Sulla conversione ecologica

25 Ottobre 2020

[Guido Viale]

È sbagliato oltreché impossibile separare ambiente e società; sono due cose inestricabilmente connesse. Per questo, le misure di tutela dell’ambiente sono al tempo stesso misure di tutela della convivenza, in particolare della parte della popolazione maggiormente colpita dalla crisi ambientale: si chiama conversione ecologica.

Il tempo a nostra disposizione prima che la crisi climatica raggiunga il suo tipping point (l’irreversibilità) sta scadendo. Non sappiamo che cosa verrà dopo, ma sappiamo che la vita sarà peggiore e più difficile per quasi tutti. Per questo occorre focalizzare l’attenzione non solo sulla mitigazione (fermare o ritardare i fattori della crisi ambientale), ma anche e soprattutto sull’adattamento (rendere meno difficile e più accettabile la vita in condizioni estreme). Per questo è necessario che la conversione ecologica riposi interamente nelle mani dei suoi destinatari, sia promossa attraverso pratiche diffuse, non si fondi solo su grandi investimenti irreversibili, ma sia flessibile, in modo da potersi continuamente adattare al variare delle condizioni e soprattutto che si fondi sulla partecipazione.

In tutti gli ambiti interessati alla conversione ecologica, accanto agli obiettivi di carattere generale che possono concorrere alla formazione di una “piattaforma” rivendicative di misure da esigere dai governi, è necessario dare la massima importanza alla diffusione di una cultura pratica e operativa che permetta a tutti i cittadini, singolarmente o, possibilmente, associati, ma anche alle piccole e medie imprese e ai responsabili di enti di ogni tipo, di accedere alle conoscenze tecniche e scientifiche, alle tecnologie, agli incentivi e alle facilitazioni finanziarie disponibili.

Per fare un esempio tratto dal campo energetico, l’accesso a queste opportunità è per ora limitato solo a chi viene a conoscenza della loro esistenza, ne sa valutare la convenienza, ha le risorse per sostenerne il costo iniziale o per trasferirlo alle banche, riesce a svicolare tra le molte pratiche burocratiche. Per lo più il sostegno a una o tutte queste funzioni è fornito dalla ditta fornitrice o installatrice, ciascuna esclusivamente per le opere di sua competenza: pannelli solari, pompe di calore, impianti minieolici, utilizzo di biomassa, cambio degli infissi, cappotto termico, ottimizzazione delle apparecchiature e degli impianti esistenti. In questo modo gli interventi in campo energetico assumono un andamento assolutamente casuale, mentre andrebbero invece considerati insieme, perché sono interdipendenti.

Per questo occorre che vengano messi a disposizione dei Comuni, o delle unioni (di fatto o di diritto) di piccoli Comuni, i fondi necessari a finanziare una grande campagna di check-up energetici su tutto il territorio nazionale, reclutando, formando e impegnando teams misti per competenze (elettriche, elettroniche, idrauliche, edili, economiche e sociali: queste indispensabili per entrare in contatto nel migliore dei modi con l’utenza, qualsiasi essa sia). Queste squadre dovranno essere autorizzate a visitare sistematicamente tutti gli edifici e gli impianti produttivi al di sotto di una data soglia dimensionale e tenute a redigere – con il concorso di uno o più responsabili dell’impresa, dell’ente, del condominio o dello stabile, se esistenti e disposti a collaborare (se no, anche senza), e  per ciascun punto visitato – un progetto dettagliato di ottimizzazione dei consumi e di conversione degli impianti, anche aggregando utenze vicine o connesse e proponendo le relative modalità di gestione. Il progetto dovrebbe essere corredato da un preventivo di massima dei costi, delle possibili fonti di finanziamento, degli incentivi utilizzabili, dei tempi di rientro dell’investimento (molti interventi, se aggregano un numero sufficiente di utenze, sono finanziabili in modalità Esco, cioè scambiando l’anticipo della spesa da sostenere con una parte dei risparmi che verranno realizzati nel corso degli anni) e dalla indicazione delle ditte in grado di effettuare gli interventi proposti. Ditte che dovranno aver prima sottoscritto una convenzione con il Comune per garantire economicità del prezzo e qualità del lavoro: un grande serbatoio potenziale di nuova occupazione.

Il tempo di costituzione, formazione e collaudo di questi team non dovrebbe superare i sei mesi, la maggioranza dei check-up dovrebbe essere portata a termine in non più dei successivi due anni e il personale impiegato dovrebbe venir previsto in ragione di almeno un addetto ogni 500 abitanti, per un totale di circa 120.000 assunzioni (più, ovviamente, il personale addetto alla formazione e al coordinamento dei teams, che può essere in gran parte attinto da università e centri di ricerca). Una vera e propria leva di giovani laureati e diplomati che avrebbe ampia possibilità in seguito di essere impiegata in attività di direzione dei lavori, aggiornamento e installazione di nuovi impianti, senza timore di essere dimessi a progetto concluso.

Analogamente, lungo la filiera del cibo, per promuovere una cultura materiale che solleciti una radicale conversione dei consumi alimentari, andrebbero finanziati, promossi e messi in campo nella stessa logica team multidisciplinari per assistere da un lato i centri di consumo collettivo – mense pubbliche e aziendali, ristoranti, negozi alimentari, gruppi di acquisto solidale e associazioni civiche – per mettere a loro disposizione, se richieste, competenze di ordine contabile, informatico, nutrizionale, agronomico ed eventualmente strutture di magazzinaggio. Dall’altro, per promuovere la conversione dell’agricoltura e delle attività di trasformazione del cibo a un assetto sostenibile, va offerto un analogo sostegno tecnico a tutte le imprese interessate o necessitate a riconvertirsi in direzione di una alimentazione più sana (soprattutto se impegnate nell’allevamento intensivo e nell’industria della carne, o in coltivazioni e trattamenti che dipendono dall’impiego di supporti e additivi sintetici). Poiché in questo campo è fondamentale la promozione della multifunzionalità delle imprese (produzione di cibo, di legname, di biogas e altre risorse energetiche, di tutela della biodiversità e degli assetti idrogeologici, di offerta turistica e di educazione alla natura), la composizione dei teams di accompagnamento sarà necessariamente più complessa e il periodo del suo impiego più lungo. E così via per tutti gli altri settori portanti della conversione ecologica: mobilità, economia circolare, riassetto dei territori, temi, che richiedono una trattazione a parte.

Pubblicato ieri da il manifesto in una versione parziale con il titolo Dalla teoria alla pratica sociale della ti conversione.

1 Commento a “Sulla conversione ecologica”

  1. Sulla conversione ecologica – Il Manifesto in rete scrive:

    […] articolo è stato pubblicato su il manifesto sardo il 25 ottobre […]

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