Un argine o un fronte per le prossime elezioni?

1 Novembre 2012
Paolo Favilli
La proposta di Asor Rosa di stringersi attorno all’alleanza Bersani-Vendola è il tentativo di porre un argine alla rotta della sinistra. Ma è una strategia sufficiente? Per Rossana Rossanda esiste un fronte «così esteso che non riusciamo neanche bene a vedere dove comincia e dove finisce». Perché allora non dedicarsi alla sua costruzione come forza organizzata?
Alberto Asor Rosa, a mio parere, ha scritto, quando la questione aveva ancora importanti contenuti di attualità politica, uno dei saggi più acuti sulle problematiche sottese alla cultura ed alla pratica del «compromesso storico» (Laboratorio Politico, marzo giugno 1982). Per discutere meglio sulla proposta che lo stesso Asor Rosa argomenta nell’articolo pubblicato su questo giornale il 14 ottobre, credo che non sia fuori luogo partire proprio da uno degli aspetti indicati nel saggio del 1982 come peculiari, in positivo, della cultura politica del «compromesso storico». Il fatto cioè che quell’operazione politica non si esauriva certo in una proposta di governo. La proposta di governo era solo l’aspetto contingente di una dimensione strategica.
La proposta contenuta nell’articolo in questione non ha, ovviamente, nessuna possibilità di comparazione con l’operazione politica tentata da Enrico Berlinguer. Il «compromesso storico» era una strategia dell’avanzata, la proposta di stringersi tutti intorno all’alleanza Bersani-Vendola è una tattica della ritirata, il tentativo di porre un argine alla rotta.
Tuttavia, pur nelle ritirate, me lo ha insegnato anche Asor Rosa, il nesso proposta-strategia va tenuto stretto, altrimenti la rotta è quasi inevitabile. Proprio questo nesso mi sembra assente dall’articolo del 14 ottobre.
Che si tratti della proposta di costruzione di un argine sul Piave per evitare la tracimazione di Caporetto è del tutto evidente. La continuazione della politica dell’emergenza fa aumentare il rischio che «le fragili strutture della nostra rappresentanza democratica» collassino per sempre». Vi è, dunque, la necessità di un «argine da apporre all’ondata travolgente dell’antipolitica, dell’astensionismo, del grillismo, della deflagrazione istituzionale». Un pessimismo del tutto giustificato
Asor Rosa indica con chiarezza il materiale decisivo per la costruzione dell’argine: «una forza diversa e contraria» al montismo che è «radicalmente» altro rispetto a noi (quali noi?), per «valori», «obiettivi», «mentalità». Siccome questa forza deve essere «significativa per le sue dimensioni» non può essere che quella rappresentata dal Pd «con in pancia Vendola» secondo la profetica espressione di Eugenio Scalfari.
Si pongono due problemi: a) la forza indicata da Asor Rosa può essere davvero «radicalmente diversa e contraria» rispetto alle politiche economiche e sociali del governo Monti? b) la costruzione dell’argine è strategia sufficiente? Quali costruzioni sono necessarie dietro o insieme all’argine per una prospettiva articolata su tempi più lunghi?
Da riformista qual sono mi accontenterei dell’inizio di un’inversione di tendenza che, per forza di cose, dovrebbe essere contraria a quella in atto. Proclamare in ogni momento la propria «sensibilità sociale» rispetto a Monti si declina molto più facilmente in «capitalismo compassionevole» che in politiche economiche che hanno un segno diverso, perché basate su strumenti analitici davvero differenti.
Asor Rosa stesso non è così sicuro che lo schieramento da lui indicato possa essere davvero «forza diversa e contraria». Preferisce scommettere sulla questione dopo la vittoria. Ricorda, opportunamente, che molto dipende dalla natura del Pd, dalle sue numerose e differenziate posizioni «caoticamente stratificatesi nel tempo».
Sono proprio le stratificazioni che la storia degli ultimi vent’anni ha depositato su quella formazione politica a rendere molto difficile che la scommessa possa essere vinta. Già nella prima metà degli anni Novanta il paradigma concernente l’analisi del rapporto economia-società è stato rovesciato. «Tutti i laboratori, tutti i luoghi di elaborazione vengono azzerati», ha scritto Asor Rosa nel 1996 (La sinistra alla prova, Einaudi). «Autori e dottrine che fino a quel momento avevano costituito il nucleo di un’educazione compatta e condivisa venivano di colpo dimenticati (i corsivi sono miei)», ha ribadito qualche anno dopo Aldo Schiavone (I conti del comunismo, Einaudi, 1999) Ora un mutamento di paradigma è questione di estrema rilevanza. Proprio alla luce di quel mutamento radicale sono comprensibili le politiche economiche dei governi di centrosinistra. Alla luce di quel mutamento di paradigma, ancora nel 2008 (l’Unità, 1 maggio 2008), l’allora responsabile per l’economia del Pd, Tonini, poteva, senza suscitare alcuna reazione, spiegare il momento economico che l’Italia stava attraversando utilizzando strumenti analitici tratti (credo inconsapevolmente) da La favola delle api… di Bernard de Mandeville. Ed ancora nei giorni scorsi Massimo D’Alema, nella toponomastica del Pd collocato sul lato opposto rispetto a Tonini, ha potuto ipotizzare Corrado Passera come ministro di un governo di centro sinistra, visto che «la politica italiana ha bisogno di persone che portino passione e competenza».
Non casualmente, Michele Salvati, uno degli intellettuali più lucidi e conseguenti, quello che ha fornito solide basi concettuali alla suddetta operazione culturale e politica, ha potuto parlare di «pulizia teorica». «Pulizia teorica» che comportava l’espulsione dalla cultura del «nuovo soggetto politico» della possibilità di utilizzazione in qualsiasi dimensione di strumenti tratti dalle teorie critiche del capitalismo.
Quanto numerose siano state le stratificazioni portate da quel mutamento di paradigma, tanto da formare un ammasso difficilissimo a rimuoversi, lo si può valutare bene dal fatto che l’analisi della crisi in atto proveniente dalla cultura economica del Pd non è mai stata altro che un insieme di variazioni intorno teoria alla economica mainstream. E questo anche quando si dice di essere antiliberisti e si contrappone l’economia di carta all’economia reale. In realtà si rimane alla critica dei dati fenomenici, degli aspetti ideologici: l’analisi non diventa mai strutturale.
In caso contrario sarebbe stato possibile approvare, solo con un po’ di mal di pancia da parte di alcuni e con piena convinzione da parte di altri, misure come la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio ed il fiscal compact? Misure del tutto conseguenti alla teoria economica mainstream.
Si tratta di macigni il cui peso si proietta ben al di là del governo, o dei governi, guidati da Mario Monti.
Nei documenti recenti si dice di voler andare «oltre» l’agenda di Monti. Asor Rosa, assai meglio di me, potrebbe scrivere un interessantissimo saggio sulla semantica dell’ «oltre» negli ultimi vent’anni.
Per quale motivo, nonostante i fatti contraddicano i postulati della teorica economica dominante, nonostante le politiche economiche e sociali che ne derivano producano gli effetti nefasti che sono sotto gli occhi di tutti, nonostante che esista ormai un’imponente letteratura di altissimo livello ispirata alla teoria critica, resta invariata la funzione di potentissima ed efficace arma ideologica che il neoliberismo continua ad esercitare?
Non esistono dimensioni analitiche in grado di contribuire alla formazione ed all’arricchimento di culture politiche senza un reticolo di riferimenti a forze politiche reali.
Bisogna ragionare sul piano indicato da Rossana Rossanda: «C’è un fronte, anzi non è mai stato tanto esteso, così esteso che non riusciamo neanche bene a vedere dove comincia e dove finisce». Ecco, la ricostruzione dell’antitesi passa attraverso un processo che è insieme di conoscenza e di costruzione del fronte. Un progetto che si misura anche sul grado di partecipazione alla costruzione di un sistema di relazioni con e tra tutte le realtà potenzialmente antitetiche esistenti, indipendentemente dai modelli organizzativi e dalle denominazioni di cui sono portatrici.
Su questo piano, tra l’altro, non si parte da zero. Sono in corso confronti ricchi di analisi e proposte Una ricchezza analitica scarsa di retorica e che si mette alla prova sulle cose. Una ricchezza analitica che è tale anche perché non ha ammazzato i suoi giganti e continua a cercare di rimanere, in equilibrio, difficile certo, sulle loro spalle.
Ora tutto questo può prescindere dal momento elettorale? Può limitarsi a restare disperso ed a «premere» in tale forma «dall’esterno alle porte del patto Pd-Sel»? Il momento elettorale non rappresenterà l’atto finale della costruzione dell’antitesi come percorso strategico, ma di questo percorso rimane tappa imprescindibile. D’altra parte, anche sul terreno indicato da Asor Rosa, la «pressione» di una forza organizzata, con una propria autonomia culturale, avrebbe (avrà, mi auguro) ben altra capacità di incidenza.
Costruiamo pure argini, dunque, ma dobbiamo avere ben chiaro che senza un retroterra strategico di questo genere gli argini sono destinati a crollare o ad essere riassorbiti dalla marea di fango che «preme» con una forza finora inarrestabile.

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