Transizione e semplificazione: democrazia e ambiente a rischio

1 Luglio 2021

[red]

Appuntamento a Bauladu il 4 luglio per discutere di energia, ambiente e diritti e per organizzare azioni di contrasto al nuovo e crescente assalto al nostro territorio.

È oramai chiaro ai più che la crisi ambientale e la pandemia sono diventati per alcuni un’ulteriore occasione d’affari, un’ulteriore occasione per prendere d’assalto territori e diritti. In nome dell’emergenza si sta tentando in ogni modo di andare in deroga anche alle più elementari forme di tutela: dal lavoro, ai beni storici, ambientali e paesaggistici, fino alla salute. Il principio di precauzione, grazie al quale i progetti di grande impatto dovrebbero essere sospesi in attesa di ottenere tutte le garanzie del caso, sembra diventato un inconcepibile freno allo sviluppo. E di questo passo, in una totale assenza di visione e strategia da parte del governo sardo e di quello italiano, si sta tentando di procedere; di semplificazione in semplificazione, levando, di fatto, voce e competenze ai territori, alle amministrazioni locali e agli organi preposti alle verifiche e ai controlli. Le parole d’ordine sono transizione ecologica e crescita economica, il ché tradotto, almeno sulla carta, starebbe a significare anche: mantenimento o addirittura crescita dei livelli occupazionali e maggiore ricchezza per tutti.

Nella realtà, invece, vi sono alcune zone geografiche dove il recente assalto si sta concentrando: sono le periferie dell’Italia, le aree rurali in cui lo spopolamento e le difficoltà economiche e sociali hanno fatto terra bruciata. Difficoltà amplificate dal taglio drastico dei servizi, in particolare assistenza sociale e salute, inclusi i vitali medici di famiglia, ma, non meno gravi, trasporti, servizi postali, bancari e addirittura telecomunicazioni, ove alcuni centri non hanno neppure copertura telefonica mobile e men che mai rete internet. Difficoltà che hanno sfiancato queste comunità e amplificato, quando non, addirittura, provocato il rapido abbandono e la fuga. In questi luoghi quasi senza speranza, la prospettiva di un progetto di grande impatto e grande consumo di suolo, capace di stravolgerne irrimediabilmente le caratteristiche e le sorti, diventa allettante anche quando la promessa sono la miseria di qualche migliaio di euro e una manciata di posti di lavoro. Molti agricoltori oggi attendono trepidanti l’arrivo dei signori delle rinnovabili: 5-10.000 euro all’anno per cedere un po’ della propria terra sono una manna dal cielo quando quel suolo, ritenuto povero o addirittura sterile, quelle stessa resa non la potrebbe garantire manco in anni e anni di duro lavoro e sacrificio. E così, per molti sindaci la soluzione ai problemi è rappresentata proprio da questa nuova ecologia, tanto che qualcuno si porta avanti coi lavori e, invece di attenderne l’arrivo, promuove l’approdo delle società delle “rinnovabili” individuando aree in cui far realizzare loro le opere.

Ma questo concetto di transizione, in cui quote importanti di territorio, sovranità e benessere, vengono barattate con la prospettiva di migliori opportunità, non riguarda esclusivamente le periferie delle periferie. Altri tipi di progetti, sostenuti dallo stesso spirito e giustificati con le più disparate ragioni, ove però la parola clima resta l’elemento guida, stanno prendendo piede e vengono accettati anche in luoghi centrali e di pregio dell’isola, senza suscitare troppo dibattito. E si tratta sempre della riproposizione di progetti per la produzione energetica, sia essa da fossile che da biomassa: metano, biogas e idrogeno, ossia presente, intermedio e futuro a supporto delle rinnovabili.

Altrove è invece la guerra alla pandemia ad aprire la strada alla soppressione dei diritti e alla privatizzazione dei beni comuni. E così le spiagge, ma anche altri luoghi pubblici e finanche i parchi, diventano ad accesso limitato e consentito dietro pagamento di un ticket. Allo stesso modo le piazze, luogo di incontro per eccellenza, vengono sottratte alle comunità per diventare ampie estensioni di bar e ristoranti. Tutto in nome del distanziamento “sociale”, della sicurezza e della ripresa economica.

Tali processi si accompagnano ad altri già in corso, quale la svendita dei nostri migliori prodotti agropastorali alle multinazionali dell’alimentare per diventare cibo di lusso altrove. Alla faccia del diritto al cibo di qualità e accessibile a tutti. In un paradosso in cui un’isola, considerata povera di risorse, che importa oltre l’80% dei prodotti alimentari, tra le ultime regioni d’Europa in termini di reddito pro capite, con indici allarmanti di disoccupazione e abbandono scolastico e livelli d’istruzione da paese sottosviluppato, si trasforma in un paradiso in grado di regalare introiti milionari a chiunque arrivi qua a fare affari, si tratti di cibo, energia, turismo e altro ancora.

Ora, in conseguenza di tutto quanto sopra, è doveroso sollevare la questione su quali siano, e a beneficio di chi, le ricadute economiche, ambientali, paesaggistiche, sociali e occupazionali. Dovremmo chiarire se il problema della speculazione è relativo solo a chi è il proponente, ovvero: se è uno straniero o un indigeno, se è un privato o un ente pubblico o lo stato. Dovremmo stabilire se non sia doveroso acquisire maggiore consapevolezza per comprendere preliminarmente, e non a posteriori, il senso profondo e il valore di cosa stiamo consentendo, accettando, promuovendo o, nella maggior parte dei casi, subendo; il perché di certe scelte, con quali obbiettivi e a quale costo, e se questo costo è davvero una cifra che valga la pena pagare.

Di tutto questo dobbiamo doverosamente iniziare a ragionare, assieme a tante altre questioni annesse e connesse, affinché giungiamo a comprendere appieno la dimensione dei cambiamenti in corso e l’importanza del nostro ruolo e delle nostre decisioni. Affinché il futuro non ci travolga e così evitare, a danno fatto, di dover ancora pronunciare la frase “noi non sapevamo”.

Dopo un primo incontro in videoconferenza tenutosi il 16 giugno, ci ritroveremo domenica 4 luglio a Bauladu, presso il Centro Civico Culturale in Piazza Emilio Lussu, a partire dalle 9.30 e fino alle 13.30, per discutere delle proposte già presentate, sulle eventuali nuove, e sulle azioni e iniziative di mobilitazione.

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