Ti. Come Tonio Aresu, Pirichitu

1 Febbraio 2013
Gianni Loy

Nei giorni scorsi è morto Tonio Aresu, un compagno da sempre impegnato nella difesa dei diritti di chi ne viene costantemente privato da coloro che esercitano il potere con arroganza. Una perdita di cui sentiremo la mancanza: lo hanno testimoniato i tantissimi amici e compagni che lo hanno salutato in occasione delle esequie avvenute il 2 febbraio. Su Tonio pubblichiamo un ricordo che ci ha inviato Gianni Loy.

Quando è arrivata l’ora sua, una bandiera rossa ha coperto la cassa. E i compagni sono accorsi a ricordare, ed a testimoniare, che era ateo. Una nipote, meno avvezza alle regole del galateo para-religioso, lo definisce, più semplicemente (alla lettera “m”) un “mangiapreti”.
Gli uni e l’altra, però, nel testimoniare la sua coerente etica, invocano la sopravvivenza dell’anima, o dello spirito.
Contraddizione che non potrà trovare razionale soluzione nei meandri della filosofia, e tantomeno nella “gratuita” fede che consola i credenti.
Nella poesia, magari …
Tonio Aresu, Pirichitu, ha lasciato eredità d’affetti. Una grande, e dolce, eredità d’affetti che il tempo tarderà stemperare.
Tutto si sarebbe potuto racchiudere in una sola parola, antica, capace di sintetizzare la sua visione del mondo, la sua ansia di fraternità, la sua perenne lotta contro l’ingiustizia.
Si. Sarebbe stato sufficiente chiamarlo “compagno”. Espressione che la storia, a volte, ha corrotto, eppure ancora capace di indicare il profilo volitivo di chi combatte per un mondo migliore e più giusto.
Ed invece, i compagni, i parenti, gli amici, i compaesani, hanno voluto ricordarla quella eredità che ci ha lasciato, di lavoratore, di padre, di militante, di seuese. Dando ragione ai miei sospetti di essermi imbattuto in una persona affascinante.  Non ho condiviso, in vita, la sua vita d’affetti. Non ne ho avuto la ventura, non mi è capitato. L’ho intuita, però, tutte le volte che la sorte ci concedeva dialoghi, nei momenti più impegnati della militanza o al margine della festa del paese, che anche compaesani eravamo, ed anche seuese era, ed è.
L’ho intuita, quella sua grande eredità d’affetti, In un andirivieni di emozioni che non cesseranno di andare e di tornare. Perché quella eredità trova posto nel camposanto virtuale che mi costruisco, giorno dopo giorno, assegnando un piccolo spazio agli gli amici più cari, agli amici più stimati, in attesa di raggiungerli. Perché non è vero che la morte nostra non esista. La morte nostra è quella che ci consuma, a poco a poco, ogni volta che perdiamo la compagnia di quegli affetti, ogni volta che ci viene impedita una relazione che ci importa.
L’eredità d’affetti ci consola, fa sì che una donna innamorata possa pregare davanti all’urna, o che un “passeggier solingo oda il sospiro che dal tumulo a noi manda Natura”.  Ma non fa venir meno la sensazione di vuoto, il “supremo scolorar del sembiante” , il “venir meno ad ogni usata, amante, compagnia”.
Ora, Tonio potrà vagare, irriconosciuto, nei vicoli di Parigi, potrà indugiare, finalmente, in un caffè di Tunisi, potrà sorseggiare dalla sua tazzina senza fretta, senza affanni, perché nessuno potrà più attenderlo sul bagnasciuga di una spiaggia. Al più, qualcuno di voi, di noi, indagando su cosa possa trovarsi oltre l’orizzonte del mare di Villasimius, (alla lettera “v”) potrà continuare ad immaginarselo, ad intravedere le sue sembianze, a parlargli, persino, ad onta di ogni speculazione sulla assolutezza della morte.

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