scuola, sanità ecc. delle strutture assolutamente inadeguate ad affrontare le difficili sfide dei nostri tempi.

Molti pensano, e non riesco a capire come facciano, che si sia trattato semplicemente di un necessario cambio di nome, dunque una sorta di operazione strategica, resasi necessaria a causa dall’ormai impopolare termine “comunista”. In realtà, sciogliere il PCI ha significato determinare una definitiva demolizione del cosiddetto “stato sociale” nel nostro paese. Infatti, quando c’era il PCI nessuno si sognava, nemmeno lontanamente, di toccare, ad esempio, scuola e sanità, infatti, quando questi tentativi furono fatti, c’era un grande partito di massa di sinistra capace di mobilitare un numero impressionante di compagni che in breve tempo occupavano le piazze delle città più importanti d’Italia inducendo chiunque aveva tentato ciò di tornare rapidamente sui propri passi.

Ricordo un episodio che può servire a chiarire meglio la forza del PCI e quanto abbiamo perso con la sua dissoluzione. Era il periodo della mia vita nella quale ero ancora impegnato negli studi universitari però quando ci trovavamo in prossimità delle tornate elettorali mi dimenticavo di qualsiasi cosa e dedicavo quasi tutto il mio tempo alla campagna elettorale con forte disappunto dei miei genitori che avrebbero preferito vedermi studiare piuttosto che dedicare tanto tempo alla politica.

Ma quelli erano tempi diversi, non erano certo gli anni ’60 e nemmeno i ’70, erano gli anni ’80 quelli che in seguito vennero definiti del “riflusso”, pensando al deserto politico – sociale di oggi quegli anni mi sembrano adesso “rivoluzionari” altro che riflusso. Comunque sia, dicevo, durante una disputa elettorale, ci ritrovammo ad assecondare uno dei tradizionali riti delle campagne elettorali di quegli anni ovvero la “battaglia” dei manifesti. Allora vivevo nella zona orientale di Napoli, la più “rossa” della città che a livello di voti favorevoli alla sinistra raggiungeva percentuali “bulgare”. Ebbene, mentre io e altri giovani compagni stavamo affiggendo un manifesto del PCI, improvvisamente ci ritrovammo accerchiati da una banda di neofascisti che volevano imporci di andare via da quella zona.

Non so come, dopo pochi minuti vedemmo arrivare un centinaio di compagni a darci manforte, il quartiere era pieno di compagni e compagne, eravamo tanti, giovani e forti e non ci faceva paura niente e nessuno. La paura non ci assalì nemmeno quando al manipolo di fascisti si aggiunsero due energumeni con al guinzaglio dei temibili mastini bavosi che non aspettavano altro che affondare i loro spaventosi denti nella nostra carne. Noi però eravamo veramente tanti e i mastini non potevano fermarci. Non so se è il frutto della nostalgia per quegli anni per me irripetibili, però quando penso a quell’episodio l’immagine che si forma nella mia testa si colora di rosso, un rosso intenso, credo che si trattasse delle bandiere rosse che i compagni della sezione del PCI di Ponticelli, quartiere della zona orientale di Napoli, portarono con loro prima d’ingaggiare la breve rissa con quei quattro topi fascisti usciti dalle fogne.

Quella fantastica immagine della mia gioventù purtroppo, quando si presenta, dura poco, infatti, subito dopo, mi ritrovo scaraventato in questo tempo feroce nel quale le nauseanti immagini dei bracci tesi di Acca Larentia mi fanno rabbrividire e incutono in me una profonda tristezza ripensando a quando, non molti anni fa, i fascisti che si esponevano in maniera così plateale erano veramente pochi mentre ora hanno il sostegno di chi ci governa.

Già le sento le voci dei rivoluzionari della tastiera che dall’interno delle loro confortevoli abitazioni piccolo – borghesi lanciano i loro strali contro il PCI, il partito del “Compromesso storico” che aveva rinunciato a fare la rivoluzione. Sono gli stessi che da decenni occupano poltrone in Parlamento, nei Consigli regionali e comunali e ritengono che fosse necessario cancellare la scomoda definizione di comunista per far diventare il PCI una moderna forza progressista e democratica. Poi abbiamo visto tutti come è andata a finire. È finita con la nascita di un Partito Democratico dominato dalle correnti e dagli interessi di capi e capetti che fanno della politica il loro mestiere e chi se ne frega di chi vive ai margini del capitalismo.

In Sardegna tra poco si andrà a votare per le regionali, pensate che dopo la devastazione che abbiamo subito sia cambiato qualcosa? Ma quando mai, ancora una volta la pseudosinistra isolana si presenta divisa, Soru da una parte, Todde dall’altra, mentre le destre ridacchiano e si ricompattano pregustando già l’ennesima vittoria. È mai possibile che a sinistra non si riescano più a trovare tematiche comuni sulle quali costruire un programma unitario?

La scuola, la sanità, il lavoro, sono sempre gli stessi i temi della sinistra e allora perché dividersi. Ovviamente la domanda è retorica, ci si divide perché ormai anche a sinistra prevalgono gl’interessi personali. Il bene comune, l’interesse generale lasciamoli ai poveri illusi come me che prima delle feste natalizie ero convinto di appartenere a una coalizione di sinistra –  sinistra e poi, tornato nell’isola, dopo la sbornia napoletana, mi sono accorto che era tutto uno scherzo.

Dunque, visto come vanno le cose oggi a sinistra, non mi vergogno affatto di avere nostalgia del grande PCI (se penso alla decina di partitini comunisti italiani che tutti insieme non raggiungono il 3% mi viene da piangere) che aveva, certo, tanti difetti ma la sua presenza mi faceva sentire più garantito e, perché no, più felice.

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