Soldati da macello

16 Maggio 2008

Brigata Sassari
Manuela Scroccu

La fiera di Cagliari ha ospitato una mostra che ricordava la Brigata Sassari, nel novantesimo anniversario della fine della prima guerra mondiale. Nei pannelli riccamente illustrati si poteva leggere delle trincee e di Lussu, fino alle più recenti missioni “umanitarie”. Così si chiama la guerra oggi, per aggirare la Costituzione antifascista che la guerra, invece, la ripudia.
Anche Salvatore Vacca faceva parte della Brigata Sassari. Aveva 23 anni ed era caporalmaggiore del 151esimo reggimento. Nel 1999 è morto a Cagliari di leucemia acuta. Era tornato dalla Bosnia da poco più di tre mesi ed è una delle prime vittime della sindrome dei Balcani.
Eppure Salvatore l’aveva raccontato, ai genitori, degli americani vestiti come marziani con le tute antiradiazioni e tutto l’occorrente mentre loro avevano solo la divisa estiva d’ordinanza, con il giubbotto antiproiettile. Ma non è stato il fuoco nemico a uccidere Salvatore, non è stato un cecchino o una bomba. E’ stato un nemico più subdolo, invisibile, quell’uranio impoverito utilizzato per rendere le armi della Nato più efficaci e con maggior capacità di penetrazione. Quell’uranio impoverito che già era stato responsabile della sindrome della guerra del golfo in Iraq, con i reduci americani che si ammalavano di cancro o mettevano al mondo figli con gravi malformazioni. Ecco perché i soldati statunitensi avevano le protezioni. Le inchieste giornalistiche e le denuncie, anche se accolte con il solito ostracismo e i tentativi di insabbiamento, avevano indotto le autorità militari americane, forse impaurite dalla quantità di risarcimenti che sarebbero state costrette a pagare, a dotare i propri uomini delle necessarie attrezzature per evitare il contatto con le radiazioni nocive.
Il nostro esercito, invece, nulla sapeva, o almeno così dice. Sicuramente non sapevano “le truppe”.
E così, quando Salvatore torna dalla Bosnia e comincia a stare male nessuno ci capisce niente. Quando arriva la diagnosi è troppo tardi, leucemia acuta, e il giovane caporalmaggiore di Nuxis, dopo soli 150 giorni dal suo rientro in Italia, si spegne tra atroci dolori.
Solo dopo, quando altri ragazzi, giovani militari che hanno partecipato come Salvatore alle missioni all’estero, cominciano ad ammalarsi si capisce che non può essere solo una coincidenza.
Attualmente, secondo il ministero dell’Interno i morti sono già 77 e i malati 312, soltanto tra i militari italiani inviati in missioni di pace nei Balcani, in Afghanistan, in Libano e in Iraq. Ma per l’osservatorio militare di Domenico Leggiero, i morti sarebbero già 163 e i malati 2500, per ora. Senza contare i danni dell’uranio impoverito sulle popolazioni civili delle zone di guerra e dei territori italiani in cui vi sono poligoni interforze, ovvero a casa nostra, qui in Sardegna. Per questi non ci sono dati certi e ufficiali.
Le associazioni che riuniscono e assistono le vittime e le famiglie dei caduti raccontano infatti un’altra storia, diversa da quella ufficiale. Raccontano che le autorità militari hanno adottato misure di prevenzione solo dopo il 22 dicembre 1999. Che già in Somalia gli Stati Uniti, memori delle vittime della sindrome del Golfo, avevano adottato il principio di precauzione e facevano girare i loro uomini con la tuta antiradiazioni mentre i nostri soldati erano in tuta e magliettina. Il personale che agiva sul campo ha vissuto nell’ignoranza dei rischi nonostante l’amministrazione militare fosse nelle condizioni di conoscere i pericoli dell’uranio impoverito, peraltro segnalati dalle autorità statunitensi.
Salvatore Vacca è morto a soli ventitre anni a causa dell’uranio impoverito e della negligenza colpevole, a pensar bene, delle autorità militari. Lo sanno i suoi genitori, lo sanno gli alti gradi dell’esercito, lo sa il Ministero della Difesa.
Eppure, la Cassazione, qualche giorno fa, ha confermato l’archiviazione della denuncia presentata dai genitori del giovane militare di Nuxis. Il procedimento, aperto presso la Procura di Cagliari contro ignoti per omicidio colposo, era stato archiviato perché non sussistevano gli estremi per sostenere la responsabilità “per condotta colposa omissiva impropria” dei vertici dell’amministrazione militare. L’iter processuale si è concluso con la pronuncia della Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai parenti di Salvatore in quanto il Giudice per le indagini preliminari, operando correttamente, non ha fatto altro che prendere atto “dell’impossibilità di accertare la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato”. Traducendo dal giuridichese, troppe incertezze. Secondo la Corte, un eventuale processo non sarebbe stato in grado di individuare un colpevole poiché non esisteva “nesso causale prevalente ed esclusivo” tra la patologia mortale sviluppata dal giovane e il comportamento omissivo dei vertici della Difesa e dell’amministrazione militare. I genitori di Salvatore, che con dignità si aspettavano di conoscere per nome e cognome i responsabili della morte del figlio, continueranno ad aspettare. In teoria sarebbe possibile per un pubblico ministero riaprire le indagini, magari sollecitato da altri familiari delle vittime. In teoria, perché in pratica sul fascicolo “Vacca Salvatore” incombe la scure della prescrizione. Anche se si raccogliessero abbastanza elementi per riaprire le indagini difficilmente il processo potrebbe arrivare ad una sentenza di condanna. Non sarà un processo penale, quindi, a ristabilire la verità dei fatti, almeno per il giovane caporalmaggiore di Nuxis.
Resta la politica. Recentemente, la terza commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito ha approvato la sua relazione finale, dopo poco più di un anno di lavoro, in cui ha riconosciuto la possibilità per questi militari di richiedere il risarcimento allo Stato. In realtà è una vittoria di Pirro. Gli stanziamenti previsti in finanziaria sono bloccati. La Difesa continua a fornire dati statistici epidemiologici approssimativi. Per dirla come Marco Bulgarelli, membro della commissione, “ci siamo dovuti fermare al momento decisivo, quello delle verifiche e degli approfondimenti”. Intanto, si ammalano altri militari, uno in Sardegna, tre in Friuli. C’è un nuovo governo e un nuovo ministro che “ama i soldati”, adesso. Speriamo non soltanto quelli sani, perché quelli malati in genere non piacciono ai guerrafondai.

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