Identità come da Statuto

1 Ottobre 2010

stiglitz

Alfonso Stiglitz

I temi dell’identità giungono finalmente anche in Consiglio Regionale, non più come leggi di finanziamento a questo o quel settore, a questo o quel gruppo, ma con la volontà di stabilire chi siamo e dove vogliamo andare. A stimolare questo dibattito sono servite le otto mozioni presentate da esponenti di tutti i gruppi politici presenti in Consiglio e delle quale è in corso la discussione (mozioni e resoconti sono leggibili nel sito del Consiglio regionale), alle quali si aggiunge un opportuno dibattito che si sta sviluppando sulle pagine della Nuova Sardegna.
Mi sembra importante segnalare che solo una di esse è redatta sia in italiano che in sardo. Il rischio, però, è che la discussione e le relative decisioni restino chiuse all’interno di un ambito politico-partitico nel quale sia tagliato fuori il resto della società, come peraltro la sequenza di nomi di coloro che sono intervenuti sulla stampa dimostra ampiamente. Per questo mi sembra opportuno che altre voci si facciano sentire: se siamo un popolo e se vogliamo l’autogoverno (sono due delle parole più gettonate nelle mozioni) è nella condivisione della discussione e del confronto che dobbiamo trovare lo strumento; sostituire il centralismo italiano con quello nostrano rischierebbe di non cambiare nulla.  In attesa del dibattito consiliare che si sta svolgendo mentre scrivo queste note, voglio proporvi alcune riflessioni sparse sull’identità, così come questa è percepibile dai testi delle mozioni presentate.
La prima cosa che mi ha colpito è la realizzazione di un nuovo Patto costituzionale come conseguenza, secondo la maggioranza delle mozioni, della crisi politica ed economica, dei gravi torti subiti dall’Isola da parte dello Stato italiano, dal fallimento dell’Autonomia; in altre parole una forma di difesa e di rivendicazione. Solo tre, invece, ritengono che sia insito nel diritto all’autodeterminazione di ogni popolo quello di dotarsi di uno strumento di autogoverno. Colpisce quindi che resti minoritaria, nelle mozioni, la proposta positiva e prevalga, come spesso avviene anche nel dibattito fuori dal Consiglio, la lamentazione e la rivendicazione. In questo linea mi pare curioso che, anche nelle mozioni propositive e non rivendicative si denunci la perfetta fusione del 1847; mi rendo conto che dal punto di vista giuridico sarà probabilmente necessario quel passo, ma basare l’autodeterminazione su un fatto negativo non mi sembra un fondamento culturale forte; soprattutto se, contemporaneamente, si nota l’assenza, direi clamorosa, di qualsiasi riferimento, anche di sfuggita, alla Carta de Logu, vero e proprio atto giuridico di autogoverno, il cui richiamo ci avrebbe risparmiato i consueti lamenti sul destino cinico e baro, sui cattivi che vengono da fuori e così dicendo. In generale è curioso che noi Sardi come elementi identitari forti celebriamo il massacro di Sanluri, quello delle trincee della guerra mondiale, la cacciata dei savoiardi e ignoriamo uno straordinario atto giuridico al quale la nostra nuova Carta costituzionale, comunque la vogliamo denominare, dovrebbe idealmente richiamarsi.
Sul problema della definizione di identità le mozioni latitano; alcune non ne accennano, salvo l’utilizzo di termini come Popolo sardo o Nazione sarda, non meglio definiti, altre si riferiscono alla mera enunciazione dei parametri dell’identità: territorio, lingua, cultura, spesso con l’uso indifferente dei termini e l’accostamento, in qualche caso, di popolo ed etnia. In alcune l’unico chiaro elemento è quello del riconoscimento o, meglio come dice una mozione, della costituzionalizzazione della Lingua sarda. In un caso si richiamano esplicitamente le “bimillenarie radici cristiane della società sarda, punto di approdo del lungo cammino del suo popolo” (lascio a voi la soddisfazione di individuare a quale gruppo politico appartiene questa mozione). L’impressione, in questa fase di lettura, è che non sia chiaro ai proponenti cosa siamo o quali problemi possa porre, e dobbiamo porci, la definizione della nostra identità, al di là di mere espressioni verbali quali popolo, nazione, etnia.
Un altro aspetto su cui riflettere è quello di una concezione, che mi pare trasparire un po’ ovunque, monolitica del Popolo sardo, come una entità unica, tanto che nella stessa mozione richiamante le radici cristiane si introduce il concetto di riconoscimento delle minoranze linguistiche; dal che ne discende che il Popolo sardo è quello dei sardo-parlanti, cristiani. È un tema sul quale sarebbe interessante confrontarsi a fondo, anche fuori del Consiglio regionale, perché l’accostamento Popolo sardo più minoranze linguistiche mi sembra ripetere pedissequamente l’attuale schema italocentrico, figlio di un pensiero centralista.
Credo che sarebbe importante ragionare sulla nostra identità, culturale e giuridica, rompendo gli schemi e partendo da quella che Amartya Sen ha definito l’identità plurale; ciò comporta che, ad esempio in termini linguistici, la nostra ricchezza identitaria di sardi stia nella pluralità delle nostre lingue: oltre al sardo propriamente detto fanno parte del nostro patrimonio linguistico storico il gallurese, il tabarchino, il catalano, l’italiano. In altre parole un’identità linguistica non può prescindere dalla varietà ed è proprio questa pluralità a creare la nostra originalità. Così come, più in generale, la sardità è fatta da un complesso di identità che si intrecciano e non da una sottrazione che esclude, individuando alcuni parametri di purezza, come il sardo-sardo di salde radici cristiane, che inevitabilmente ci porta alla sindrome della minoranza assediata.
In conclusione di queste note sparse, portiamo fuori dal Consiglio la discussione, non lasciamoli soli, soprattutto nell’uso delle parole, che talvolta sfuggono di mano.

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